Libri / Dizionario affettivo della lingua italiana
Data: Domenica, 19 ottobre 2008 ore 14:19:49 CEST Argomento: Rassegna stampa
Recentemente, sulla rete, si è raccolto
grande interesse attorno ai
"dizionari creativi". L'idea è di fornire definizioni alternative delle
parole, attraverso aneddoti, microracconti, o semplicemente riflessioni
personali. Qualche esempio: la collezione di lemmi di Tiziano Scarpa e
altri su Il
primo amore, il Lexicon di Pordenonelegge a cura di Alberto
Garlini, e il manuale di slang urbano Bruttastoria. Il
Dizionario
affettivo della lingua italiana, a cura di Matteo B. Bianchi e Giorgio
Vasta, è il frutto più maturo di questa tendenza: più di trecento
scrittori per più di trecento lemmi.
Il Dizionario affettivo della lingua italiana, a cura di Matteo B.
Bianchi e Giorgio Vasta, è il frutto più maturo di questa tendenza: più
di trecento scrittori per più di trecento lemmi. Lo spunto viene di
nuovo dalla rete, e per la precisione da un numero
speciale di 'tina, la rivista online di B. Bianchi. La proposta era
semplicissima: ogni scrittore era chiamato a parlare della propria
parola preferita. Non dell'oggetto da essa designato, ma della parola
in quanto tale. Uno può odiare i cani e trovare il termine cane, per
ragioni personalissime, un termine magico. (E dunque, in un certo
senso, non si trattava tanto di un dizionario quanto di un
meta-dizionario). La versione 1.0 divenne rapidamente un oggetto di
culto: di qui la volontà di ampliarla e renderla un libro.
In realtà, il pioniere di questo trend viene (come spesso accade) da
oltreoceano, ed è il Future Dictionary of America, pubblicato da
McSweeney's nel 2005. Oltre al parco scrittori da brivido (King, Chabon
e Vonnegut fra gli altri), il volume aveva un'impronta abbastanza
politica. L'editore lo definì una "guida al linguaggio americano del
futuro, quando tutti o quasi i problemi del paese saranno risolti, e
l'amministrazione attuale nulla più di un ricordo". I proventi delle
vendite, inoltre, vennero devoluti a gruppi attivisti contrari a Bush.
Il Dizionario affettivo della lingua italiana riprende questa idea e la
sviluppa sulla base di esigenze molto più intime. Il risultato è un
volumetto divertente e discontinuo, vista anche la varietà degli autori
raccolti: si va da Andrea Camilleri a Sandro Veronesi, da Paolo
Giordano a Gianluca Morozzi, passando per nomi sacri come Arbasino. Ci
sono lemmi in dialetto, neologismi e accezioni diverse per uno stesso
termine. Ci sono brani di una riga o di quattromila battute, scanzonati
oppure serissimi. Ci sono parole "alte" e parole "basse", e
inquietudine convive democraticamente con pizza. E in fondo questa
discontinuità si rivela la cifra autentica del libro.
Da un lato, l'idea di giocare sulla parola preferita — quasi un tema da
scuola elementare — lo rende leggero quel tanto che basta. Dall'altro,
la raccolta comunica anche qualcos'altro, una necessità più nascosta e
profonda: il bisogno di riappropriarsi di determinate parole. Se
accettiamo l'idea che una crisi si rifletta anche nel linguaggio (e
dunque produca retorica, luoghi comuni e appiattimento televisivo)
allora sembra necessario ridare profondità a quei termini che sono
stati abusati — in senso quasi fisico.
"Nella sua linearità", scrive Matteo B. Bianchi nella prefazione, "la
richiesta nascondeva la consapevolezza che gli scrittori, per
raccontare, usano le parole. Sono i loro strumenti, i "ferri del
mestiere". Ma sono anche legami feticci, rappresentano ragioni di
orgoglio, di passione, oppure di insofferenza, di frustrazione. Le
parole sono emotività, sono affetti."
Una lingua è come un corpo. Resiste agli urti e li assorbe, si sviluppa
lungo linee precise, pulsa in direzioni diverse, e come un corpo viene
amata. Se tutto questo viene ricordato, se c'è consapevolezza del
potere del linguaggio, del bisogno di ridare senso, allora c'è futuro.
Riprendersi le parole. Farle risuonare con un'eco profonda. È un buon
punto di partenza per ritornare anche alle cose stesse.
Il sole24ore
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