Lo stupidario degli universitari
Data: Luned́, 06 ottobre 2008 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Se il ministro dell’Istruzione va a fare l’esame da avvocato in Calabria dove si passa di più, che sarà mai se un aspirante scienziato politico - ai test d’ammissione per «Scienze internazionali» all’università di Forlì - alla domanda «chi uccise Giacomo Matteotti?» risponde «le Br»? È appena accaduto, università di Bologna.

La questione è stata sollevata, per la verità con comprensibile sofferenza, da Filippo Andreatta, il figlio di Beniamino, professore in quell’ateneo, che ha avuto la ventura di correggere i test d’ammissione alla scuola in Scienze internazionali della facoltà «Roberto Ruffilli» di Forlì. La platea, non composta da aspiranti veline o palleggiatori ma da gente che da grande (sono già grandi, per la verità) vorrebbe fare il diplomatico o il ricercatore, ha dipinto un indimenticabile ritratto dello spirito del tempo. Ha raccontato Andreatta: «Nessuno degli studenti intervistati aveva una conoscenza dettagliata dell’evoluzione politica della Repubblica, e la maggior parte non ne ha nemmeno un’idea generale». E ha fornito qualche piccola prova.

Ne è nato uno stupidario che in queste ore molto sta facendo ridere - e preoccupare - Bologna, la città di questa storia tragicomica, politicamente superimpegnata, rossa ma anche cattolicissima, epicentro nel passato recente di eventi cardine della storia repubblicana, e in quello recentissimo culla del prodismo e del Mulino, l’ultima esperienza di centrosinistra vincitore vista in Italia. Italia illuminata, insomma, non le caverne della storia. I ragazzi di tutto questo non sembrano essersi accorti. Nessuno gliel’ha detto. Erano alla playstation.

«Chi ha ucciso Giacomo Matteotti?». Risposta: «Le Br» (peraltro collocate cronologicamente nei primi Anni Sessanta). «Chi era Roberto Ruffilli?» (oltretutto la Facoltà dove si tenevano le prove è intitolata a senatore democristiano assassinato dalle Br nell’88). «Uno scienziato». «In quale contesto hanno lavorato insieme le figure di Massimo D’Antona e Marco Biagi?». Silenzio, buio, vuoto pneumatico.

«Piazza Fontana» è stata scambiata per un luogo dove vedersi il prossimo fine settimana. I fratelli Rosselli ignorati, confusi chissà, con dei costruttori di scarpe. C’è chi, alla domanda «cos’è stato il Msi?», ha detto un’azienda di stato, risposta errata a meno che non si voglia ipotizzare una sottile interpretazione da parte del ragazzo revisionista. Ad altri erano sconosciuti «quali partiti si sono fusi nel Pdl, o nel Pd»; zero anche sulla crisi nel Caucaso, le tensioni in Pakistan (attribuite a Gheddafi che qualcosa c’entra sempre), le elezioni americane o il crac finanziario negli Stati Uniti. «Le risposte in quasi tutti i casi sono state deludenti», comunica Andreatta. Spesso risibili. La professoressa, sgomenta, ha tentato la difesa in extremis: con me avevano sempre studiato. L’assimilazione l’hanno fatta però davanti al Gabibbo.

Questi universitari sono convinti che il Pci di Palmiro Togliatti sia stato il partito che ha governato l’Italia «per gran parte della storia repubblicana», tesi peraltro analoga a quella che compare nell’opuscolo «Italia Forza», spedito nelle case degli italiani per le ultime elezioni. Altri lo ritengono «uno dei cardini del pentapartito», riscrittura della storia innocente quindi più interessante di quella tentata oggi con Salò. L’unico modo per esorcizzarla è, forse, la sublime ironia di tempi andati. A Torino ancora raccontano una giornata memorabile per un’intera generazione, quando Gaetano Scardocchia, direttore della Stampa, accolse così, nel salone al piano terra del giornale, i giovani usciti dalle selezioni di una scuola di giornalismo: «Siete stati tutti bravissimi, molto preparati, complimenti. A parte uno che alla domanda sul Dalai Lama ha risposto “è un vulcano”». Ovviamente, gelo davanti al leggendario direttore; che per fortuna era divertito dall’accaduto, e la buttò a ridere. Tra parentesi, l’imputata, elegantemente, si autodenunciò.

da La stampa







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