Sicilia, crolla la fiducia nella scuola. Sì alla funzione di argine al bullismo del voto in condotta, no al maestro unico e ai tagli.
Data: Mercoledì, 29 ottobre 2008 ore 17:01:12 CET
Argomento: Rassegna stampa


 

 

- Sondaggio Demopolis sulla scuola di oggi

- C’era una volta il docente-istituzione. Tra passione e ingratitudine.

- LA CRISI DELLA SCUOLA E QUELLA DELLA SOCIETÀ.

 

(dal sito www.lasicilia.it)

 

 

 

 

Sondaggio Demopolis sulla scuola di oggi

 

La Scuola italiana, da anni ignorata dai governi nazionali, che ne hanno trascurato il ruolo inderogabile per la crescita del Paese, è tornata da qualche giorno al centro del confronto politico, dopo il decreto Gelmini ed i tagli ipotizzati nella Finanziaria.

Studenti e docenti sono scesi in piazza: la gente sembra condividere la loro protesta, evidenziando inoltre forte nostalgia per la scuola di un tempo, quasi la voglia di un ritorno alla vera tradizione educativa italiana, contro la frammentarietà di troppe inutili recenti riforme.

Crolla sensibilmente, nell’Isola e nel Paese, la fiducia nell’istituzione scolastica. Si fida oggi della scuola il 56% dei siciliani (9 punti in meno rispetto a cinque anni fa): percentuale comunque più alta rispetto al dato medio di fiducia, ormai al di sotto del 50%, espresso dai cittadini a livello nazionale.

Cambia anche la percezione del ruolo sociale degli insegnanti, sempre meno invidiati nella loro funzione educativa. Si avverte quasi un declino di immagine, anche se oltre il 75% dei siciliani afferma che non sono certo i docenti ad essere responsabili dei problemi della scuola nel nostro Paese.

Il 61% considera il ruolo del docente utile, ma poco stimato e mal pagato; uno su cinque lo ritiene sempre più ininfluente per la formazione dei ragazzi. Sono molti gli spunti di riflessione che emergono dai risultati dell’ultima indagine, condotta - per "La Sicilia" e per "Prima pagina" (Antenna Sicilia) - dall’Istituto Nazionale di Ricerche Demopolis.

Del decreto Gelmini i cittadini apprezzano, in netta maggioranza (68%), la reintroduzione del voto in pagella e il ripristino del voto in condotta (91%) come argine contro i dilaganti episodi di bullismo e prepotenza nelle scuole. Favorevoli appaiono inoltre i siciliani ad uno studio più attento dell’educazione civica nelle classi dell’Isola. Opinioni in linea con la voglia di serietà che, un anno addietro, induceva i cittadini ad apprezzare le proposte dell’ex ministro Fioroni che, contro le troppe sperimentazioni, chiedeva di privilegiare tra i banchi di scuola lo studio dell’italiano, di grammatica e sintassi, della matematica, della storia e della geografia.

Un ulteriore tema di discussione è suscitato da una recentissima iniziativa della Lega Nord. Alla mozione leghista, che prevede classi differenziate per gli alunni stranieri, arriva un chiaro "NO" dai siciliani, da sempre più aperti e tolleranti sulle questioni dell’immigrazione.

Solo un intervistato su cinque suggerisce brevi percorsi differenziati o integrativi per i ragazzi che non parlano la lingua italiana. Netta appare anche la contrarietà dei cittadini al maestro unico alle elementari, che determinerebbe un ritorno alle 24 ore settimanali con l’uscita dei bambini da scuola alle 12,30. Il 72% dei siciliani, intervistati dall’Istituto Demopolis, considera il provvedimento sbagliato anche perché finisce con l’aumentare il precariato, sottraendo, soprattutto nel Mezzogiorno, risorse umane e posti di lavoro alla scuola.

