30.10.2008. Alla fine anche Catania ha avuto le
sue lezioni in piazza. Una folla, via via
sempre più fitta con il passare delle
ore, ha invaso pacificamente Piazza
Università nel giorno in cui il Decreto
Gelmini è diventato legge e alla vigilia
dello sciopero generale di questa mattina
(il corteo partirà alle 9 da piazza
Roma).
Forse un po’ in ritardo rispetto al panorama
nazionale, dove cortei di migliaia
di studenti attraversano Roma
praticamente ogni giorno e dove le
piazze più belle di Italia si sono tramutate
da tempo in aule universitarie.
Ma protesta studentesca cresce anche
qui: è originale, è ironica. E l’ironia
è il sale della vita e di questa lotta trasversale
che si espande, incarnandosi
in una lotta per i diritti di tutti, non solo
degli studenti. Lotta per i diritti dei
precari, della ricerca, dei professori,
delle famiglie: per far credere loro che
è ancora possibile un futuro migliore
per i propri ragazzi.
"A Catania, la protesta
è partita più lentamente, ma è
partita da zero arrivando a 100", spiega
Antonio Scalia, di Scienze Politiche
- "A Roma o in altre città partiva da livelli
di consenso più alti e collettivamente
condivisi. Qui abbiamo dovuto
fare una campagna di informazione e
sensibilizzazione ad ampio spettro,
che sta iniziando a dare i suoi frutti
non solo in città ma anche nell’hinterland",
aggiungono Daniele Zito, assegnista
per la facoltà di Ingegneria, e
Claudia Astuto, studentessa di Lingue
- Era da vent’anni che non si vedevano
cortei spontanei che attraversavano
la città, come quello che la scorsa settimana
ha raggiunto le Ciminiere".
Studenti e docenti hanno dato anima
a un blocco unico, dove sono gli
stesso Organi Collegiali a incoraggiare
le proteste, specie in isole felici come
l’Università di Fisica, minacciata nel
cuore della propria essenza dalla Legge
133, e la facoltà di Lingue che, in
adesione allo sciopero, per oggi ha dichiarato
la sospensione di tutte le lezioni.
E’ la Legge Tremonti-Brunetta il pericolo
numero uno. I tagli che ammontano
a 1,4 miliardi di euro. E allora
eccoli lì i proff con tanto di lavagna
e "scrivania" a spiegare le ragioni di un
malcontento che ogni giorno si fa
ovunque più incisivo. Ad aprire è il
prof. Renato Pucci, docente di Struttura
della Materia presso il Dipartimento
di Fisica di Catania: "Il pubblico è
bombardato da una campagna informativa
che tende a sviare i nodi sostanziali:
si parla tanto della avvenuta
moltiplicazione dei corsi di laurea.
Ma in fondo si tratta di un falso problema.
E’ sufficiente concepire dei requisiti
minimi, per numero di docenti
e di possibili iscritti, per permettere
o meno l’attivazione di un corso. I problemi
del paese e dell’università reale sono altri. I ministri battono tanto sugli
sprechi ma non è certamente con i
tagli selvaggi che si può ovviare al
problema ed avere un’università più
funzionale". Considerato poi che con
un bilancio praticamente falciato le
università potrebbero non avere
neanche le risorse per pagare le bollette
della luce. Altro che ricerca! "Lo
scenario è drammatico. Qui si tratta di
sopravvivenza quotidiana, della sopravvivenza
degli interruttori per la
luce! Si dimezza la voce del Fondo
Ordinario Universitario dedicato ai
servizi - continua Pucci - Le cifre dei
parametri internazionali sono lampanti.
L’indagine dell’Ocse, l’organo
internazionale per la Cooperazione e
lo Sviluppo Economico, parla chiaro.
L’Italia spende per la formazione una
percentuale ridicola: solo lo 0,9% del
Pil, a fronte di tassi europei che superano
ampiamente il 2%. L’Italia, per
l’intera carriera di uno studente, arriva
a spendere una media di appena
8.000 euro, a fronte di un’Europa che
spende quasi 15.000 euro a ragazzo. E
se è l’Ocse a fornire questi dati un motivo
ci sarà: lo sviluppo economico di
un paese parte dalla formazione, dall’istruzione,
dalla ricerca".
"Non si tratta di semplice solidarietà
nei confronti degli studenti -
spiega il prof. Rappazzo, docente di
Letteratura Italiana, presso la facoltà di
Lingue - Noi lottiamo per la sopravvivenza
di un sistema pubblico di formazione.
La proposta di trasformare
gli atenei in Fondazioni relegherà il
Sud in una posizione di subordine gravissimo,
per ovvi motivi: quali privati
investiranno nel Meridione? Inoltre
si tratta di una manovra apertamente
anticostituzionale, che prevede il trasferimento
di risorse pubbliche al privato".
Si taglia il diritto allo studio, si
accusano i precari della ricerca di essere
dei fannulloni: "Ma il Ministro
Brunetta tiene conto di tutte le ore di
straordinario non pagate che gravano
sulle spalle di ricercatori che lavorano
24 ore su 24?", aggiunge il prof. Pucci.
ALESSANDRA BELFIORE
(da www.lasicilia.it)