Dante usato come slogan da una studentessa torinese
Data: Luned́, 27 ottobre 2008 ore 07:25:20 CET
Argomento: Redazione


Come da copione. Tra rabbia e antagonismo, ironia mordace e scanzonata gioia, scorrono i fotogrammi di un film già visto; alcune sorprese, ma assai più numerose le confermate attese. Più di qualcosa, nell'insieme, eppur s'è mosso; qualcosa, nel quadro generale delle parole gridate in corteo e dei cartelli con su scritto, è cambiato. Vedremo. A tempo debito, quando faremo un bilancio. Ora registriamo.
Canzoni d'autore e filastrocche infantili, sapienza idiomatica, religiosa e popolare, tonalità, modi testuali e frasario da consigli per gli acquisti; in tempi di riciclo e riuso massiccio, il materiale non poteva che essere abbondante: "Siamo noi, siamo noi, il futuro siamo noi" (un po' De Gregori, un po' Tozzi); "Stella stellina / la notte si avvicina / la scuola traballa / l'istruzione va nella stalla"; "Libera scuola in libero stato"; "Contro Beata Ignoranza non basta Santa Pazienza, mobilitiamoci!"; "Non avrai altro maestro all'infuori di me..."; "Quando la cultura ti sorprende / sorprendila con EnteroGelmini..." (piace, altroché se piace, il gioco sul prodotto farmaceutico: "La mia scuola dice no! / All'Entero-Gelmini / che distrugge / la flora scolastica!"); "Se l'istruzione vi sembra un costo, provate l'ignoranza". Più sottile: "Non pagheremo noi la vostra crisi. / La gente come noi non molla mai. / Bloccheremo tutto".

Italiano regionale e dialetti, ottimi antidoti contro mix "sospetti" di inglese economico-finanziario e italiano aziendale dei più recenti modelli di comunicazione politica: "Al Silvietto e alla sciura, il sapere fa paura!!"; "Ma quale 'tempo scuola', / ce stanno a dà la sola!"; "Vo mandà la polizia / ma è lui da portà via".

Sinistrese d'antan, di studenti che indossano i panni dei vecchi operai: "Noi non siamo impiegati, i padroni ci han stufati"; "Contro la scuola dei padroni 10, 100, 1000 occupazioni". In quest'ultimo caso il contesto è noto. Era il 22 ottobre 2007, oggetto della protesta la reintroduzione degli esami di riparazione; a far da rimante il cognome del ministro di allora, contestato da un gruppo di studenti del liceo romano Morgagni: "Contro la scuola di Fioroni / 10, 100, 1000 occupazioni".

Tagli, sempre tagli, fortissimamente tagli. Proverbial-reclamistico: "Abbiamo cultura da vendere / più si taglia, più si raglia". Contegnoso e borghese: "I bambini non sono bagagli, Gelmini, adesso la smetta con i tagli". Forcaiolo e un po' inquietante: "Chi taglia scuola / taglia la gola / ed è meglio tagliare / più che lasciar pensare". Pacifista: "Tagliate le armi per risparmiare / la scuola pubblica deve restare" (e antiglobale: "Banche, guerre / i soldi chi li dà? / I tagli alla scuola / e alla sanità!"). Attributorio: "Berlusconi: tagliare è bello / e a chi non piace / prometto il manganello". Bifacciale: "Tagli distruzione"; Personificatorio: "Tagliate... tagliate. Che la ricerca taglia la corda". Allusivo: "Ottobre 2008 in tutti i cinema: / Gelmini / Mani di Forbice". La scure è quella di Giulio Tremonti, come durante il secondo governo Berlusconi. "Letizia Moratti se proprio vuoi tagliare, / taglia la corda e lasciaci studiare", scandivano allora i numerosissimi partecipanti al corteo (16 gennaio 2004) contro il decreto di abolizione del tempo pieno. Sarebbe stato Tremonti, dopo qualche mese, a essere "tagliato"; se mai qualcuno ci farà ancora la grazia, è chiedere troppo che stavolta sia doppia?

Ufficio (s)vendite, un maestro in cambio di tre: "Quando la scuola è in vendita, ribellarsi è giusto"; "Berlusconi, perché svendi la scuola? / In fondo sei partito da lì. Vendendo i temi ai compagni di classe..."; "Stella Gelmini / rovina dei bambini / rovina della scuola / con la maestra sola..."; "No al maestro unico e fondi all'università". Efficacissimo, per l'abbinamento al pericolo planetario di omologazione coatta: "Maestro unico per un pensiero unico". Bellissimo: "Le nostre maestre sono già uniche". Bersaglio ancora la Moratti, un bambino-sandwich alla testa della manifestazione di quel 16 gennaio: "Antonella è la mia maestra, Giovanni il mio maestro, li voglio tutti e due". Ma nella pubblicità non li si cedeva sempre i due fustini per quell'unico, superiore, incomparabile che veniva offerto? E fossero stati pure tre, vuoi mettere? La qualità farà pure la differenza.

Se non si esprimono con un linguaggio da manuale del perfetto slogan di sinistra, se pochi parlano la lingua politicizzata dei contestatori di un tempo, se anziché seguire i movimenti di un'esecuzione o un'esibizione collettiva preferiscono affidarsi agli assolo e recitare ognuno a suo modo, i giovani che si stanno battendo per scuola e università con professori, genitori e maestri riescono comunque a far sentire la loro voce.

Un canto di guerra raccolto da settori sempre più ampi della società civile, anche quando appena stemperato dal carattere di una protesta che può apparire simile a una ola; un'onda che monta, alimentata da una profonda richiesta di cambiamento e che, giorno dopo giorno, potrebbe trasformarsi in uno tsunami.

Lo slogan più brutto: "Noi insegnanti / idioti e iloti non siam / e nella scuola pubblica crediam". Difficile far peggio. Fra i più belli: "La Gelmini mangia i bambini"; "Gelmini Sarta subito! "; "Meglio bionda che brunetta". Il migliore: "Siamo sul baratro, ma questa riforma è un passo avanti". Gli autori? Manco a dirlo, fiorentini. Storici campioni di facezie.

(l'autore è linguista e critico letterario, preside della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell'Università di Cagliari)





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