Caccia al supplente, le scuole bruciano 60 milioni
Data: Venerd́, 03 ottobre 2008 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Comunicati


Che cosa prevede il regolamento? Prima la telefonata, poi la convocazione per telegramma. Se un insegnante è assente per malattia, o per altri motivi, la segreteria della scuola consulta l'elenco delle graduatorie dei docenti che hanno dato la loro disponibilità. Prima li cerca al telefono, se non li trova spedisce un telegramma, poi aspetta la risposta. Ma l'insegnante precario ha diritto a iscriversi a trenta diversi istituti e non ha l'obbligo, una volta rintracciato, di rendersi effettivamente disponibile. Può essere andato in un’altra scuola o può, semplicemente, decidere di non accettare l’incarico se non gli sembra conveniente, senza alcuna conseguenza. Prima del 2002, invece, chi diceva “no” aveva una sanzione, poi cancellata. Infatti, se il rifiuto non aveva un giustificato motivo il docente veniva retrocesso in fondo alla graduatoria. A complicare la situazione si aggiunge il fatto che i presidi sono costretti a contattare in modo indifferenziato i professori presenti nelle graduatorie, senza tenere conto della loro residenza.

Dunque, sessanta milioni di euro l’anno vengono spesi per chiamare i supplenti ma con un sistema più razionale si potrebbe ridurre la spesa. Altri quattro miliardi di euro vengono spesi per pagare i bidelli, cifra che secondo il ministero non ha eguali in tutta Europa, a causa di un rapporto «eccessivo» tra personale non docente e classi. Sono 167 mila i bidelli, in media 15,6 per ogni scuola, uno ogni 2,2 classi: troppi, più numerosi dei carabinieri, che non arrivano a 118 mila. I bidelli sono preziosi, ma sono mal distribuiti. Critica la Cgil. Se il ministro dell’Istruzione ritiene eccessivo il numero di assistenti educativi secondo il nuovo segretario generale della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo, vuol dire che il ministro ha «un’idea vecchia di scuola».

Continuando ad analizzare la più grande “azienda Italia”, la scuola, un milione di dipendenti, si scopre che abbiamo 16 mila scuole elementari cui corrispondono solo 7 mila scuole medie. Come è possibile? Non si capisce questo squilibrio, dal momento che elementari e medie, pur con durata diversa, servono la medesima popolazione scolastica. Non solo. Mille e 700 istituti, dei 10.800 presenti sul territorio nazionale, sono fuori norma: hanno un numero di studenti inferiore a quello stabilito, in particolare la Calabria e la Sardegna, 36%, l’Abruzzo, la Basilicata e il Molise, 30%. Sono necessari dei correttivi. Ma la manovra finanziaria decisa dal governo un paio di mesi fa impone «economie di spesa» per complessivi 7.832 milioni di euro entro il 2012. Manovra che comporterà non pochi sacrifici. Il taglio degli organici è cominciato nel 2007 e terminerà nel 2011, con una riduzione complessiva di 109 mila posti nell’arco di un quinquennio. E’ però interessante notare che il taglio è stato progettato da due governi di diversa colorazione politica: con la Finanziaria 2007 il governo Prodi ha disposto la prima riduzione di 42 mila posti di docente, in un quadriennio. Con la manovra finanziaria di questa estate il governo Berlusconi ha disposto una seconda riduzione di altri 67 mila posti, nell’arco del prossimo triennio. Tra l’anno scorso e questo se ne sono già andati 22 mila posti, nel 2009 e nel 2010 se ne andranno altri ventimila (diecimila l’anno). I tagli del governo Prodi dovranno essere applicati dall’attuale esecutivo. La riduzione toccherà tutti i settori, non solo la elementare, come qualcuno ha frettolosamente affermato.
Criticato anche il rapporto alunni-docenti. L’Ocse anche nell’ultimo rapporto mette a confronto i dati. Nella elementare da noi il rapporto è di 1 a 11, come in Grecia, contro una media Ocse di 1 a 16, con la Francia e la Gran Bretagna che hanno il rapporto di 1 a 20 e la Germania di 1 a 18. Se ci spostiamo alle medie e alle superiori da noi il rapporto rimane di 1 a 11, come in Grecia e in Portogallo, mentre in Gran Bretagna diventa di 1 a 14. Molti Paesi hanno la metà dei nostri insegnanti e risultati migliori. Anche nella media di alunni per classe stiamo al di sotto: da noi 18,4; in Gran Bretagna 24,5; in Francia 22,5; in Germania 22,1. Certo, in Italia l’integrazione dell’handicap è maggiore, così l’attenzione per le situazioni di disagio. Ma se la Germania per l’istruzione spende il 3,4% del Pil non si capisce perché l’Italia, con la stessa spesa, il 3,4% del Pil, abbia risultati tanto scarsi. Su 57 Paesi i nostri quindicenni sono al 36mo posto nelle capacità di problem solving, peggio di noi solo Grecia, Portogallo, Bulgaria e Romania. Meglio persino Lituania e Slovenia. Ma noi abbiamo anche 10 mila scuole, un quarto del totale, che hanno meno di 50 alunni e costano il doppio delle altre. Quali sono? 2.267 elementari, 970 medie e 560 superiori oltre a 5.735 materne. Alcune si trovano in zone di montagna, ma non tutte. A fronte di questo abbiamo un personale scolastico pagato cifre irrisorie: un insegnante di scuola dell’infanzia con meno di 8 anni di anzianità prende 14,6 euro lordi l’ora, poco più di una collaboratrice domestica; se prendiamo la busta paga di un professore delle scuole superiori con 15 anni di insegnamento alle spalle si scopre che il reddito si limita a 27.500 euro lordi l’anno, tredicesima inclusa.

La nostra scuola, dunque, ha molte zone d’ombra. A questo si aggiunge che 200 mila studenti delle superiori nel corso del quinquennio (il 33% al primo anno di corso) si perdono per strada per abbandono della scuola o per bocciatura. Un altro 70% delle superiori, circa 2 milioni di studenti, hanno una o più insufficienze alla fine del primo quadrimestre, un dato che nei professionali sale all’80%.

E i docenti? Duecentomila ogni anno all’apertura delle scuole cambiano cattedra, ruolo o sede. Chiedono di spostarsi per le più diverse ragioni. Una girandola frenetica di movimenti che, con un effetto domino, provoca lo spostamento di altre migliaia di insegnanti, costretti a girovagare nella provincia. Anche i dirigenti cambiano con una certa frequenza. Sono 48 i dirigenti generali che, solo negli ultimi sette anni, si sono alternati sulle 18 poltrone delle direzioni scolastiche regionali. In alcune sedi ci sono stati cinque direttori in sei anni, un tempo troppo breve per svolgere azioni di governo, per effetto della mobilità ma anche dello spoils system che non risparmia la scuola.

dal Messaggero







Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-12331.html