POPPER E I NEMICI DELLA SOCIETA' APERTA:LA LOTTA INTELLETTUALE CONTRO OGNI TOTALITARISMO
Data: Giovedì, 16 ottobre 2008 ore 16:16:49 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Popper e i nemici della 'società aperta': la lotta intellettuale contro ogni totalitarismo

di Roberto Lolli*

 

Affrontando in classe il tema del totalitarismo novecentesco, risulta prezioso soffermarsi sulle posizioni di Karl Raymund Popper (1902-1994) ne La società aperta e i suoi nemici. Il testo, concepito nel 1943, in pieno conflitto mondiale, costituì per il filosofo il modo di combattere per la libertà allora negata nel mondo.

 

Il filosofo e il suo tempo

La vicenda personale del filosofo austriaco era stata segnata dall’avvento al potere di Hitler, dall’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista nel 1938 e dalla conseguente emigrazione prima in Nuova Zelanda e poi in Inghilterra per sfuggire al regime nazionalsocialista. Ciò condusse Popper a occuparsi del problema della libertà politica.

Come John Stuart Mill, anche Popper coniuga l’indagine epistemologica con la riflessione politica e tra i due campi di interesse vi è uno stretto legame. Sotto questo aspetto, è utile mostrare come la filosofia tenda a riappropriarsi nel Novecento del discorso politico anche grazie ad autori che rinunciano alla specializzazione per cercare di cogliere l’unità dei problemi, come prova l’analogo esempio di Bertrand Russell con il suo impegno radicalmente pacifista.

Un grande limite del pensiero tra fine Ottocento e inizio Novecento è stato quello della specializzazione dei discorsi filosofici: i pensatori teoretici si occupavano solo di metafisica, gli epistemologi di scienza, e così via. La frammentazione dei discorsi aprì così la strada a una certa deresponsabilizzazione dei pensatori che, specializzandosi in un determinato settore o argomento coltivavano l’alibi – non avendo ‘i titoli accademici’ per parlare – per sottrarsi all’impegno etico di una presa di posizione.

Di ciò si era accorto Husserl ne La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1935), individuando l’origine della decadenza della scienza occidentale proprio nel suo momento più conclamato, vale a dire con la rivoluzione scientifica galileiana: il trasferimento dell’interesse dello scienziato dall’essenza indimostrabile alla quantità osservabile è anche l’inizio, per Husserl, del suo allontanamento etico nei confronti del mondo.

Popper, invece, con La società aperta e i suoi nemici scrive un manifesto contro il totalitarismo che è strettamente connesso alla Logica della scoperta scientifica del 1931. Il comune punto di partenza delle due opere è la fallibilità umana e quindi, per Popper, rivedere i paradigmi necessari alla costruzione del metodo scientifico è una cosa sola con l’analisi dei fondamenti della società democratica. Non sono due discorsi, ma uno solo.

Presentare una teoria scientifica come una formulazione sempre provvisoria, soggetta a revisione e riscrittura, significa configurare un modello di società scientifica aperta, non autoritaria, disponibile ad autocorreggersi nella consapevolezza che l’uomo non è onnipotente.

 

La verità totalitaria

Analogamente, una società politica deve accettare che la verità non faccia parte del discorso pubblico, poiché la verità è intrinsecamente autoritaria e la sua scoperta impone il silenzio e la cessazione della ricerca. La politica, invece, è per Popper il campo delle opinioni legittime, dei molteplici punti di vista parziali che hanno piena possibilità di interazione all’interno di un sistema di regole eque che garantiscano a tutti la libertà.

Nei regimi totalitari accade l’esatto contrario: la ‘verità’ domina, sia quella della razza, del destino storico del proletariato o della rivelazione religiosa. I regimi totalitari impongono alla società le loro verità assolute, che comportano la definizione di un assetto stabile, immodificabile e autoritario: cosa conta, in un tale sistema, l’individuo? Esso è sacrificabile in nome della purezza della verità.

Il primo modello di queste strutture autoritarie è identificato da Popper nella Città Perfetta di Platone. Dopo Platone, ciò che Popper chiama ‘storicismo’ – vale a dire il sistema hegeliano e la filosofia di Marx – contribuisce a perfezionare i cardini del totalitarismo moderno: all’idea platonica di una verità assoluta si aggiunge quella del raggiungimento nella storia di tale perfezione attraverso l’incarnazione dello Stato etico o della Rivoluzione.

Un autentico liberalismo e i ‘falsi liberali’ di ieri e di oggi

La società aperta teorizzata da Popper è antitetica rispetto a quella totalitaria: nel solco del liberalismo, il filosofo pensa a un modello nel quale l’individuo conti più dell’astratta somma delle parti su cui si fonda lo stato etico platonico o hegelo-marxista; nella società aperta il mondo ha il diritto di evolversi e le regole che lo governano si possono modificare come l’epidermide asseconda la crescita del corpo.

Le regole, secondo Popper, sono la garanzia della parità di condizioni e nel suo ultimo intervento pubblico – Cattiva maestra televisione – il filosofo prende parola sullo strumento principale della manipolazione del consenso e sui suoi pericoli. Se non c’è libero accesso ai media e se questi sono in mano a persone senza scrupoli e privi di senso di responsabilità in rapporto all’impiego di tali strumenti, la democrazia è in grave pericolo.

Strana sorte quella di Popper, avere difeso la democrazia contro i suoi nemici e poi aver visto i suoi cosiddetti ‘amici’ lottare quasi ovunque per appropriarsi dell’egemonia mediatica, svuotando, di fatto, la società della sua autentica, indispensabile apertura.

Un dibattito in classe sul tema della ‘società aperta’, capace di attraversare gran parte del programma sia di filosofia che di storia o delle diverse letterature, può consentire agli studenti una rilettura critica su molti autori. Oppure, attualizzando ulteriormente, può permettere di riflettere sul fatto che la società in cui viviamo non sia poi così ‘aperta’.

 

*Insegna Filosofia e storia presso il Liceo scientifico 'A. Roiti' di Ferrara. Ha curato con P. Salandini l'opera di storia della filosofia Filosofie nel Tempo, diretta da Giorgio Penzo, 4 voll., Roma, SpazioTre, 2000-2006.

 

 

 







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