''Non finiremo come i tristi del '68''
Data: Venerd́, 24 ottobre 2008 ore 15:29:33 CEST
Argomento: Redazione



La differenza fondamentale è che nel ‘68 i ragazzi sentivano di avere davanti un futuro. Voi protestate in un’epoca ripiegata, di crisi economica. Questo vi pesa, lo avvertite?
Marco Caprioli, 21 anni, medicina. «Lo sentiamo sì, la nostra azione ha come orizzonte i tagli, l’ossessione di risparmiare. Anche se la critichiamo, il quadro è quello. Però allegria c’è anche tra noi, non sono vere certe rappresentazioni violente che ho visto l’altra sera da Mentana».

Gli scontri in piazzale Cadorna a Milano non sono stati un grande spot per la vostra protesta, non credete?
M. «Ma a Milano sbaglio o i ragazzi stavano cantando ed è partita una carica della polizia? Io, da moderato quale sono, non scaglierei mai una pietra. Però ricordo che qualche tempo fa erano i poliziotti in piazza, e nessuno ha cercato di raccontarli in modo caricaturale quando protestavano per i loro stipendi. Guardate, non c’è più la contraddizione tra il poliziotto e lo sbirro che c’era una volta».

Vi battete contro la riforma Gelmini, però la Gelmini nei sondaggi ha un grado di popolarità altissimo. Come lo spiegate?
Giorgio Macaluso, 19 anni, filosofia. «Lei piace per lo stesso motivo per cui piace Brunetta, sanno maneggiare slogan, prendono un luogo comune, che magari come tutti i luoghi comuni ha una base di verità, per esempio l’attacco ai fannulloni, e lo trasformano in verità. Ma il problema è che mascherano con motivazioni culturali un’operazione solo economica».
S. «Io vorrei anche vedere se questi sondaggi sono realistici. Nel nostro movimento c’è una grande trasversalità, c’è anche gente di destra, e non mi pare che a loro la Gelmini piaccia».

Vi siete mai posti però il problema che la scuola italiana è al penultimo posto tra i Paesi europei come qualità degli studenti, davanti solo alla Grecia?
Matteo Amatori, 22 anni, scienze politiche. «Che le cose non vadano bene in questo Paese è chiaro, ma è sbagliato dire che succede solo nella scuola o all’Università. Una proposta per migliorare la scuola è far pensare che noi non siamo dei privilegiati, o dei fannulloni, come fa il ministro? È far credere che tutta l’Università vada sempre più privatizzata? Hanno creato un capro espiatorio, il sistema dell’istruzione, e scaricano solo su di noi 1500 miliardi di tagli».
Oggi Brunetta è tornato ad attaccarvi, vi ha chiamati «bamboccioni ignoranti».
«Abbiamo la faccia dei bamboccioni? Pensate cosa avrebbe detto se un’offesa così l’avessimo fatta noi».

Qualcosa che si può rivedere nelle Università c’è: che ne dite per esempio dell’idea folle di fare le facoltà nei capoluoghi di Provincia?
Matteo: «Io vengo da Aosta, e sono venuto a studiare a Torino. Non difendo affatto la proliferazione degli atenei».
Andrea. «Io dalla provincia di Milano e sono venuto a Torino».

Non c’è nulla, del piano Gelmini, che salvereste?
G. «È solo un piano che taglia fondi. È un po’ la politica del centrodestra europeo, lo so, che accusa la sinistra di essere meritocratica. Però tagliando solo non riesci a fare il vero cambiamento, far cambiare la mentalità dei ragazzi. Per quello servirebbe parlare. Si taglieranno un po’ di ricercatori, magari due assunzioni, ovviamente i baroni non verranno toccati...».

Scusate, professori e baroni non sono con voi sulle barricate?
G. «In effetti sono rimasto sorpreso l’altro giorno nel vedere Pietro Rossi, che mi descrivevano come un barone, alzarsi e spendersi contro la riforma. Ma certo credo che lo facciano anche per difendere certi privilegi...».

