Io boccio i contestatori- Intervista a Luca Ricolfi
Data: Giovedì, 02 ottobre 2008 ore 22:00:00 CEST
Argomento: Comunicati


Il sociologo e editorialista della Stampa si conferma tra i pochi in grado di ragionare evitando schemi manichei e tenendo conto della "realtà effettuale".

Con l’accuratezza tipica di chi oppone alla fantasia dei luoghi comuni le carte e i numeri, Luca Ricolfi ha scritto sulla Stampa (Il mito della scuola elementare, 25 settembre) un articolo dettato dal suo sbalordimento per «l’incredibile pioggia di critiche, insulti, manifestazioni, sceneggiate, lezioni di pedagogia (e talora democrazia) che sono state riservate al neo-ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini». Ricolfi, professore di Analisi dei dati all’Università di Torino e autore del celebre Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori, ha dimostrato che «la maggior parte dei numeri spaventa-famiglie che sono stati agitati sono semplicemente falsi». Falso che il bilancio della scuola subirà tagli per 8 miliardi («il taglio del prossimo anno sarà inferiore a 0,5 miliardi»). Falso che saranno licenziati 87 mila insegnati («la riduzione del numero delle cattedre avverrà limitando le nuove assunzioni, la cifra di 87 mila insegnanti in meno si raggiungerà nel 2012 e include nel calcolo le riduzioni già pianificate da Prodi»). Falso che sparirà il tempo pieno. Falso che si ridurranno gli insegnati di sostegno. Falso che saranno chiuse le scuole di montagna. Al catalogo dei Ricolfi ha poi aggiunto che è per lui sbagliato «lo tsunami» scagliato contro il ministro per l’introduzione del cosiddetto maestro unico.

