LA GELMINI RACCONTATA DALLA MASTROCOLA
Data: Giovedì, 23 ottobre 2008 ore 14:27:59 CEST
Argomento: Comunicati


 Unità: La Gelmini raccontata dalla Mastrocola
23-10-2008

Tra le voci degli insegnanti della scuola superiore - poco propensi, per il momento, a reagire all'attacco sferrato alla scuola pubblica - l'unica che circola con una certa continuità è quella di Paola Mastrocola, docente in un liceo classico torinese e autrice di La scuola raccontata al mio cane. Prima intervista Gelmini, poi viene intervistata da "Repubblica", fornendo in entrambi i casi un punto di vista che - questa è l'impressione - non coincide con il parere di molti insegnanti. «Dispiaciuta, intristita» dall' «odio e dalla contrapposizione continua che la sinistra sta generando» sulla scuola. «Mai un dubbio, mai una crepa. È un ministro diritto». Non è lusinghiero, nonostante le ipotizzabili intenzioni, il ritratto di Gelmini che emerge dall'intervista che la Mastrocola le ha fatto su "La Stampa " qualche tempo fa; fatta per verificare se è vero, "come dicono", che Gelmini non abbia alcuna idea di scuola. Assunto erroneo; Gelmini un'idea di scuola ce l'ha, eccome: banale, obsoleta, completamente scollata dalla realtà; un'idea inadatta e pericolosa, pertanto, intrisa di spiriti mercantilistici e di efficientismo da fabbrichetta del nord. Mastrocola - dopo aver conversato con il ministro di Dante, Shakespeare, di latino e greco: quanta cultura in chi è dovuta espatriare in Calabria per vincere il concorso da procuratore! -, si limita ad interloquire con Gelmini sulle sue "personalissime ossessioni sulla scuola d'oggi": ritorno dei programmi, con limitazione dell'autonomia didattica; identikit del bravo insegnante; il senso del recupero scolastico così com'è. Noto tra parentesi, che nel desolante panorama della scuola italiana, il fatto che un'insegnante abbia proprio questi tre rovelli rappresenta un'opzione quanto meno singolare, eccessivamente ottimista o smisuratamente lontana dalla realtà. L'opzione - confermata anche nell'intervista rilasciata da Mastrocola a "Repubblica" - di chi individua nella scuola superiore - e, in essa, nel liceo - l'unica unità di misura. Ma forse proprio la scuola di classe e lo snobismo culturale che dietro quell'idea si nasconde marcano la mancanza di senso di tante riflessioni e analisi sulla scuola di oggi e sulle sue prospettive.

Insomma, Mastrocola chiede autonomia didattica, per tornare ai sospirati "programmi", quasi una panacea contro il relativismo minaccioso di una parte della scuola (quella non liceale, appunto; quella che non interagisce con i figli della selezione sociale; quella piccola parte che non ha ancora deciso di gettare la spugna, che ha ancora voglia di combattere per il rinnovamento e per l'emancipazione) che quotidianamente tenta di scomporre e ricomporre paradigmi per trovare strategie educative; che investe nella relazione per salvare dalla dispersione; che rivede i contenuti delle discipline non per abbassare il livello o evadere la coercizione al programma, ma per individuare strumenti di coinvolgimento. E mentre Mastrocola chiede autonomia didattica, l'altra risponde - dimostrando, da bravo ministro dell'Istruzione, di aver ben inteso la domanda - con questa agghiacciante dichiarazione: "Sono per un'autonomia che rappresenti un recupero di efficienza nella gestione delle risorse e anche dal punto di vista operativo e gestionale". Dove la triste teoria di termini "marketing oriented" fa pensare più a una joint venture, ad una ottimizzazione del "capitale umano" che all'idea di scuola dello Stato sancita dalla Costituzione. Alla soppressione dell'inutile provvedimento sul recupero dei debiti, poi, il ministro si oppone per nobili motivazioni didattiche e pedagogiche "Le famiglie direbbero: questa Gelmini obbliga le famiglie a pagarsi fior di lezioni private!".

Ma la parte più interessante del colloquio è quello dedicato a definire il bravo insegnante: per Gelmini quello che assicura "presenza, continuità didattica, disponibilità all'aggiornamento e" - last, but non least - "le performance (SIC!)dei ragazzi". Interessanti indicatori: demagogiche etichette per corroborare un'idea di scuola (e Mastrocola aveva pure dubbi che Gelmini ne avesse una!) che perde definitivamente i connotati di un luogo in cui (oltre al "premio per il ritorno dell'investimento", parole del ministro) si individui una cultura della valutazione meno pedestre, scontata e frettolosa. Meno monetabilizzabile. È il solito revival della "guerra tra poveri" - versione meritocratica - che si tenta di riproporre. Il problema è che la demotivazione degli insegnanti oggi rischia di far riuscire l'operazione. Chi l'ha detto, ad esempio, che un precario - che ogni anno è sottoposto a un penalizzante cambiamento di sede - non possa essere un buon insegnante? O che chi insegna in scuole socio-culturalmente selezionate (ottenendo pertanto risultati apparentemente migliori) sia più meritevole di chi combatte quotidianemente in ambienti deprivati? O, senza tornare su tante legittime argomentazioni contrapposte alle "crociate" di Brunetta, che un insegnante che si assenta per motivi legittimi sia meno capace di uno assiduo?

Dulcis in fundo: la Tv alleata numero uno della scuola. Anche in questo le due signore sembrano concordare. Peccato che Gelmini abbia certamente dimenticato di parlarne con il suo capo; che continua a iniettare nelle teste dei ragazzi massicce dosi di droga finalizzata alla totale atrofia dei cervelli.






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