Docenti universitari: Una carriera senza controlli e stipendio con scatti automatici
Data: Domenica, 02 novembre 2008 ore 17:09:42 CET
Argomento: Rassegna stampa


Certo non tutti i professori sono uguali, ma controlli non ce ne sono, per cui sta alla coscienza del docente decidere se darsi da fare o navigare sull’onda di una carriera che non conosce ostacoli per legge.
I professori universitari non hanno un contratto nazionale, il loro stipendio è deciso per legge, come quello dei magistrati.
E non è un salario da fame.
Un ordinario appena assunto guadagna intorno ai 3.000 euro al mese. Ma appena entrano nella savana, il barone può correre libero verso l’aumento che pioverà sicuro ogni due anni, esclusivamente in base all’anzianità di servizio.
Può evitare di affannarsi a fare quella ricerca che userà come stendardo per difendere i suoi privilegi, può non pubblicare una riga, può insomma godere del suo status senza alcun merito.
A fine carriera in ogni caso uno stipendio di 4.400 euro sarà comunque assicurato. Non sono cifre da miliardari, ma tutto è relativo.
Lo è anche l’orario di lavoro. Il minimo indispensabile è tenere almeno un corso cioè insegnare per 60 ore. A semestre. Fa dieci ore al mese.
Naturalmente le università più serie chiederanno di tenere almeno due corsi, ma bisogna tenere conto che non ci sono cartellini da timbrare, né firme, né alcun altro tipo di controlli sull’effettiva presenza del docente in classe.
Una volta infatti, il barone mandava spesso uno dei suoi assistenti-volatili a sostituirlo nelle mansioni più fastidiose. Ora gli assistenti non ci sono più, ma il rinoceronte è un animale ingegnoso.
E ha inventato i «cultori della materia», giovani laureati che ambiscono a raccogliere qualche briciola, disposti a svolgere ogni genere di mansione per il loro professore. Perché sanno benissimo che lui è il loro unico faro, colui che potrebbe benevolmente estrarre il loro numero dal bussolotto e fargli vincere un dorato posto nella savana.
Naturalmente non si può delegare tutto a loro. E allora è stata creata un’altra figura, i professori a contratto.
Al barone che conta davvero in facoltà non è difficile ottenere di far assumere professionisti esterni a cifre minime a cui delegare una parte del corso o dei seminari. Altri clientes, altri fedeli servitori con contratti a termine, il cui rinnovo dipenderà unicamente dal loro nume tutelare.
Ci sono poi il ricevimento studenti, può bastare un’ora o due a settimana dopo le lezioni, le riunioni accademiche. Ma se non si partecipa, non c’è alcuna conseguenza. In compenso ogni cattedra ha a disposizione un budget (variabile a seconda del «peso» politico del docente) che il professore serio usa per la ricerca, ma che ad esempio può finanziare una «missione» di studio.
Chi controlla se è un viaggio produttivo o una vacanza? Nessuno, ovviamente.
Del resto le ferie in qualche modo bisogna riempirle. Le lezioni terminano a metà luglio e riprendono a settembre. Poi ci sono 15-20 giorni a Natale e le altre feste comandate.
Ma soprattutto, l’università può essere un trampolino di lancio per la propria professione.
Un «prof» sul biglietto da visita da medico, ingegnere o avvocato è un passaporto per il paradiso dei professionisti top. Un paradiso nel quale si può restare a lungo anche oltre i 70 anni di età. Il rinoceronte ha la vita lunga.
E quando sarà ora di smetterla di scorrazzare per la savana, il trono potrà essere trasmesso all’erede.
di Giuseppe Marino

