- Sondaggio
Demopolis sulla scuola di oggi
- C’era una volta il docente-istituzione.
Tra passione e ingratitudine.
- LA CRISI DELLA
SCUOLA E QUELLA DELLA SOCIETÀ.
(dal sito
www.lasicilia.it)
Sondaggio Demopolis
sulla scuola di oggi
La Scuola italiana, da anni ignorata dai
governi nazionali, che ne hanno trascurato
il ruolo inderogabile per la crescita
del Paese, è tornata da qualche giorno al
centro del confronto politico, dopo il
decreto Gelmini ed i tagli ipotizzati nella
Finanziaria.
Studenti e docenti sono scesi in piazza:
la gente sembra condividere la loro
protesta, evidenziando inoltre forte nostalgia
per la scuola di un tempo, quasi
la voglia di un ritorno alla vera tradizione
educativa italiana, contro la frammentarietà
di troppe inutili recenti
riforme.
Crolla sensibilmente, nell’Isola e nel
Paese, la fiducia nell’istituzione scolastica.
Si fida oggi della scuola il 56% dei siciliani
(9 punti in meno rispetto a cinque
anni fa): percentuale comunque
più alta rispetto al dato medio di fiducia,
ormai al di sotto del 50%, espresso dai
cittadini a livello nazionale.
Cambia anche la percezione del ruolo
sociale degli insegnanti, sempre meno
invidiati nella loro funzione educativa.
Si avverte quasi un declino di immagine,
anche se oltre il 75% dei siciliani afferma
che non sono certo i docenti ad
essere responsabili dei problemi della
scuola nel nostro Paese.
Il 61% considera il ruolo del docente
utile, ma poco stimato e mal pagato;
uno su cinque lo ritiene sempre più
ininfluente per la formazione dei ragazzi.
Sono molti gli spunti di riflessione
che emergono dai risultati dell’ultima
indagine, condotta - per "La Sicilia" e
per "Prima pagina" (Antenna Sicilia) -
dall’Istituto Nazionale di Ricerche Demopolis.
Del decreto Gelmini i cittadini apprezzano,
in netta maggioranza (68%),
la reintroduzione del voto in pagella e il
ripristino del voto in condotta (91%) come
argine contro i dilaganti episodi di
bullismo e prepotenza nelle scuole. Favorevoli
appaiono inoltre i siciliani ad
uno studio più attento dell’educazione
civica nelle classi dell’Isola.
Opinioni in linea con la voglia di serietà
che, un anno addietro, induceva i
cittadini ad apprezzare le proposte dell’ex
ministro Fioroni che, contro le troppe
sperimentazioni, chiedeva di privilegiare
tra i banchi di scuola lo studio dell’italiano,
di grammatica e sintassi, della
matematica, della storia e della geografia.
Un ulteriore tema di discussione è
suscitato da una recentissima iniziativa
della Lega Nord. Alla mozione leghista,
che prevede classi differenziate per gli
alunni stranieri, arriva un chiaro "NO"
dai siciliani, da sempre più aperti e tolleranti
sulle questioni dell’immigrazione.
Solo un intervistato su cinque suggerisce
brevi percorsi differenziati o integrativi
per i ragazzi che non parlano la
lingua italiana.
Netta appare anche la contrarietà dei
cittadini al maestro unico alle elementari,
che determinerebbe un ritorno alle
24 ore settimanali con l’uscita dei
bambini da scuola alle 12,30.
Il 72% dei siciliani, intervistati dall’Istituto Demopolis, considera il provvedimento
sbagliato anche perché finisce
con l’aumentare il precariato, sottraendo,
soprattutto nel Mezzogiorno, risorse
umane e posti di lavoro alla scuola.
PIETRO VENTO
Direttore Istituto Demopolis
(da www.lasicilia.it)
C’era una volta il docente-istituzione.
Tra passione e ingratitudine.
La professione docente oggi poco stimata e scarsamente retribuita
È in pensione da poco più di un anno, e
dei banchi scolastici non smette di avere
nostalgia. Alla scuola - fra supplenze e
cattedra di ruolo - ha dedicato quasi quarant’anni,
una vita intera.
