Scuola e formazione servono a preparare i ragazzi alla vita
e al lavoro; dovrebbero dunque riflettere sia il sapere
e le culture specifiche di ciascun Paese, sia le sue vocazioni
economiche e produttive.
Così, ad esempio, negli Stati Uniti o nella Gran Bretagna ci
sono le business school per i futuri manager che andranno a
guidare le aziende di grandi dimensioni a carattere multinazionale
e con forte orientamento alla finanza.
La Francia, invece, ha la sua Ena, l’Ecole nationale d’administration,
la quale ha sfornato (oltre che prestigiosi politici)
grandi imprenditori e famosi manager, allevati nel culto dei
valori della grandeur e pronti ad occupare i posti di comando
delle amministrazioni pubbliche (intese come grandi aziende)
e delle aziende private (che come le pubbliche amministrazioni
sono fortemente gerarchiche).
Il nostro modello produttivo, la nostra tipicità sono nella imprenditorialità
di popolo, nella piccola impresa diffusa, capace
di dar vita a quello che viene definito Italian Style of life, il
vivere all’italiana, amato e apprezzato in tutto il mondo.
Dove si radica e si alimenta questo modello e a quale "concept"
di educazione/formazione fa riferimento? E’ la grande
tradizione delle botteghe artigiane, quell’ambiente particolare
nel quale, attorno al "maestro", sono stati formati non solo
artigiani sopraffini che sono diventati imprenditori nel mondo
ma anche grandi artisti: protagonisti che hanno animato la
storia economica, culturale e sociale del nostro Paese dai Comuni
in poi. Da quella tradizione deriva la caratteristica tipica
dell’impresa italiana, soprattutto piccola e piccolissima
impresa ad alta specializzazione, capace di dar vita a prodotti
frutto di genio, creatività e senso pratico, sempre tagliati su
misura del cliente, espressione di attenzione e capacità di rapporto
con l’altro, in grado di incontrare il gusto e di far tendenza.
Questa è l’essenza del Made in Italy.
Se vogliamo immaginare un prototipo di scuola italiana del
futuro, non possiamo mettere da parte questo modello culturale
ed economico.
Si pone così il problema di quale deve essere il sistema formativo
più adatto alla realtà italiana che sia insieme un "milieu"
di introduzione alla vita, educazione al bello, approccio
al lavoro. Si pone in sostanza il problema di come continuare
ad alimentare e supportare il fenomeno dell’imprenditorialità
diffusa.
Due aspetti, fra tutti, sono oggi in palese sofferenza: quello
della formazione sul posto di lavoro (e, quindi, l’apprendistato
e l’alternanza scuola-lavoro); quello della istruzione professionale,
da sempre fortemente richiesta dalle nostre imprese.
Alla base di questa criticità c’è uno specifico, spesso implicito
assunto, e cioè l’idea che il vero "sapere" sia quello teorico
erogato dal sistema scolastico ed universitario e che il sapere
che nasce dall’esperienza di contatto con il mondo del lavoro
ne sia una forma di minor valore.
In particolar modo sull’alternanza l’Italia sconta un ritardo
enorme anche rispetto ad altri Paesi europei. Basti dire che
quando, nel 2003, si era in procinto di approvare la legge 53
che introduceva questo principio nel nostro ordinamento
scolastico, per il 56,8% degli studenti svizzeri o per il 52,5% di
quelli danesi la formazione in alternanza era già una realtà.
Malgrado gli sforzi, in Italia oggi la formazione in alternanza
interessa meno del 20% degli studenti delle scuole medie superiori
e delle università.
Altrettanto importante è la promozione della istruzione e
formazione tecnica. Sono i profili professionali che le imprese
cercano maggiormente per poter crescere in innovazione,
qualità del servizio, capacità di ideazione, individuazione dei
percorsi di sviluppo anche all’estero, ottimizzazione del lavoro.
Due dati tratti dall’ultima indagine Excelsior lo dimostrano:
quello relativo all’esperienza di lavoro che è richiesta da un
gran numero di imprese ai candidati all’assunzione (essa interessa
il 55,7% del totale degli assunti) e quello riguardante la
formazione ulteriore che le imprese ritengono di dover fornire
ai nuovi assunti (che interessa addirittura il 72,2% delle assunzioni
totali).
Ulteriori segnali, questi, di un ripensamento necessario, urgente
del nostro sistema scolastico, perché in esse affondano
le radici del futuro (anche economico) del nostro Paese.
GIUSEPPE TRIPOLI
(segretario generale Unioncamere)
(da www.lasicilia.it)