Perché, professore?
Intanto è forse il caso di ricordare che l’introduzione nel 1990 del cosiddetto modulo (3 maestri per 2 classi), con conseguente soppressione della figura del maestro unico, non è stata dettata da genuine scelte pedagogiche, ma molto prosaicamente dalla necessità di salvare posti di lavoro messi a repentaglio dal calo demografico. Vale la pena, in proposito, riportare quel che scrive Gilberto Muraro, uno dei due estensori del parere che – allora – espresse la Commissione incaricata di valutare l’opportunità di sopprimere il maestro unico: «La Commissione espresse dubbi sull’efficacia formativa (della soppressione del maestro unico, ndr) e ridicolizzò la pretesa del ministero della Pubblica istruzione di farla passare come riforma a costo zero in base al fatto che non implicava l’aumento ma solo il mantenimento degli organici in essere, minacciati di disoccupazione per il previsto calo demografico. Erano gli anni del consociativismo, dell’egemonia sindacale, del dolce sonno di un’opinione pubblica convinta che, tutto sommato, il paese continuasse ad avanzare».
È quindi favorevole al ritorno del maestro prevalente?
Personalmente tendo a pensare che il maestro unico sia preferibile al 3 per 2 (3 maestri per 2 classi), o al 2 per 1 (2 maestri per 1 classe, nel tempo pieno), ma contemporaneamente temo che sia difficile reintrodurlo di brutto, dopo quasi un ventennio in cui i maestri si sono abituati a insegnare un solo gruppo di materie. C’è poi un altro problema, ossia il fatto che la preparazione dei maestri sta scendendo, ed è talora gravemente insufficiente in matematica: questo significa che se a una classe capita il maestro sbagliato il bambino è rovinato (su questo ha ragione Umberto Bossi).
Lei elenca quel che ogni docente, di medie inferiori e superiori e anche d’università, spesso si trova a dover constatare riguardo alla preparazione dei propri studenti: errori di grammatica e ortografia, incapacità di presentare tesi e tesine, scarsa preparazione. Di qui, il sospetto che «la scuola elementare è ben poco capace di trasmettere conoscenze e formare capacità». Come invertire la tendenza?
Una strada ragionevole potrebbe essere quella di tornare gradualmente al sistema degli anni Cinquanta e Sessanta, in cui c’è un maestro (unico) nei primi 2 anni, e un altro maestro (sempre unico) negli altri tre. Questa soluzione terrebbe conto dell’obiezione di Bossi (il rischio “maestro sbagliato” verrebbe attenuato, perché i bambini cambierebbero maestro almeno una volta), e inoltre permetterebbe di differenziare lo stile pedagogico della scuola elementare: più ludico-ricreativo nei primi due anni, più attento allo studio vero e proprio nei tre anni successivi. In questo modo si attenuerebbe anche il salto, oggi drammatico, dalle regole blande della scuola elementare a quelle più rigide della scuola media, cui spesso oggi i bambini arrivano anche psicologicamente impreparati.
In un inciso del suo articolo, lei afferma che «la scuola elementare con la sua impostazione ludica non prepara gli studenti alle prove che dovranno affrontare quando entreranno nel mondo vero». Se tale impostazione è fallimentare, quale dovrebbe essere quella da dare?
L’impostazione ludica è fallimentare, ma la responsabilità principale non è dei maestri bensì dei genitori, troppo spesso incapaci di educare i propri figli. La scuola, a mio parere, ha avuto il torto di adeguarsi alle richieste delle famiglie, ma non potrà mai cambiare le cose da sola, senza un’alleanza con i genitori. Finché mamme e papà saranno solo preoccupati che i pargoli siano felici (a scuola) e non disturbino gli adulti (a casa), la politica non riuscirà a cambiare in meglio la scuola. Insomma, per me il problema è la miopia delle famiglie, che non si rendono conto che gli sconti che i figli ricevono da ragazzi – promozione facile, tanta tv, tanto telefonino, tanti divertimenti – li pagheranno con gli interessi quando saranno adulti.
Il ministro è stata aspramente contestata. Ha fatto scalpore l’idea di alcune maestre di vestirsi a lutto il primo giorno di scuola. Da dove giunge tale astio? Non crede che, con quel gesto, quelle maestre abbiano innanzitutto nuociuto ai propri studenti, trasformando quella che avrebbe dovuto essere una festa (era il primo giorno di scuola) in un funerale?
