La minaccia di sciopero generale della cgil è un’assurdità anche per Berlinguer e per la parte riformista del PD e non convince gli altri sindacati.
Data: Domenica, 28 settembre 2008 ore 10:17:13 CEST
Argomento: Rassegna stampa


da Repubblica

L´ex ministro Berlinguer: la scuola non può restare allo status quo

 

"Il maestro unico? Alle elementari è molto più efficace affiancare le competenze"

MARIO REGGIO

 

ROMA - «Gli insegnanti sono in apprensione ed è comprensibile quando è in gioco il posto di lavoro. E senza il loro consenso non passa nessun cambiamento. La nostra scuola, però, ha estrema necessità di una mutazione profonda che non si ottiene difendendo lo status quo, ma guardando al futuro».

Luigi Berlinguer non vuole commentare la decisione della Cgil di scendere in piazza da sola contro il governo, ma non rinuncia a rilanciare, a 76 anni, il suo messaggio di cambiamento.

Come si può fare?

«Dobbiamo cancellare definitivamente la scuola ideata nel ´25 da Giovanni Gentile, una scuola chiusa alla curiosità scientifica, all´arte praticata, alla centralità dell´alunno, al suo coinvolgimento intellettuale all´education. Oggi il problema centrale è rivedere ciò che si insegna e come si insegna».

È possibile?

«So che è molto difficile ma non possiamo rinunciarci. È indispensabile trovare una base comune di ampiezza costituzionale tra le forze politiche e sociali per cambiare e migliorare la scuola italiana».

Cosa pensa del maestro unico?

«Se questa tematica divide cerchiamo un terreno comune che coniughi risparmio e riforma. Per insegnare la lingua straniera e praticare la musica occorrono insegnanti specialisti, senza perdere i vantaggi del tempo pieno. Alle elementari è molto più efficace un´articolazione delle competenze dei docenti: l´insegnante generalista e quelli specialisti. Il comitato per l´apprendimento pratico della musica, che presiedo, sta per presentare al ministro Gelmini un progetto per il ciclo primario che non prevede un aumento di spesa».

Lei ha tentato di introdurre la riforma dei cicli. Ma senza successo.

«Introduceva una nuova visione dell´infanzia e dell´adolescenza ed il passaggio morbido dalle elementari alle medie, che oggi è causa della dispersione scolastica. Comportava anche la riduzione di un anno dell´intero ciclo primario. La prima elementare oggi trova i bambini che sanno già leggere e scrivere, inoltre per i nostri ragazzi uscire dalla scuola a 18 anni anziché a 19, come nel resto d´Europa, sarebbe un gran vantaggio».

Ma andò male.

«Una grande riforma bloccata da una parte della destra e da una parte dei sindacati. Come è successo a proposito della valutazione dell´insegnamento scolastico e ne paghiamo ancora le conseguenze. Bisogna, invece, provvedere subito».

da Repubblica

 

Epifani: sciopero generale per difendere la scuola

 

ROMA - «Se le cose non cambiano, andremo allo sciopero generale di tutta la scuola». Lo ha annunciato nel corso del suo intervento alla manifestazione della Cgil contro la politica economica del governo il segretario generale Guglielmo Epifani, auspicando che la mobilitazione sia unitaria, ma avvertendo che la Cgil andrà avanti anche «non unitariamente». E la Cisl non ci sta: il segretario nazionale Raffaele Bonanni accusa la Cgil di voler distruggere l´unità sindacale. Lo sciopero, ha spiegato Epifani, ha l´obiettivo di «contrastare le politiche dei tagli e la controriforma del Governo». «Così non va» ha detto Epifani parlando dei servizi pubblici per i quali «paghiamo di più per avere di meno e favorire la sanità e la scuola privata». Il leader della Cgil ha criticato le recenti misure del ministro dell´istruzione Gelmini: «Come si fa a dire che i bambini meno stanno a scuola e più imparano? Capirei per i liceali e per gli universitari, ma in quale testo di pedagogia è stato prelevato questo concetto? È questa - ha concluso Epifani - la funzione della scuola primaria? Perché distruggerla?».

