I professori mostrino responsabilità
Data: Venerdì, 24 ottobre 2008 ore 00:00:00 CEST
Argomento: Redazione



È per questo che bisogna maneggiare con cautela l'idea del presidente del Consiglio di affrontare le eventuali occupazioni delle facoltà con la polizia. Non perché non si debbano reprimere gli atti illegali, piccoli o grandi che siano, e da chiunque commessi; ma perché le università come le chiese dovrebbero rappresentare anche oggi dei santuari dove, fino al possibile, l'ordine è mantenuto dai responsabili istituzionali - i sacerdoti nelle chiese e i professori nelle scuole e università - senza l'intervento di uomini in divisa a cui per legge è demandato il monopolio della forza.
Con ciò non si vuole affatto dire che occorre lasciare l'università in balia di se stessa, ed avvenga quel che avvenga. In passato siffatte esperienze negative si sono ripetute con effetti devastanti. Pur con le necessarie distinzioni e graduazioni, bisogna però prendere atto che l'università e la scuola sono scivolate in Italia in un degrado a cui hanno concorso responsabilità plurime, in primo luogo quelle gravi dei professori che hanno mirato più ad allargare la loro sfera di potere che non a perseguire l'interesse generale.
Chi scrive è un professore universitario che ha visto intorno a sé l'assurda proliferazione delle materie, dei corsi e delle sedi universitarie al solo comodo del corpo insegnante. Nella maggior parte delle facoltà, soprattutto nuove, il rigore degli studi è ridotto ai minimi termini; gli studenti posteggiati come fuori corso nelle università superano un terzo dell'intero corpo discente; e l'assenteismo dei professori, per non parlare dell'ignoranza, supera ogni ragionevole immaginazione. Ed è perciò che tanti bravi ricercatori non hanno che la via dell'estero per portare a compimento le loro legittime aspirazioni.
Che fare? La risposta univoca e miracolosa non c'è. Certo non sono i movimenti di piazza con i loro logori riti, spesso fomentati dai professionisti della protesta, che possono contribuire a invertire la tendenza. Così come la repressione pura e dura non aiuta a fare un passo avanti, soprattutto quando è esercitata all'interno delle sedi scolastiche e universitarie in cui l'ordine dovrebbe essere affidato ai codici disciplinari propri di ogni istituzione. E sì vero che le variegate ragioni della protesta spaziano dalla generica disaffezione per studi che non riescono a dare sbocchi di lavoro alla mancanza di prospettive di vita, ma il motivo più chiaro di quest'ultimo fuoco sono i tagli economici generalizzati che però non sono solo dello specifico settore ma una necessità imposta dalla crisi.
La parola giusta è stata pronunziata dal presidente Napolitano: evitare la pura contrapposizione, favorire l'ascolto reciproco, controllare la qualità della spesa in maniera tale da non colpire la buona ricerca. I professori devono fare autocritica e cominciare a porre limiti ai loro giochi di potere che vanno sempre a scapito della qualità degli studi. E gli studenti devono sapere isolare i mestatori di professione che accorrono numerosi non appena il venticello della protesta turba la bonaccia quotidiana.
Per la disciplina, infine, c'è una e una sola risposta. Gli episodi di illegalità, tanto più se violenti, devono essere isolati e additati al pubblico dagli stessi che fanno parte della comunità degli studiosi in cui si verificano, che si tratti di scuola superiore o di università. In tal senso è dei docenti la maggiore responsabilità che non può essere surrogata da atteggiamenti ambigui: vedere e non vedere, prendere o non prendere provvedimenti per quieto vivere. Solo così si potrà impedire che le divise entrino in azione sconvolgendo l'antica regola della sacralità degli studi.

da Il tempo







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