Università, sistema parassitario regolato da meccanismi feudali»
Data: Giovedì, 06 novembre 2008 ore 23:21:51 CET
Argomento: Comunicati


 governo del processo educativo, la formazione delle nuove classi dirigenti, la selezione delle competenze e dei saperi che concernono la rappresentazione dell'identità del nostro paese, sono una questione cruciale che mette definitivamente alla prova la capacità delle classi politiche di superare la miseria del dibattito attuale. La Gelmini può essere l'involontaria occasione di una riflessione non congiunturale sullo stato del nostro sistema di studi e in particolare dell'Università. Nessuna riflessione, tuttavia, può condurre a un esito fecondo se non si assume come premessa una diagnosi severa ed obiettiva dei "fatti".
Il "primo fatto", di cui occorre essere consapevoli come cittadini di questo paese, è che noi finanziamo un sistema universitario prevalentemente parassitario e improduttivo, privo di antenne sulle trasformazioni enormi del mondo circostante e fondati essenzialmente sugli interessi "privati" di quanti oggi dispongono dei poteri per decidere i criteri di selezione, i piani didattici, i progetti di ricerca, le localizzazioni territoriali e le dotazioni strutturali dei centri di ricerca.
Sul piano culturale, come già denunciato da Piovani, da Derrida e da altri grandi maestri del pensiero europeo, l'Università ha cessato di essere l'universo in cui si riflettono universalmente i saperi particolari che alimentano i percorsi specialistici.
La proliferazione indiscriminata di insegnamenti, corsi di laurea, materie di esami, sedi decentrate, corsi di specializzazione è una conseguenza dell'incapacità di produrre sintesi convincenti delle diverse modalità di stare al mondo degli esseri umani. Sapere per il mercato del lavoro o sapere per essere capaci di scelte consapevoli: è una discriminante decisiva. La visione organizzatrice e professionale che è stata iniziata da Luigi Berlinguer è una delle cause di un declassamento generale del significato degli studi universitari. Che rapporto ci deve essere fra Università e mercato del lavoro? Per le direttive europee e nazionali è più "utile" una ricerca sui gusti alimentari del turismo americano di quanto non lo sia una ricerca, come quella di Ernesto De Martino, sul significato dei rituali del Venerdì santo nelle regioni del Sud.
Quando ho iniziato i miei studi di diritto i miei maestri mi hanno fatto conoscere il Teatro del Novecento e la magia della musica sinfonica. Il dialogo sull'arte, sulla letteratura, sulla filosofia faceva parte della comprensione del diritto moderno, tanto quanto codici e leggi. Lo specialismo, cioè, si inscriveva in un orizzonte culturale che mi aiutava a sentirmi contemporaneo del mio mondo. Dopo gli anni '70 questa visione dell'Università è stata via via cancellata. Il corporativismo dei sindacati e la demagogia di alcuni docenti, che si sono serviti del movimento degli studenti come supporto alle proprie ambizioni personali, hanno aperto la porta a ogni tipo di arbitrio. Il sistema di selezione è diventato un meccanismo feudale di investitura senza controllo: a ciascuno il suo suddito.
Il livello culturale dei nuovi reclutati è certamente peggiorato e le qualità di originalità e creatività sono diventate marginali. Nel 1963 ho partecipato agli esami nazionali di libera docenza con altri quattro candidati, fra cui Lipari e Rodotà. Sui candidati si era già espressa l'intera comunità scientifica e i commissari rappresentavano le diverse scuole e indirizzi. Oggi si diventa associati o ordinari sulla base di una delibera della facoltà che bandisce il concorso per il proprio candidato locale, (scelto quasi sempre secondo i rapporti di forza fra le diverse materie), che risulterà vincitore in base ad un accordo elettorale nel quale viene assicurata l'idoneità (ad essere chiamato in altre facoltà) al candidato di un'altra cordata accademica. Poco controllo nazionale, scarsa trasparenza dei titoli, nessuna valutazione che aspiri a qualche tipo di "oggettività". Il potere accademico, cioè la gerarchia, la sfera di influenze, i legami politici, è ormai assolutamente privo di verifiche esterne. Le pubblicazioni di molti candidati non va oltre il livello di una tesi di laurea. Non esiste più alcuna comunità scientifica, ma solo alleanze fra cordate e gruppi di potere.
