Scuola, un modello a misura dell’imprenditorialità diffusa. Formazione tecnica e alternanza studio e lavoro.
Data: Mercoledì, 22 ottobre 2008 ore 21:06:37 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Scuola e formazione servono a preparare i ragazzi alla vita e al lavoro; dovrebbero dunque riflettere sia il sapere e le culture specifiche di ciascun Paese, sia le sue vocazioni economiche e produttive. Così, ad esempio, negli Stati Uniti o nella Gran Bretagna ci sono le business school per i futuri manager che andranno a guidare le aziende di grandi dimensioni a carattere multinazionale e con forte orientamento alla finanza. La Francia, invece, ha la sua Ena, l’Ecole nationale d’administration, la quale ha sfornato (oltre che prestigiosi politici) grandi imprenditori e famosi manager, allevati nel culto dei valori della grandeur e pronti ad occupare i posti di comando delle amministrazioni pubbliche (intese come grandi aziende) e delle aziende private (che come le pubbliche amministrazioni sono fortemente gerarchiche).

Il nostro modello produttivo, la nostra tipicità sono nella imprenditorialità di popolo, nella piccola impresa diffusa, capace di dar vita a quello che viene definito Italian Style of life, il vivere all’italiana, amato e apprezzato in tutto il mondo. Dove si radica e si alimenta questo modello e a quale "concept" di educazione/formazione fa riferimento? E’ la grande tradizione delle botteghe artigiane, quell’ambiente particolare nel quale, attorno al "maestro", sono stati formati non solo artigiani sopraffini che sono diventati imprenditori nel mondo ma anche grandi artisti: protagonisti che hanno animato la storia economica, culturale e sociale del nostro Paese dai Comuni in poi. Da quella tradizione deriva la caratteristica tipica dell’impresa italiana, soprattutto piccola e piccolissima impresa ad alta specializzazione, capace di dar vita a prodotti frutto di genio, creatività e senso pratico, sempre tagliati su misura del cliente, espressione di attenzione e capacità di rapporto con l’altro, in grado di incontrare il gusto e di far tendenza.

Questa è l’essenza del Made in Italy. Se vogliamo immaginare un prototipo di scuola italiana del futuro, non possiamo mettere da parte questo modello culturale ed economico. Si pone così il problema di quale deve essere il sistema formativo più adatto alla realtà italiana che sia insieme un "milieu" di introduzione alla vita, educazione al bello, approccio al lavoro. Si pone in sostanza il problema di come continuare ad alimentare e supportare il fenomeno dell’imprenditorialità diffusa.

Due aspetti, fra tutti, sono oggi in palese sofferenza: quello della formazione sul posto di lavoro (e, quindi, l’apprendistato e l’alternanza scuola-lavoro); quello della istruzione professionale, da sempre fortemente richiesta dalle nostre imprese. Alla base di questa criticità c’è uno specifico, spesso implicito assunto, e cioè l’idea che il vero "sapere" sia quello teorico erogato dal sistema scolastico ed universitario e che il sapere che nasce dall’esperienza di contatto con il mondo del lavoro ne sia una forma di minor valore.

In particolar modo sull’alternanza l’Italia sconta un ritardo enorme anche rispetto ad altri Paesi europei. Basti dire che quando, nel 2003, si era in procinto di approvare la legge 53 che introduceva questo principio nel nostro ordinamento scolastico, per il 56,8% degli studenti svizzeri o per il 52,5% di quelli danesi la formazione in alternanza era già una realtà. Malgrado gli sforzi, in Italia oggi la formazione in alternanza interessa meno del 20% degli studenti delle scuole medie superiori e delle università.

Altrettanto importante è la promozione della istruzione e formazione tecnica. Sono i profili professionali che le imprese cercano maggiormente per poter crescere in innovazione, qualità del servizio, capacità di ideazione, individuazione dei percorsi di sviluppo anche all’estero, ottimizzazione del lavoro. Due dati tratti dall’ultima indagine Excelsior lo dimostrano: quello relativo all’esperienza di lavoro che è richiesta da un gran numero di imprese ai candidati all’assunzione (essa interessa il 55,7% del totale degli assunti) e quello riguardante la formazione ulteriore che le imprese ritengono di dover fornire ai nuovi assunti (che interessa addirittura il 72,2% delle assunzioni totali).

Ulteriori segnali, questi, di un ripensamento necessario, urgente del nostro sistema scolastico, perché in esse affondano le radici del futuro (anche economico) del nostro Paese.

GIUSEPPE TRIPOLI (segretario generale Unioncamere)

(da www.lasicilia.it)







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