Il ministro è stato contestato per vari ordini di ragioni, alcune comprensibili altre meno. Fra le più comprensibili: la sincera (anche se immotivata) preoccupazione che il maestro unico comporti una riduzione del tempo pieno; la convinzione che una riduzione delle ore di compresenza si traduca in un danno per gli scolari in difficoltà; la credenza che il ministro chiuderà le scuole di montagna e ridurrà il numero di insegnanti di sostegno. Quanto all’astio che ha accompagnato la contestazione, secondo me deriva da almeno cinque motivi distinti. Primo: molte maestre, magari ferratissime sulla Costituzione, non hanno però il senso delle istituzioni. Esse non si rendono conto di essere al tempo stesso delle persone e dei ruoli. Degli individui concreti ma anche i rappresentanti di qualcosa (lo Stato, la scuola) che sta al di sopra delle loro teste. Mi ha molto colpito il candore (o l’ignoranza?) con cui, qualche sera fa, una maestra ha dichiarato alla trasmissione Porta a Porta: «Per essere rispettati dai bambini non è necessario che si alzino in piedi quando entro in classe». Quella maestra non aveva capito che i bambini devono essere educati non solo a rispettare la persona della loro maestra, ma anche l’istituzione che quella persona (magari indegnamente) rappresenta. Come stupirsi che poi, magari quando sono un po’ più grandi, i ragazzi non manifestino alcun rispetto per le loro scuole, fino al punto di devastarle? Un discorso analogo si potrebbe fare sui programmi e la libertà di insegnamento: uno dei mali della nostra scuola (non solo della elementare, il discorso vale fino all’università) è che in troppi casi l’insegnante si attribuisce una libertà eccessiva nella scelta dei contenuti da trasmettere, come se una sorta di malintesa libertà di espressione (individuale) potesse prevaricare il dovere (istituzionale) di trasmettere le conoscenze condivise e accumulate nel tempo da altri. Secondo motivo dell’astio verso il ministro Gelmini: la difesa degli interessi della corporazione dei maestri elementari, spaventata dalla riduzione dei posti, dal ridimensionamento delle ore di compresenza, dall’introduzione di rischiosi criteri meritocratici. Terzo motivo: l’odio per Berlusconi e per tutto ciò che ha a che fare con il suo governo. Quarto motivo: l’ignoranza e la faziosità, particolarmente diffuse fra le persone politicamente impegnate (la propaganda dell’opposizione è piena zeppa di falsità, sinceramente credute da insegnanti e genitori). Quinto motivo: in molte famiglie progressiste l’educazione politica dei figli comincia molto presto, ed è considerato naturale – se non segno di maturità civile – portare bambini ancora piccoli a manifestazioni politiche, nonostante a quell’età non abbiano alcuna possibilità di formarsi un’opinione autonoma sui temi coinvolti. Mi sembra questa la ragione per cui, contro ogni buon senso, le maestre che hanno inscenato la protesta politica contro la Gelmini non si sono rese conto del fatto che, in questo modo, strumentalizzavano i bambini e snaturavano il senso del “primo giorno di scuola”.
In un articolo sul Corriere della Sera (Il silenzio del Sud, 14 settembre), Ernesto Galli Della Loggia ha rilanciato la denuncia dell’ex ministro Luigi Berlinguer. Sintetizzando: non è la scuola italiana a essere malmessa, è la scuola del Meridione. Condivide questa analisi?
Solo fino a un certo punto. Io penso che anche la scuola del Nord abbia dei seri problemi, che sono oscurati solo dal fatto che i medesimi problemi li hanno quasi tutti i paesi avanzati, con cui di norma ci confrontiamo. Nel Meridione i medesimi problemi sono molto più gravi perché, per un complesso di motivi, la qualità degli insegnanti rimasti al Sud lascia a desiderare, ma soprattutto perché l’asticella dei voti (gli standard necessari per raggiungere la sufficienza) è collocata a un livello troppo basso. Galli Della Loggia ha ragione a notare la rassegnazione della società meridionale, e in particolare dei suoi intellettuali, nei confronti dello stato della scuola del Sud. Però io penso che tale rassegnazione riguardi un po’ tutti i settori della vita sociale (dalla raccolta rifiuti alla sanità) e, a differenza di Galli Della Loggia, ho l’impressione che in questo caso la sinistra e la destra non c’entrino per nulla: la società meridionale è quel che è proprio perché i suoi caratteri di fondo sono i medesimi da secoli, mirabilmente impermeabili a qualsiasi novità proveniente dall’esterno, sia essa un’invasione straniera o un cambiamento del governo centrale.
Ha fatto un certo scalpore la sentenza della Cassazione che ha punito un professore per aver minacciato di bocciatura una studentessa. Che ne pensa?

In realtà la vicenda è stata descritta in modo distorto dai giornali. Per quel che ho capito la Corte non ha detto che un insegnante non può minacciare la bocciatura (ci mancherebbe) ma che non può usare tale minaccia per motivi impropri, ad esempio dicendo: “Ti boccio se i tuoi genitori non ti fanno fare il tempo prolungato”. È comunque vero che, sempre più sovente, i genitori mettono alla gogna gli insegnanti (fino al ricorso alla magistratura) per motivi molto discutibili e non di rado ottengono ragione. Ma qui torniamo al discorso iniziale: è la famiglia il problema. Non solo abbiamo rinunciato a educare i nostri figli, ma facciamo di tutto per impedire ad altri di farlo. È innanzitutto per questo che la scuola, a tutti i suoi livelli, ha perso prestigio e autorevolezza.

Da segnalare anche la risposta di Giorgio Israel a Michele Serra e alla sua teoria secondo la quale la sinistra terrebbe conto della complessità del reale, mentre la destra lo semplificherebbe abusivamente.

Da tempi.it







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