PIETRO VENTO

Direttore Istituto Demopolis

(da www.lasicilia.it)

 

 

 

C’era una volta il docente-istituzione. Tra passione e ingratitudine.

 

La professione docente oggi poco stimata e scarsamente retribuita È in pensione da poco più di un anno, e dei banchi scolastici non smette di avere nostalgia. Alla scuola - fra supplenze e cattedra di ruolo - ha dedicato quasi quarant’anni, una vita intera.

«E sarei andata avanti, anche dopo l’età pensionabile. Mi piaceva suscitare l’entusiasmo dei ragazzi, vederli cambiare fra gli 11 ed i 13 anni, magari anche grazie ai miei insegnamenti. Ma negli ultimi tempi, iniziavo a faticare troppo per conquistare la loro attenzione. Ho tentato di avvicinarmi alle loro passioni, la tecnologia, la musica. Ma, forse, sono troppo vecchia».

Sessantenne in pensione, ha trascorso un’intera vita lavorativa in una scuola media di campagna, nella provincia siciliana. E, ai ragazzi, non addebita alcuna colpa.

«Quando ho iniziato a lavorare, l’insegnante era un’istituzione. Erano le famiglie ad attribuirci questo ruolo: ci affidavano i loro figli e rispettavano le nostre scelte educative. Oggi non è più così. Ho tentato, negli ultimi anni, di spiegare alle mie alunne che i vestiti succinti svalutano la loro femminilità. Ma sono abiti acquistati, e spesso indossati, dalle mamme stesse. Volete che conti la mia opinione?».

Un lavoro difficile e poco stimato, oggi, insegnare. L’indagine condotta dall’Istituto di ricerche Demòpolis, in esclusiva per il quotidiano La Sicilia, lo conferma. Solo il 7% dei siciliani riconosce il ruolo di responsabilità dell’insegnante. Il 26% apprezza la componente di stabilità del lavoro nella scuola. Il 24% dei siciliani sottolinea invece la limitata retribuzione dell’incarico, mentre la maggioranza (43%) ammette: «è una lavoro difficile e poco stimato».

I colloqui qualitativi di approfondimento condotti da Demòpolis consentono un’ulteriore argomentazione del dato. «Negli ultimi anni - prosegue l’insegnante in pensione -, costretti a provvedimenti disciplinari per ammonire azioni di estrema gravità commesse dai ragazzi, ci siamo ritrovati contro le famiglie. Capirete che così, agli occhi degli studenti, noi non valiamo più nulla. Grande amarezza, per me. Nei colleghi più giovani, l’effetto è stato diverso: un progressivo disinteresse per la funzione educativa che va oltre le ore di lezione curriculari. Non li biasimo: non hanno conosciuto il rispetto per la Scuola che ho vissuto io. Non li giudico, ma sono andata in pensione anche perché la sintonia con i colleghi più giovani non l’ho proprio trovata».

A ritenere che l’insegnante svolga oggi un ruolo importante per la formazione dei ragazzi è meno di 1 siciliano su 5. Il 61% ritiene sia una funzione utile ma poco stimata e mal pagata. E ben il 20% sostiene si tratti di un ruolo ininfluente, perché la formazione delle nuove generazioni oramai si svolge altrove, con i mass media, su Internet.

E non basta essere insegnanti giovani per entrare in sintonia con i ragazzi. «Ho iniziato a 35 anni, in un Istituto Tecnico di periferia. Avendo provato le difficoltà di fare la libera professione senza appoggi - confessa un ingegnere prestato all’insegnamento -, il posto pubblico mi è sembrato una manna. Oggi cerco un’alternativa per scappare: i ragazzi mi seguono solo sotto minaccia di bocciatura. Non mi stimano, ed è frustrante. Sarà colpa mia, sarà che sono troppo giovane».