«E sarei andata avanti, anche dopo l’età
pensionabile. Mi piaceva suscitare l’entusiasmo
dei ragazzi, vederli cambiare fra
gli 11 ed i 13 anni, magari anche grazie ai
miei insegnamenti. Ma negli ultimi tempi,
iniziavo a faticare troppo per conquistare
la loro attenzione. Ho tentato di avvicinarmi
alle loro passioni, la tecnologia,
la musica. Ma, forse, sono troppo vecchia».
Sessantenne in pensione, ha trascorso
un’intera vita lavorativa in una scuola media
di campagna, nella provincia siciliana.
E, ai ragazzi, non addebita alcuna colpa.
«Quando ho iniziato a lavorare, l’insegnante
era un’istituzione. Erano le famiglie
ad attribuirci questo ruolo: ci affidavano
i loro figli e rispettavano le nostre
scelte educative. Oggi non è più così. Ho
tentato, negli ultimi anni, di spiegare alle
mie alunne che i vestiti succinti svalutano
la loro femminilità. Ma sono abiti acquistati,
e spesso indossati, dalle mamme
stesse. Volete che conti la mia opinione?».
Un lavoro difficile e poco stimato, oggi,
insegnare. L’indagine condotta dall’Istituto
di ricerche Demòpolis, in esclusiva per
il quotidiano La Sicilia, lo conferma. Solo
il 7% dei siciliani riconosce il ruolo di responsabilità
dell’insegnante. Il 26% apprezza
la componente di stabilità del lavoro
nella scuola. Il 24% dei siciliani sottolinea
invece la limitata retribuzione dell’incarico,
mentre la maggioranza (43%)
ammette: «è una lavoro difficile e poco
stimato».
I colloqui qualitativi di approfondimento
condotti da Demòpolis consentono
un’ulteriore argomentazione del dato.
«Negli ultimi anni - prosegue l’insegnante
in pensione -, costretti a provvedimenti
disciplinari per ammonire azioni di
estrema gravità commesse dai ragazzi, ci
siamo ritrovati contro le famiglie. Capirete
che così, agli occhi degli studenti, noi
non valiamo più nulla. Grande amarezza,
per me. Nei colleghi più giovani, l’effetto
è stato diverso: un progressivo disinteresse
per la funzione educativa che va oltre le
ore di lezione curriculari. Non li biasimo:
non hanno conosciuto il rispetto per la
Scuola che ho vissuto io. Non li giudico,
ma sono andata in pensione anche perché
la sintonia con i colleghi più giovani non
l’ho proprio trovata».
A ritenere che l’insegnante svolga oggi
un ruolo importante per la formazione
dei ragazzi è meno di 1 siciliano su 5. Il
61% ritiene sia una funzione utile ma poco
stimata e mal pagata. E ben il 20% sostiene
si tratti di un ruolo ininfluente,
perché la formazione delle nuove generazioni
oramai si svolge altrove, con i mass
media, su Internet.
E non basta essere insegnanti giovani
per entrare in sintonia con i ragazzi. «Ho
iniziato a 35 anni, in un Istituto Tecnico di
periferia. Avendo provato le difficoltà di
fare la libera professione senza appoggi -
confessa un ingegnere prestato all’insegnamento
-, il posto pubblico mi è sembrato
una manna. Oggi cerco un’alternativa
per scappare: i ragazzi mi seguono
solo sotto minaccia di bocciatura. Non mi
stimano, ed è frustrante. Sarà colpa mia,
sarà che sono troppo giovane».
MARIA SABRINA TITONE
Ricercatrice Demopolis
(da www.lasicilia.it)
LA CRISI DELLA SCUOLA E QUELLA DELLA SOCIETÀ.