Ecco, i privilegi. L’Università italiana ha il più alto rapporto tra docenti e studenti d’Europa. Il risultato è che arriva alla laurea poco più del 10% degli italiani, mentre in Germania, Francia, persino in Cile, le proporzioni sono più alte. Rischiate di difendere uno status quo che non ha dato esiti brillanti.
Valentine Braconcini, 24, lingue. «Noi l’abbiamo detto che questa Università non ci piace. Io però suggerirei alla Gelmini di partire da una cosa diversa: andare a vedere il tipo di ricerca che si finanzia, la qualità degli insegnamenti, non tagliare nel mucchio».
Matteo. «Se avesse coraggio non taglierebbe le cose di qualità che ci sono».

Non avete il sospetto di essere un po’ corporativi? L’accusa che vi fanno è: prof e sindacati mandano avanti voi per tutelare privilegi loro. All’Università esistono corsi seguiti da tre-quattro studenti.
Matteo: «Sì, e altri con 80 studenti».
Simone. «Noi non ci facciamo strumentalizzare da nessuna parte».

Veltroni però dice di sostenervi in pieno. Non siete imbarazzati dalla coincidenza con la manifestazione del Pd?
Simone. «Il Pd è colpevole come la destra dello sfascio e della mentalità che vuole privatizzare tutto. La protesta degli anni scorsi contro la Berlinguer-Zecchino fu durissima».
M. «E poi il corteo del Pd è stato indetto da cinque mesi...».

Qualcuno ci andrà?
In coro: «No».

Qualche taglio lo accettereste mai? Magari reinvestito in borse di studio per i più bravi?
Roberta. «Se l’Università diventasse un’azienda pubblica io sarei felice. Però non è vero che ovunque ci sono sprechi. A scuola mia non c’era neanche un bidello in tre piani».
G. «Da me invece il bidello non si trovava mai».
Marco. «Ma scusate, per quale motivo ci sconvolgiamo che una struttura che svolge un servizio pubblico faccia del deficit? Non tutto può esser ridotto al mercato».

Luigi Berlinguer aveva tentato di introdurre la valutazione di merito dei docenti. Sareste d’accordo con una riforma così?
Marco: «Io sì, i prof vanno valutati».
Andrea. «Sì, io farei un controllo di merito. Anch’io ho avuto dei prof incompetenti al liceo. E direi anche: abbiamo delle mummie al liceo? Prepensioniamole; ma non coi tagli indiscriminati».
Sonia. «Il rischio sono le epurazioni. E poi come fanno dei prof a valutare altri prof?».
Roberta. «Io dei risparmi, se reinvestiti nell’Università, sarei disposta ad accettarli».

Non avete una proposta da fare?
Simone. «Ci stiamo lavorando, ma abbiamo appena un mese di vita. E anche qui, come vedete, non siamo monoliti, ci sono idee, si discute...».

L’accusa che vi si fa è che dite solo dei no.
R. «Ma se non si discute neanche in Parlamento, e tutto passa con la fiducia, o i decreti, che proposte possiamo fare noi?».

Però oggi la Gelmini dice di volervi incontrare.
M. «Sì, e poi appena noi facciamo un’apertura minima ci frega, dicendoci che ci ha accontentato».

L’occupazione è anche un’occasione per fare amicizia, ancora? Vi scambiate libri, sentite musica in comune?
M. «Io in due notti ho dormito solo tre ore, ma non è che abbia fatto bisboccia, non le ho passate a bere. I libri... ognuno ha i suoi, ma non vedo un libro comune».
G. «Non c’è Marcuse; né la “Lettera a una professoressa” di una volta».

Avete qualche mito, una figura che torna nei cortei?
M. «No. Però abbiamo scritto “Yes, we can” nei bagni di Palazzo Nuovo, come Obama».

Lo slogan che preferite?
«Enterogelmina»

Ehi ma ridete anche o siete sempre seri?
Vale. «Ieri abbiamo anche fatto il cabaret...»
Marco: «Ridiamo un sacco, non diventeremo come quei tristi dei sessantottini».






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