MARIA SABRINA TITONE

Ricercatrice Demopolis

(da www.lasicilia.it)

 

LA CRISI DELLA SCUOLA E QUELLA DELLA SOCIETÀ. Se gli studenti chiedessero prof contenti d’insegnare

 

"E' sufficiente un professore - uno solo! - per salvarci da noi stessi e farci dimenticare tutti gli altri", scrive Daniel Pennac nel suo "Diario di scuola". "Dateci un professore - almeno uno! - felice di insegnare, impastato della propria materia e dei propri allievi": ci aspetteremmo di sentire negli slogan delle manifestazioni studentesche di questi giorni. E, invece, no. Chi contesta la Gelmini si mette sul suo stesso terreno: quello dei conti da ragioniere, sia detto con tutto il rispetto per questa nobilissima professione. Ma la scuola è altra cosa, ha a che fare con un oggetto prezioso, che è l’educazione dei giovani, che non può essere trattato semplicemente in termini di bilanci, di euro da tagliare o da aggiungere.

"Esiste un mestiere più bello del mio?", si chiedeva lo scrittore-insegnante Sandro Onofri, raccontando le sue ore in classe, le sue lezioni, i colloqui con gli studenti, le partitelle di calcio fatte insieme. Perché è - o dovrebbe essere bello - il mestiere dell’insegnante?

Perché consente di comunicare ai giovani un’ipotesi con cui essi possano affrontare la vita. La crisi della scuola non è determinata semplicemente dai tagli di fondi all’istruzione, è più radicale: è crisi di una società che non ha più cosa trasmettere ai giovani. "Una società che non insegna [si potrebbe dire oggi: che non reputa prioritaria la questione educativa] è una società - sosteneva lo scrittore francese Charles Péguy - che non si ama, che non si stima".

Questa crisi tocca anzitutto i docenti. Se li senti parlare - tranne lodevolissime eccezioni - sono delusi, demotivati, protesi alla pensione o alle vacanze. E trasmettono agli studenti questa amarezza, questa delusione. Tanto è vero che se chiedete ai giovani fra i 14 e i 18 anni - come abbiamo fatto noi con l’ausilio di alcuni docenti di diverse province dell’Isola - se piacerebbe loro fare, da grande, l’insegnante, solo 5 su 100 rispondono positivamente.

Nell’immaginario collettivo, ormai, l’insegnante è mestiere di ripiego. Buono solo quale secondo lavoro, come dimostra il sondaggio condotto da Demopolis per il nostro giornale.

Eppure - notava acutamente Sandro Onofri - i docenti, comunque, "stanno lì, in mezzo ai ragazzi, e se sono bravi, se hanno qualcosa da dire, se hanno vissuto abbastanza e abbastanza intensamente avranno ognuno un libro grande e diverso da insegnare". E’ un guaio, invece, se sono lì, in mezzo agli studenti, solo perché non hanno trovato di meglio, perché tanto la scuola lascia mezza giornata libera e poi garantisce tre mesi di vacanze l’anno. Lo ha fatto rilevare anche Michele Serra, che su "Repubblica" - commentando il film La Classe - ha scritto che oggi ci ritroviamo una scuola "svuotata di sé nella quale ciascuno ha rinunciato a offrire o prendere alcunché. Se non si riesce a trovare, o almeno a cercare, il bandolo di un significato, di un destino, di un rapporto di emulazione e sfida tra adulti e ragazzi, allora hanno ragione i vecchi reazionari".

Cercare il "bandolo di un significato" è proprio ciò che rende appassionante l’avventura educativa. Ma in un’Europa che riesce a intendersi solo sulle questioni dei banchieri, sembra che nessuno voglia dare priorità all’educazione. E’ un vero peccato, come ha rilevato il presidente Napoletano. Anche perché senza l’istruzione e la ricerca i nostri Paesi non potranno né crescere, né innovare. E senza un dialogo fra le generazioni - perciò senza educazione - non c’è futuro per la società. Dateci dei maestri, e potremo tornare a sperare nel futuro.

GIUSEPPE DI FAZIO

(da www.lasicilia.it)







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