INTERVISTA AL POETA INGLESE SILLITOE: LA POESIA NON E' POLITICA
Data: Venerd́, 07 novembre 2008 ore 07:29:57 CET
Argomento: Comunicati


«Un romanziere può nascondere la propria identità dietro la sua narrati­va per tutto l’arco della sua vita, ma nel lavoro di un poeta si trova la mag­matica, emozionale storia del suo cuore e della sua anima. Una registra­zione, per quanto in apparenza dissi­mulata, che non può essere falsifica­ta, supponendo che le poesie siano vere per il poeta, e quali poesie non lo sono, se sono poesie? La vita interiore è più leggibile, purché solo dopo un’accurata ricerca, di qualsiasi auto­ritratto in un racconto o romanzo.
Sono diventato uno scrittore pensan­domi più come poeta che come ro­manziere. La poesia era più impor­tante della narrativa. Benché la narra­tiva abbia dominato la mia vita di scrittore (forse per impedirmi di esse­re pigro), io penso ancora che la poe­sia sia un mezzo di espressione supe­riore alla prosa. Comunque, è di gran lunga più antica, per quanto finora ne sappiamo parte da Esiodo. I due grandi libri di Omero, l’Iliade e l’Odissea sono, per me, romanzi in versi, entrambi con una potente ca­pacità narrativa. Il lungo poema di Byron Don Juan è un esempio più vi­cino a noi di questo genere».( I  temi della sua poesia sono legati al mondo: la crisi del rapporto fra uo­mini e città, il richiamo della natura, ricordi. È d’accordo?
«Non ho mai sentito alcun bisogno consapevole di dare un tema alle mie poesie, anche se naturalmente ce l’hanno. Principalmente riguardano amore e morte, e di rado sono colle­gate col mondo in senso politico o sociale. Politica e poesia non si incon­trano mai, a mio modo di vedere. E in realtà nemmeno politica e romanzo, benché narrativa e poesia possano dare un volto umano alla politica».
Il suo libro più di recente tradotto in italiano, «Ritratto di un saccheggio» (Edizioni del Leone, 2007), si può considerare un compendio del suo lavoro poetico? Pensa che sia il suo libro più 'europeo'?
«Le mie Poesie scelte del 1995 vengo­no da sette volumi precedenti pubbli­cati fra il 1959 e il 1995. Ho scelto me­no della metà dei versi da questi libri Lo scrittore Alan Sillitoe
e rivisto ciascuna poesia. È difficile considerare finita una poesia. Qual­cuna ha bisogno di una riscrittura completa, quasi tutte di una revisio­ne. Quando ho pubblicato per la pri­ma volta ho pensato che fossero fini­te, ma in seguito mi è apparso evi­dente che non lo erano. Nel futuro posso vedere bene che la revisione è ancora necessaria. È impossibile a dirsi se mai ci sarà un tempo in cui non ci sarà bisogno di fare nient’altro. Non parlo dei temi della mia poesia, ma posso tuttavia parlare delle circo­stanze in cui la poesia [eponima del­l’edizione italiana] Ritratto di un sac­cheggio
è stata scritta. Era inclusa nel mio primo libro di poesie, I topi e al­tre poesie (1959), con testi per lo più scritti negli anni Cinquanta. Prima dei trent’anni avevo vissuto otto anni fuori dall’Inghilterra, e questo si ri­velò la cosa migliore che mi sia mai accaduta. Tornando da Maiorca nel 1958, fu una specie di incubo, o shock, vedere, dopo il tempo trascor­so in austerità, la ricchezza e l’opu­lenza di Londra. Ma io stavo tornan­do da quello che sembrava un lungo periodo di esilio, che era stato neces­sario per la mia preparazione a di­ventare uno scrittore. La poesia non era realistica, tuttavia rifletteva la di­visione del mondo fra quelli che era­no ricchi e quelli che vivevano esi­stenze precarie e che un giorno certa­mente avrebbero sopraffatto luoghi come Londra. Dopo otto anni come in esilio, un tale stato mentale conti­nua per il resto della vita. Quel dislo­camento mette lo scrittore al di fuori della società, in modo che possa os­servarla meglio».
Nei suoi primi libri ha scritto dei pro­blemi della società inglese della metà del secolo scorso. Com’è cam­biata questa società? E come ne par­lerebbe adesso?
«Nella metà del secolo scorso non ho scritto dei problemi della società. Ho raccontato delle storie, che riflet­tevano le vite della gente e le diffi­coltà che avevano a convivere col mondo sociale che avevano intorno.
Queste difficoltà scuotevano le loro personalità fino a un certo limite, ma ho sempre scritto per raccontare una storia che in primo luogo potes­se dare un po’ di piacere alla gente (e forse un po’ di istruzione). Scrivendo
Sabato sera e domenica mattina e La solitudine del maratoneta io descri­vevo le vite di persone su cui non era mai stato scritto prima in quel mo­do. Senza rendermene conto o ricor­darlo, finché non ebbi letto I misera­bili,
io stavo rievocando le parole di Victor Hugo: 'Il dovere degli storici di cuori e anime è inferiore a quello degli storici dei fatti esterni? Possia­mo credere che Dante avesse meno da dire di Machiavelli? La parte infe­riore di una civiltà, per il fatto di es­sere più profonda e più triste, è me­no importante di quella superiore?
Conosciamo del tutto la montagna se non conosciamo le caverne?' Il mio romanzo di adesso, che si inti­tola
Come un pesce nell’acqua (Like Fish in Water), è su un falegname che vive a Nottingham, ed è ambien­tato ai nostri giorni».





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