Anche la Uil tenta di ricucire lo strappo. «La via da seguire è una forte e unitaria azione sindacale per affrontare i problemi complessi che ci sono, ottenere risultati e garantire tutele al personale». Lo sottolinea in una nota il segretario generale della Uil Scuola, Massimo Di Menna, annunciando che la Uil Scuola ha inviato una lettera ai segretari generali dei sindacati della scuola, Flc Cgil, Cisl Scuola, Snals e Gilda per discutere insieme come affrontare il negoziato e le iniziative di sostegno.

Ma la Cgil non ha perso la speranza di arrivare ad una mobilitazione unitaria. «Stiamo lavorando insieme agli altri sindacati ad una grande manifestazione nazionale e, in assenza di riscontri reali, chiederemo a tutti di arrivare allo sciopero generale». Lo afferma il segretario generale nazionale della Flc, Mimmo Pantaleo, nel corso della manifestazione di Brindisi "Diritti in piazza" della Cgil, a cui hanno partecipato circa 2.500 persone.

Il ministro dell´Istruzione, Mariastella Gelmini, dice Pantaleo, «pensa di poter destrutturare l´intero sistema della scuola pubblica cancellando le esperienze più significative, a partire dalla scuola dell´infanzia, accentuando le disuguaglianze e tornando alle vecchie divisioni di classe». Per contrastare queste scelte, annuncia il segretario, «chiederemo a tutti i protagonisti, operatori della conoscenza, studenti e genitori di scendere in piazza con noi».

E sono scesi in piazza anche i "fratelli maggiori": l´Unione degli studenti universitari si è mobilitata «per difendere l´università e il sistema formativo italiano, ma anche contro queste misure che rendono il lavoro più precario e meno sicuro, per difendere il potere d´acquisto dei salari, per chiedere investimenti sulle infrastrutture, sulla sanità, sugli enti locali, sul welfare. Insomma per chiedere che questo Paese investa sul suo futuro e che tuteli i suoi cittadini».

Per l´Unione degli Universitari questo «non è che il primo appuntamento in piazza di un autunno che la vedrà protagonista di molte proteste e mobilitazioni per impedire a questo Governo di distruggere le nostre speranze di studenti oggi e di lavoratori di domani».

da Corriere

 

Il riformismo bocciato

di Angelo Panebianco

 

Walter Veltroni, nell'eccellente discorso del Lingotto (27 giugno 2007) con cui ufficializzò la sua candidatura a leader del Partito democratico, e nei discorsi dei mesi successivi, mise a punto la carta di identità di una moderna sinistra riformista proponendola al neonato partito. Veltroni batteva allora con vigore su un tasto: il Partito democratico avrebbe sviluppato una reale capacità di intercettare le aspirazioni degli elettori e dei ceti sociali più dinamici e orientati alla modernizzazione del Paese, solo se avesse abbandonato, su un ampio arco di problemi, le posizioni conservatrici che avevano in passato caratterizzato la sinistra.

La visione articolata da Veltroni appariva allora forte ed efficace ma restavano sospesi due interrogativi. Sarebbe egli riuscito a imporre un così radicale cambiamento di prospettiva a tanti militanti fino ad allora di diverso orientamento? Sarebbe riuscito, soprattutto, a ottenere un riposizionamento e un rinnovamento, culturale e di proposte, di quel sindacato (la Cgil in primo luogo) il cui appoggio è necessario a un partito di sinistra riformista?

Non solo quel riposizionamento del sindacato non c'è stato ma è lo stesso Partito democratico a reagire oggi alle difficoltà suscitate dalla sconfitta ritornando sui propri passi, abbandonando la strada del rinnovamento, ridando spazio a quelle posizioni conservatrici che il Veltroni del Lingotto sembrava determinato a combattere.

