La controrivolta: «Fateci studiare»La protesta di chi č rimasto in aula: per farci sentire abbiamo i nostri spazi, inutile fermare le lezioni
Data: Venerdě, 31 ottobre 2008 ore 13:31:18 CET
Argomento: Rassegna stampa


III «A ognuno il suo compito».
L'eco del motto degli studenti che hanno disertato le manifestazioni in piazza, che hanno scelto di restare in aula, risuona nei corridoi di molte facoltà. L'altra università si dissocia dai movi-menti degli ultimi giorni. I tagli del governo? L'altra università è in disaccordo con l'esecu-tivo, ma preferisce restare neiluoghi opportu¬ni a far sentire la propria voce. Quello che chiamano «compito» è il dovere di ogni stu-dente: frequentare le lezioni, superare gli esa-mi, laurearsi. «Non siamo ministri, non spetta a noi prendere decisioni», spiega Matteo Lon-go, studente della facoltà di scienze politiche della Cattolica di Milano.
«Certo, cerchiamo comunque di intervenire nei dibattiti, manel¬le sedi competenti», racconta, «cerchiamo un dialogo fra gli studenti, un confronto e i risul-tati di questo confronto li portiamo poi nelle sedi opportune». Matteo è uno di quegli stu-denti che ieri, in largo Gemelli a Milano, han-no salutato una ventina di persone dirette verso il corteo con i libretti in mano etre stri-scioni: "Contro lo sfascismo di pochi", "Oggi occupati domani disoccupati", "L'università vive dentro ognuno di noi". Un invito, più che un saluto. A restare lì, insieme a loro e non unirsi alle masse «strumentalizzate dalla poli¬tica». «Noi stiamo percorrendo una certa stra¬da», spiega dei problemi di noi studenti. Non ci mettiamo a discutere del governo, ma degli appelli, per-ché vogliamo un appello in più e questo porta i suoi frutti».
La linea di Matteo Longo è quella che condividono tanti iscritti alla facoltà di scienze politiche della Cattolica che si ricono scono nella lista "Ateneo studenti": puntano all'efficienza e al merito nelle università. Defi-niscono gli atenei come grandi sistemi buro-cratici elefantiaci in cui ci sono molti interessi, strutture troppo autoreferenziali. E attribui-scono a queste cause la gravità della situazio¬ne nelle facoltà. Puntano la loro azione in questa direzione. Azione che si manifesta esclusivamente in sedi come Consigli di facoltà e senato accade-mico. Non in piazza, assolutamente no. An-che se in sostanza, la piazza contesta le stesse identiche cose. All'università statale di Mila¬no, sempre nella facoltà di scienze politiche, la situazione non cambia molto.
Quando la manifestazione è finita, il corteo sciolto, Mat-teo Forte, 24 anni, racconta che «c'è solo un gruppetto di gente riunita nel cortile, qualcu¬no cucina, qualcuno suona, ma dei tagli non si parla». Loro, spiega Matteo, sono ragazzii arrivati dai centri sociali che non c'entrano niente con gli studenti. Nei giorni scorsi il preside della facoltà di scienze politiche della Statale ha deciso di so-spendere la didattica sostanzialmente per evitare che gruppi di facinorosi entrassero ad interrompere le lezioni. Ma ieri «le aule erano piene», racconta ancora Matteo, «molti stu-denti continuavano a seguire le lezioni, face-vano gli esami e i professori sono rimasti in aula». Sembrava un giorno normale, la solita routine.

«Ora vengano i prof insieme ai loro genitori» «Venite voi a scuola accompagnati dai ge nitori».
È questo l'appello rivolto ai pro fessori dagli studenti del liceo Severi di Ca stellammare di Stabia. I ragazzi di Lotta studentesca protestano per l'interpreta zione di una nonna introdotta dalla presi de che impone, in caso di scioperi, il rien tro a scuola, il giorno dopo, accompagnati dai genitori. Nonna "sospesa" in occasio ne dellaprotesta anti-Gelmini: «Èinaccet tabile», dicono, «che debbano essere i prof a decidere quando dobbiamo scioperare».





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