Se gli studenti chiedessero
prof contenti d’insegnare
"E' sufficiente un professore
- uno solo! -
per salvarci da noi
stessi e farci dimenticare tutti gli altri",
scrive Daniel Pennac nel suo
"Diario di scuola". "Dateci un professore
- almeno uno! - felice di
insegnare, impastato della propria
materia e dei propri allievi": ci
aspetteremmo di sentire negli slogan
delle manifestazioni studentesche
di questi giorni. E, invece,
no. Chi contesta la Gelmini si mette
sul suo stesso terreno: quello dei
conti da ragioniere, sia detto con
tutto il rispetto per questa nobilissima
professione. Ma la scuola è
altra cosa, ha a che fare con un oggetto
prezioso, che è l’educazione
dei giovani, che
non può essere
trattato semplicemente
in termini
di bilanci,
di euro da tagliare
o da aggiungere.
"Esiste un
mestiere più
bello del mio?",
si chiedeva lo
scrittore-insegnante
Sandro Onofri, raccontando le sue ore in
classe, le sue lezioni, i colloqui con
gli studenti, le partitelle di calcio
fatte insieme. Perché è - o dovrebbe
essere bello - il mestiere dell’insegnante?
Perché consente di
comunicare ai giovani un’ipotesi
con cui essi possano affrontare la
vita.
La crisi della scuola non è determinata
semplicemente dai tagli di
fondi all’istruzione, è più radicale: è
crisi di una società che non ha più
cosa trasmettere ai giovani. "Una
società che non insegna [si potrebbe
dire oggi: che non reputa prioritaria
la questione educativa] è una
società - sosteneva lo scrittore francese Charles Péguy - che non si
ama, che non si stima".
Questa crisi tocca anzitutto i docenti.
Se li senti parlare - tranne lodevolissime
eccezioni - sono delusi,
demotivati, protesi alla pensione
o alle vacanze. E trasmettono agli
studenti questa amarezza, questa
delusione. Tanto è vero che se chiedete ai giovani fra i 14 e i 18 anni -
come abbiamo fatto noi con l’ausilio
di alcuni docenti di diverse province
dell’Isola - se piacerebbe loro
fare, da grande, l’insegnante, solo 5
su 100 rispondono positivamente.
Nell’immaginario collettivo, ormai,
l’insegnante è mestiere di ripiego.
Buono solo quale secondo
lavoro, come dimostra il sondaggio
condotto da Demopolis per il nostro
giornale.
Eppure - notava acutamente
Sandro Onofri - i docenti, comunque,
"stanno lì, in mezzo ai ragazzi,
e se sono bravi, se hanno qualcosa
da dire, se hanno vissuto abbastanza
e abbastanza intensamente
avranno ognuno un libro grande e
diverso da insegnare". E’ un guaio,
invece, se sono lì, in mezzo agli studenti,
solo perché
non hanno
trovato di meglio,
perché tanto
la scuola lascia
mezza giornata
libera e poi
garantisce tre
mesi di vacanze
l’anno.
Lo ha fatto rilevare
anche
Michele Serra,
che su "Repubblica"
- commentando il film La
Classe - ha scritto che oggi ci ritroviamo
una scuola "svuotata di sé
nella quale ciascuno ha rinunciato
a offrire o prendere alcunché. Se
non si riesce a trovare, o almeno a
cercare, il bandolo di un significato,
di un destino, di un rapporto di
emulazione e sfida tra adulti e ragazzi,
allora hanno ragione i vecchi
reazionari".
Cercare il "bandolo di un significato"
è proprio ciò che rende appassionante
l’avventura educativa.
Ma in un’Europa che riesce a intendersi
solo sulle questioni dei
banchieri, sembra che nessuno voglia
dare priorità all’educazione. E’
un vero peccato, come ha rilevato il
presidente Napoletano. Anche perché
senza l’istruzione e la ricerca i
nostri Paesi non potranno né crescere,
né innovare. E senza un dialogo
fra le generazioni - perciò senza
educazione - non c’è futuro per
la società. Dateci dei maestri, e potremo
tornare a sperare nel futuro.
GIUSEPPE DI FAZIO
(da www.lasicilia.it)