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L’università italiana è un esercito di generali. I soldati sono uno sparuto drappello che si rimpolpa a fatica, manca pure la razione giornaliera.
Difficile, in queste condizioni vincere la guerra. I generali sono i baroni e i docenti attaccati alle loro poltrone, i soldati sono i ricercatori, pochi, mal pagati che non riescono ad esprimersi per mancanza di mezzi e di sostentamento.
E i numeri confermano.
In Italia gli stipendi più alti dei professori valgono 4,5 volte gli stipendi di un ricercatore. Negli Usa il rapporto scende a una volta e mezzo. E la parola d'ordine si chiama meritocrazia.
Un docente italiano, invece, una volta vinto il concorso pubblico, sprofonda nella sua poltrona e se non si decide a fare i conti con la propria coscienza può vivere di rendita tutta una vita.
Non servono pubblicazioni, non servono scoperte scientifiche per mantenere il ruolo che occupa, l’aumento di stipendio avviene automaticamente, come un impiegato delle Poste.
Ed è per questo che molti fanno carte false per ottenere quel posto. È sicuro e ben pagato. Non a caso, nei nostri atenei pullulano ben 19.845 docenti. Nel 1997 erano 13.402, in dieci anni scarsi sono cresciuti del 48%.
Gli associati, invece hanno raggiunto quota 19.083, con un incremento nello stesso periodo del 22,1%.
E i ricercatori? Ammontano in tutto a 23.046, il loro incremento è stato di solo 12,4 per cento.
La piramide dunque si è rovesciata clamorosamente. I vertici si sono dilatati e la base si è ristretta miseramente. Nell’ultimo concorso, dove sono stati messi in palio 2.220 posti, solo 348 sono andati ai ricercatori. Il resto? Spalmato tra ordinari e associati.
Lo spot «salviamo la ricerca» è mera promozione quando scopriamo che per un euro guadagnato da un ordinario, 68 centesimi vanno a un associato e solo 47 centesimi ad un ricercatore.
È uno scandalo? Lo sarà ancora di più tra qualche mese, quando saranno terminati i concorsi universitari di ben 4.000 posti per ordinari e associati.
Un concorso miracoloso che permette di raddoppiare il numero delle cattedre disponibili la cui macchina organizzativa è già in atto. Tra circa dieci giorni i professori di tutta Italia diventeranno degli elettori a tutti gli effetti e sceglieranno i membri delle commissioni esaminatrici che, negli atenei della penisola, dovranno nominare i nuovi docenti. Ma il numero complessivo degli eletti verrà raddoppiato per effetto di una legge che in ogni concorso per un posto da professore, crea due idonei. E il secondo idoneo crea la cattedra. Con questo meccanismo, in meno di sette anni, sono stati promossi 13mila docenti, aumentando i costi del personale di 300 milioni.
Un sistema che morirà con la fine del 2008. Ma il colpo di coda c’è.
E nell’infornata di fine anno, i 4.000 docenti potrebbero diventare 8.000 e far soffocare definitivamente i bilanci egli atenei italiani.
La promozione ad associato costa a regime, in media 20mila euro all’anno, quella di ordinario almeno 30mila.
In totale, l’extra costo per i passaggi di carriera di 8.000 tra docenti e associati sarebbe di almeno 200 milioni all’anno.
All’inizio, ovviamente, perché ai livelli più alti anche gli scatti sono più generosi. Le cifre sono da capogiro e il meccanismo, spiegato dal professor Alonge nell’intervista che pubblichiamo qui accanto, è perverso. Lo stesso che dal 1999 al 2006 ha messo a concorso 13.232 posti da associato o da ordinario creandone in concreto ben 26.004.
L’idoneità multipla, del resto, era stata introdotta una tantum nel ’99 per superare un’emergenza. Ma lo strumento è piaciuto ed è diventata regola distorta. Trasformando anche molti atenei in catene di montaggio per gli idonei altrui: bandiscono il concorso, la commissione individua gli idonei e loro non chiamano nessuno.
Tra il 2000 e il 2005 è capitato ben 363 volte come ha denunciato il Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario nei suoi rapporti annuali. Solo il ministro dell’Istruzione potrebbe spezzare questa catena perversa bloccando anche l’ultimo concorso «truccato» già in fase operativa.
La mossa provocherebbe le ire della baronia che ha già deciso chi e dove sistemare i rispettivi protetti. Serve molto coraggio.







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