Il miglior test per sondare lo «spessore riformista » di un partito italiano consiste nel valutare le posizioni che esso assume sulla scuola. La scuola pubblica è come l'Alitalia: rovinata da decenni di management

interessato a garantirsi clientele e da un sindacalismo cui si è consentito di cogestirla con gli scadenti risultati (in tema di preparazione dei ragazzi) che i confronti internazionali ci assegnano. Solo che nel caso della scuola pubblica non ci sono cordate di imprenditori o compagnie straniere cui affidarla. Proprio nel caso della scuola il Partito democratico sta fallendo il test sullo spessore riformista. Perché ha scelto ancora una volta (come faceva il Pci/Pds/Ds) di accodarsi acriticamente alle posizioni della Cgil, di un sindacato che, in concorso con altri, porta pesanti responsabilità per lo stato disastrato in cui versa la scuola, un sindacato interessato solo alla difesa dello status quo (come è successo, del resto, nel caso di Alitalia fin quando ha potuto).

Prendiamo la questione del ritorno al maestro unico deciso dal ministro Gelmini. Sembra diventato, per la sinistra, sindacale e non, il simbolo del «vento controriformista» che soffierebbe oggi sulla scuola. Al punto che, come è accaduto a Bologna, si arriva persino a far sfilare i bambini contro il ministro (nel solco di una tradizione italiana, antica e spiacevole, di uso dei bimbi per fini politici). Si fa finta di dimenticare che la riforma della scuola elementare del 1990, quella che abolì il maestro unico, fu un classico prodotto del consociativismo politico-sindacale che caratterizzava tanti aspetti della vita repubblicana. Nel caso della scuola funzionava allora un'alleanza di fatto fra Dc, Pci e sindacati. L'abolizione del maestro unico fu dettata esclusivamente da ragioni sindacali.

E' antipatico citarsi ma alla vigilia dell'approvazione della legge scrissi su questo giornale: «Nonostante le nobili e altisonanti parole con cui l'operazione viene giustificata la ratio è una soltanto: bloccare qualsiasi ipotesi di ridimensionamento del personale scolastico come conseguenza del calo demografico e anzi porre le premesse per nuove, massicce, assunzioni di maestri. Non a caso sono proprio i sindacati i più entusiasti sostenitori della riforma (…) Questa classe politica ha sempre trattato così la scuola, incurante delle esigenze didattiche ma attentissima a quelle sindacali» (Corriere della Sera, 22 novembre 1989). Veltroni e il Partito democratico dovrebbero spiegarsi: è quella cosa lì che, ancora una volta, vogliono difendere? Per il futuro vedremo ma la verità è che, fino a questo momento, il ministro Gelmini ha fatto pochi errori. I provvedimenti fino ad ora adottati sono di buon senso e per lo più tesi ad arrestare il degrado della scuola. Ma, anziché riconoscerlo e dare il proprio contributo di idee e di proposte (come dovrebbe fare un vero partito riformista, ancorché all'opposizione), il Partito democratico preferisce ripercorrere l'antica strada: quella della «mobilitazione», della sponsorizzazione dei sindacati, anche quando questi difendono posizioni indifendibili. Non è casuale che proprio sulla scuola la Cgil si appresti a fare lo «sciopero generale ». Difende un potere di cogestione che viene da lontano e che ha contribuito a danneggiare assai la scuola (dove la quasi totalità delle risorse se ne va in stipendi a insegnanti troppo numerosi, mal pagati e mal selezionati). Un potere di cogestione che fino ad oggi ha sempre potuto contare sulla complicità di governi e opposizioni.

Non è plausibile che nel Partito democratico siano tutti felici di queste scelte (che danno un brutto colpo alla credibilità del Pd come partito riformista). E infatti non è così. Ricordo un intervento critico di Claudia Mancina ( Il Riformista) sulle attuali posizioni del Pd sulla scuola. O le parole per nulla critiche nei confronti della Gelmini pronunciate (a proposito della polemica sull' impreparazione di certi insegnanti meridionali) da uno che di scuola se ne intende: l'ex ministro dell'Istruzione Luigi Berlinguer. Sarebbe bene che anche molti altri, dentro il Partito democratico, venissero allo scoperto. Ha senso continuare a trattare la scuola pubblica come un «dominio riservato» del sindacalismo?







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