Naturalmente un sistema di potere così privo di criteri di valutazione non può non degenerare nella proliferazione di corsi di laurea, di materie inconsistenti, di decentramenti senza motivazioni e, in definitiva, nel nepotismo più inverecondo e, talvolta, in un familismo quasi tribale. Si discute tanto del conflitto di interessi di Berlusconi, ma quanti si sono presi la briga di verificare la presenza di interessi parentali nel corpo dei vari consigli di facoltà che deliberano concorsi e chiamate?
Tuttavia, anche tutto questo sarebbe tollerabile se non derivasse da ciò un sistema dell'ignoranza con titolo di studio che rende ogni difesa dell'attuale Università un'impresa indecente. Francamente non capisco come Aldo Schiavone che ha una storia di studioso serio possa scrivere su Repubblica che l'Università italiana ha più meriti che difetti.
Mi è capitato di tenere qualche settimana fa un seminario per avvocati presso un importante studio milanese e mi sono sentito dire da molti qualificati partecipanti che nessuno ritiene di aver ricevuto un'adeguata formazione dai rispettivi atenei italiani. Stesse impressioni in altri incontri con magistrati che lamentano lo scarso livello delle nuove reclute. Perdiamo colpi da tutti i lati. Fra iscritti al primo anno e laureati c'è uno scarto inspiegabile.
Almeno che non si faccia la verifica della qualità e della quantità di ore che un docente dedica alla didattica e alla ricerca: si vedrebbe allora qual è il buco nero dove precipita la voglia di sapere degli studenti. In tutte le materie che hanno sbocchi professionali, i docenti si avvalgono del titolo per svolgere attività privata di consulenza pubblica o a clienti privati che producono redditi certamente più elevati della loro retribuzione ufficiale come professori. Quasi nessuno si dedica più alla ricerca e alla pubblicazioni di saggi. Conosco colleghi che hanno smesso di leggere libri di cultura generale da oltre trent'anni. Sono pochi i presidi che ancora si preoccupano del coordinamento dei programmi o del modo in cui avvengono lo svolgimento formale dei corsi e l'assistenza alle tesi di laurea.
La Costituzione vuole che ciascun cittadino che presta la propria attività a favore di altri riceva una retribuzione e che questa sia adeguata alla quantità e qualità del lavoro svolto ed in ogni caso sufficiente a consentire a lui ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Molti giudici italiani in base a questi principi hanno riconosciuto la pretesa alla piena retribuzione dei docenti che venivano sfruttati dagli istituti privati. Nessuno vuole riconoscere, invece, che il precariato universitario è il vero "sommerso" di questo paese che approfitta delle ingenue aspirazioni di tanti giovani per far finta di funzionare formalmente.
L'Università attuale non solo è improduttiva, ma è anche illegale perché viola la Costituzione in un principio fondamentale: il riconoscimento del valore del lavoro. Il cambiamento di un sistema così fatto non può essere affidato all'autoriforma degli attuali docenti, ma richiede un atto di responsabilità delle forze politiche per il superamento del particolarismo degli schieramenti e una comune deliberazione di obiettivi che facciano valere l'interesse dell'intero paese contro le microcorporazioni abituate al ricatto del veto e della paralisi.
Gli studenti che protestano sono i nostri figli che hanno disperatamente bisogno di un paese che si appropri del proprio futuro, che sappia progettare ponti e cattedrali, scoprire i segreti delle stelle e i miracoli delle nanotecnologie, senza perdere di vista che il vero problema è sempre il destino dell'uomo nel tempo che ci tocca di vivere.
Se le forze politiche vogliono davvero riformare l'Università provvedano, innanzitutto, a modificare immediatamente le regole dei 4-5 mila concorsi già banditi che, se si dovessero svolgere con le quelle attuali, rischierebbero di produrre l'ennesimo, questa volta irreparabile, scempio: si può fare con un semplice decreto.
Un fermo alt all'attuale sistema di reclutamento e a tutto ciò che rende inutile ogni riforma futura. Serve un impegno serio e responsabile a produrre nel giro di qualche mese una riforma credibile per i giovani che premono alle nostre porte. Gli studenti che protestano sono, nella maggior parte, senza colore politico, sono i figli che si stanno mettendo in pista per il futuro di questo Paese.

Da La Sicilia







Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-12837.html