Per comprendere le cause che hanno portato alla
presunta disparità a favore di 12 mila insegnanti di Religione occorre
partire dal 1980. L'accavallamento di una serie di normative, con tutta
probabilità non adeguatamente coordinate, ha consentito agli assunti di
Religione di partire con uno stipendio più alto anche del 10 per cento
rispetto agli altri insegnanti nelle medesime condizioni.
Ventisette anni fa, una serie di contorsioni dell'ordinamento giuridico
italiano ha comportato un indubbio vantaggio per i neoassunti di
Religione. Nel 1980 vennero concessi loro scatti di stipendio maggiori
poiché la loro condizione era quella di "precari sine die", pagati dallo
Stato italiano ma senza poter godere dei meccanismi riguardanti i colleghi
di ruolo.
Nel 2003 l'allora ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, indisse il
primo concorso della storia repubblicana per assumere definitivamente 15
mila insegnanti di Religione. E poco prima di passare la mano al
centro-sinistra, nel febbraio 2006, il governo Berlusconi stabilì che gli
incrementi stipendiali di cui avevano goduto i precari di Religione prima
di entrare di ruolo venivano conservati anche dopo.
Così quello che per i prof di Religione era un handicap (il precariato a
tempo indeterminato stabilito dal Concordato Stato-Chiesa) si trasformò in
un vantaggio. Basta fare due conti per comprenderne gli effetti. Un prof
di Religione con otto anni di anzianità, neppure troppi per i precari
della scuola, ad inizio carriera percepisce uno stipendio del 10 per cento
più consistente rispetto ai colleghi delle 'altre materie'.