VIOLENZA IN CATTEDRA. Gli studenti contro il ministro si trasformano in black bloc
Data: Mercoledì, 22 ottobre 2008 ore 18:52:42 CEST
Argomento: Rassegna stampa


IN Cortei non autorizzati, binari occupati, scontri con la polizia.
Feriti e contusi. Insulti, slogan e sputi.
Da un capo all'altro dell'Italia. Ma non le avevamo già viste queste sce¬ne?
Non è, per caso, il remake di qualche film dell'orrore d'infimo or¬dine? Scorriamo le agenzie di stam¬pa che si sono intrecciate ieri, per tutta la giornata, e scopriamo che a Milano gli scontri con la polizia so¬no cominciati a piazzale Cadorna dopo che un corteo, non autorizzato, partito dall'Università, ha asse¬diato la stazione delle ferrovie Nord nell'originale tentativo di occupar¬la e di bloccare i treni.
A Bologna un'azione fotocopia: cen-tinaia di universitari in corteo han¬no raggiunto la sede del Rettorato e vi hanno fatto irruzione. Poi si sono diretti alla stazione e hanno occupato il primo binario per una decina di minuti. In compenso a Roma, per tutto il giorno, il senato accademico de La Sapienza, è stato messo sotto pressione dagli studenti (che in cin¬quemila hanno partecipato a un sit- in nella città universitaria) e ha do¬vuto riunirsi per decidere il blocco delle lezioni richiesto dai contesta¬tori che erano partiti con una dichia¬razione programmatica: «E adesso provate a fermarci».
A Firenze gli «studenti di sinistra» e dei «collettivi universitari» hanno manifestato in 40mila grazie alla preziosa regia dei sindacati della scuola di Cgil, Cisl e Uil della Tosca¬na.
E simili scene si sono registrate a Genova, Napoli e a Palermo, dove anche il rettore Giuseppe Silvestri ha voluto metterci del suo, oscuran¬do, con una personalissima prote¬sta, il sito web dell'ateneo.
Metten¬do insieme i pezzi di questo puzzle del disastro organizzato si può leg¬gere, nostro modesto avviso, una sorta di slogan che astutamente non viene divulgato ai e dai diretti interessati.
Lo slogan, che poi è una sorta di invito alla armi, suona più o così: «Noi il Sessantotto ce lo siamo perso, dicono che erano bei tempi e quindi lo rivogliamo».
Di fatto, scusate il paragone forse un po' azzardato, il principio è mol¬to simile a quello che anima i sup¬porter delle case chiuse. Se, anagra-ficamente, sono sempre meno quel¬li che le hanno, a suo tempo, potute apprezzare, anagraficamente sono anche sempre di più (persino chi scrive se le è perse per un soffio) coloro che non hanno potuto goder ne appieno fascino e frisson. Solo che a questo punto bisogna intro-durre un doveroso distinguo: ai casi¬ni ci si andava, così ci raccontano le cronache dell'epoca, con grande senso della privacy e della compo¬stezza.
Si faceva quello che si dove¬va fare e si usciva, insalutati ospiti, con la medesima discrezione con cui si era entrati. Mentre la nuova nostalgia del casi¬no intesa come il Sessantotto della contestazione è finalizzata solo ed esclusivamente a far casino: sfascia¬re, picchettare, contestare.
E occu¬pare, scritto con o senza la kappa, poco importa. Quindi «il che cosa ci siamo persi» si traduce nei nuovi so¬gni eroici di un'accozzaglia di prof e studenti assatanati contro la signo¬ra Gelmini che hanno in testa una sola idea perversa: sovvertire l'ordi¬ne. A qualunque costo.
D'altra par¬te il tam tam dello «smsmessaggia¬mento» di questi giorni è sufficiente¬mente illuminante: in ogni città si reclutano volontari disposti al picchettaggio duro.
E i risultati, da un capo all'altro dell'Italia, non hanno né capo né coda se è vero come è vero che a Trieste gli insegnanti han¬no posto agli studenti un insolito ul¬timatum: o scioperate o vi boccia¬mo.
E se è vero come è vero che a Milano, durante la tanto sospirata autogestione scolastica, non si orga-nizzano corsi di cucina né di educa¬zione civica e nemmeno di lettura dei tarocchi (che magari sortirebbe¬ro il risultato di far scambiare la ma-ga Circe per una imbonitrice televi¬siva) ma adunate più o meno sedi¬ziose.
Troverete con dovizia di parti¬colari in altre parti del Giornale che nelle scuole metropolitane, anzi nei cortili delle medesime si fanno le prove pratiche di raggruppamen¬to in corteo e di sfilate.
E di uso del megafiino con annesso urlo di slo¬gan. Eccolo il nuovo Sessantotto (o anche il nuovo '77 che è stato un po' come i rigurgiti da latte nei poppanti) di cui si sente tanto la voglia e la mancanza nelle sbrindellate scuole del Paese.
Non è ancora tutto. Poiché al peggio non c'è mai fine, nell' autogestione dalla mille inaspetta¬te risorse c'è anche chi ha pensato bene di organizzare un vero e pro¬prio corso di specializzazione in sin¬dacalismo. Per la gioia della glorio¬sa Triplice che cavalcò la protesta quarant'anni fa.
Com'è che diceva Aristotele? «Le persone oneste e intelligenti non faranno mai una rivoluzione.
Perché sono sempre in minoranza».





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