In cattedra con le mani legate
Data: Giovedì, 02 ottobre 2008 ore 00:00:00 CEST
Argomento: Opinioni


I freni giuridici di un mestiere difficile
RAFFAELLO MASCI

ROMA
D’accordo: i ragazzi non possono essere minacciati di bocciatura, così, come sbotto d’ira, senza tenere conto della valutazione, del profitto, della terzietà dell’insegnante nel momento in cui deve giudicare, eccetera, eccetera. La Cassazione in questo è stata chiara e perentoria. Gli insegnanti sono, dunque, avvisati: attenti alla sfuriata facile. E soprattutto, i prof si ricordino i precedenti richiami: non possono assentarsi neppure per malattia oltre i 180 giorni (ci mancherebbe altro) senza incorrere nel licenziamento (con una serie di specificazioni e di attenuanti a seconda dell’inquadramento contrattuale), non possono distogliere gli occhi dagli alunni durante le ore di lezione, ma possono - invece - trascurarli del tutto se sono in assemblea. Inoltre non devono svolgere attività incompatibili con l’insegnamento. Ma - soprattutto - non devono sputare al preside.

Cominciamo proprio da qui. Una sentenza dello scorso anno dà torto a un docente palermitano che, nel corso di una disputa sui corsi di aggiornamento, aveva per l’appunto sputato alla sua preside: «Non ti ho sputato - ha spiegato poi il professore a sua discolpa - ti ho profumato». La cosa, beninteso, non ha soddisfatto la dirigente d’istituto che ha dato piglio alle carte bollate e non ha neppure convinto i supremi giudici, a cui la questione è stata posta in ultima istanza, tant’è che non hanno riconosciuto nel gesto «un legittimo diritto di critica e di dissenso».

«Le sentenze della Cassazione relative alla scuola - spiega l’avvocato Paolo Bonanno, che assiste molti insegnanti e sindacati di categoria - non sono molte e riguardano soprattutto materie contrattuali. Peraltro, fino al 1998, c’era la giustizia amministrativa (TAR e consiglio di Stato, ndr) a dirimere questa materia e, per i tempi della giustizia italiana, dieci anni è un tempo troppo breve perché si possano fare statistiche sui casi sottoposti alla suprema corte». In effetti, a leggere le sentenze uscite negli ultimi anni (con picchi solo negli ultimi due), la maggior parte riguardano controversie di lavoro: un precario - dice una sentenza del 2002 - si può assentare per malattia non oltre i 180 giorni, dopo di che addio scuola. L’anno successivo la Cassazione si è occupata della «modifica in peius», per dire che un docente, se applicato a mansioni dequalificanti, ha diritto a un risarcimento. Altre sentenze riguardano il godimento delle ferie, i contributi, le dispute sulle graduatorie, eccetera.

Più ricco il capitolo della vigilanza. Un professore deve tenere d’occhio i suoi allievi? Ovviamente sì. Ma una sentenza del 2007 mette a riparo i docenti da eventuali scorrettezze e perfino da episodi di bullismo (l’episodio riguardava proprio questo) che avvengano durante l’assemblea studentesca, che è una sorta di spazio autogestito, e quindi la giurisdizione del prof lì non arriva.

Gli insegnanti devono invece avere pazienza con «i ragazzi turbolenti» - ha ammonito la Corte nel gennaio scorso - e sono loro richieste «pazienza e tolleranza, oltre alle specifiche conoscenze psicopedagogiche dell’età evolutiva». Con questa motivazione i supremi giudici hanno respinto le dimissioni presentate da una professoressa di Firenze che non ne poteva più degli arrembaggi all’arma bianca dei suoi pargoli.

Non bisogna prendersela con gli insegnanti, invece, se i ragazzi marinano la scuola. Sono i genitori a dover vigilare. Non solo: se le assenze reiterate si configurano come una fuga di fatto dall’obbligo scolastico, a mamma e papà può arrivare anche una multa. Lo stabilisce la sentenza 37400 del 2007.

«Le questioni affrontate dai giudici del Palazzaccio sono per lo più de minimis - sintetizza il leader della Cisl scuola Francesco Scrima - La scuola, d’altronde, ha bisogno più di dialogo che di carte bollate. Fin tanto che il rapporto tra scuola e famiglia è civile e collaborativo, non c’è bisogno non dico della Cassazione, ma neppure del Giudice di pace. Il bullismo dei ragazzi e la difesa d’ufficio di tante famiglie, però, temo che stiano corrompendo questo rapporto. Invece di fare le pulci alle sentenze della suprema corte, non sarebbe male se riflettessimo su questo».

Da la stampa.it







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