da Repubblica
L´ex ministro Berlinguer: la scuola non può restare allo
status quo
"Il maestro unico? Alle elementari è molto più efficace
affiancare le competenze"
MARIO REGGIO
ROMA - «Gli insegnanti sono in apprensione ed è
comprensibile quando è in gioco il posto di lavoro. E senza il loro consenso non
passa nessun cambiamento. La nostra scuola, però, ha estrema necessità di una
mutazione profonda che non si ottiene difendendo lo status quo, ma guardando al
futuro».
Luigi Berlinguer non vuole commentare la decisione della
Cgil di scendere in piazza da sola contro il governo, ma non rinuncia a
rilanciare, a 76 anni, il suo messaggio di cambiamento.
Come si può fare?
«Dobbiamo cancellare definitivamente la scuola ideata nel
´25 da Giovanni Gentile, una scuola chiusa alla curiosità scientifica, all´arte
praticata, alla centralità dell´alunno, al suo coinvolgimento intellettuale all´education.
Oggi il problema centrale è rivedere ciò che si insegna e come si insegna».
È possibile?
«So che è molto difficile ma non possiamo rinunciarci. È
indispensabile trovare una base comune di ampiezza costituzionale tra le forze
politiche e sociali per cambiare e migliorare la scuola italiana».
Cosa pensa del maestro unico?
«Se questa tematica divide cerchiamo un terreno comune che
coniughi risparmio e riforma. Per insegnare la lingua straniera e praticare la
musica occorrono insegnanti specialisti, senza perdere i vantaggi del tempo
pieno. Alle elementari è molto più efficace un´articolazione delle competenze
dei docenti: l´insegnante generalista e quelli specialisti. Il comitato per
l´apprendimento pratico della musica, che presiedo, sta per presentare al
ministro Gelmini un progetto per il ciclo primario che non prevede un aumento di
spesa».
Lei ha tentato di introdurre la riforma dei cicli. Ma senza
successo.
«Introduceva una nuova visione dell´infanzia e
dell´adolescenza ed il passaggio morbido dalle elementari alle medie, che oggi è
causa della dispersione scolastica. Comportava anche la riduzione di un anno
dell´intero ciclo primario. La prima elementare oggi trova i bambini che sanno
già leggere e scrivere, inoltre per i nostri ragazzi uscire dalla scuola a 18
anni anziché a 19, come nel resto d´Europa, sarebbe un gran vantaggio».
Ma andò male.
«Una grande riforma bloccata da una parte della destra e da
una parte dei sindacati. Come è successo a proposito della valutazione
dell´insegnamento scolastico e ne paghiamo ancora le conseguenze. Bisogna,
invece, provvedere subito».
da Repubblica
Epifani: sciopero generale per difendere la scuola
ROMA - «Se le cose non cambiano, andremo allo sciopero
generale di tutta la scuola». Lo ha annunciato nel corso del suo intervento alla
manifestazione della Cgil contro la politica economica del governo il segretario
generale Guglielmo Epifani, auspicando che la mobilitazione sia unitaria, ma
avvertendo che la Cgil andrà avanti anche «non unitariamente». E la Cisl non ci
sta: il segretario nazionale Raffaele Bonanni accusa la Cgil di voler
distruggere l´unità sindacale. Lo sciopero, ha spiegato Epifani, ha l´obiettivo
di «contrastare le politiche dei tagli e la controriforma del Governo». «Così
non va» ha detto Epifani parlando dei servizi pubblici per i quali «paghiamo di
più per avere di meno e favorire la sanità e la scuola privata». Il leader della
Cgil ha criticato le recenti misure del ministro dell´istruzione Gelmini: «Come
si fa a dire che i bambini meno stanno a scuola e più imparano? Capirei per i
liceali e per gli universitari, ma in quale testo di pedagogia è stato prelevato
questo concetto? È questa - ha concluso Epifani - la funzione della scuola
primaria? Perché distruggerla?».
Anche la Uil tenta di ricucire lo strappo. «La via da
seguire è una forte e unitaria azione sindacale per affrontare i problemi
complessi che ci sono, ottenere risultati e garantire tutele al personale». Lo
sottolinea in una nota il segretario generale della Uil Scuola, Massimo Di
Menna, annunciando che la Uil Scuola ha inviato una lettera ai segretari
generali dei sindacati della scuola, Flc Cgil, Cisl Scuola, Snals e Gilda per
discutere insieme come affrontare il negoziato e le iniziative di sostegno.
Ma la Cgil non ha perso la speranza di arrivare ad una
mobilitazione unitaria. «Stiamo lavorando insieme agli altri sindacati ad una
grande manifestazione nazionale e, in assenza di riscontri reali, chiederemo a
tutti di arrivare allo sciopero generale». Lo afferma il segretario generale
nazionale della Flc, Mimmo Pantaleo, nel corso della manifestazione di Brindisi
"Diritti in piazza" della Cgil, a cui hanno partecipato circa 2.500 persone.
Il ministro dell´Istruzione, Mariastella Gelmini, dice
Pantaleo, «pensa di poter destrutturare l´intero sistema della scuola pubblica
cancellando le esperienze più significative, a partire dalla scuola
dell´infanzia, accentuando le disuguaglianze e tornando alle vecchie divisioni
di classe». Per contrastare queste scelte, annuncia il segretario, «chiederemo a
tutti i protagonisti, operatori della conoscenza, studenti e genitori di
scendere in piazza con noi».
E sono scesi in piazza anche i "fratelli maggiori":
l´Unione degli studenti universitari si è mobilitata «per difendere l´università
e il sistema formativo italiano, ma anche contro queste misure che rendono il
lavoro più precario e meno sicuro, per difendere il potere d´acquisto dei
salari, per chiedere investimenti sulle infrastrutture, sulla sanità, sugli enti
locali, sul welfare. Insomma per chiedere che questo Paese investa sul suo
futuro e che tuteli i suoi cittadini».
Per l´Unione degli Universitari questo «non è che il primo
appuntamento in piazza di un autunno che la vedrà protagonista di molte proteste
e mobilitazioni per impedire a questo Governo di distruggere le nostre speranze
di studenti oggi e di lavoratori di domani».
da Corriere
Il riformismo bocciato
di Angelo Panebianco
Walter Veltroni, nell'eccellente discorso del Lingotto (27
giugno 2007) con cui ufficializzò la sua candidatura a leader del Partito
democratico, e nei discorsi dei mesi successivi, mise a punto la carta di
identità di una moderna sinistra riformista proponendola al neonato partito.
Veltroni batteva allora con vigore su un tasto: il Partito democratico avrebbe
sviluppato una reale capacità di intercettare le aspirazioni degli elettori e
dei ceti sociali più dinamici e orientati alla modernizzazione del Paese, solo
se avesse abbandonato, su un ampio arco di problemi, le posizioni conservatrici
che avevano in passato caratterizzato la sinistra.
La visione articolata da Veltroni appariva allora forte ed
efficace ma restavano sospesi due interrogativi. Sarebbe egli riuscito a imporre
un così radicale cambiamento di prospettiva a tanti militanti fino ad allora di
diverso orientamento? Sarebbe riuscito, soprattutto, a ottenere un
riposizionamento e un rinnovamento, culturale e di proposte, di quel sindacato
(la Cgil in primo luogo) il cui appoggio è necessario a un partito di sinistra
riformista?
Non solo quel riposizionamento del sindacato non c'è stato
ma è lo stesso Partito democratico a reagire oggi alle difficoltà suscitate
dalla sconfitta ritornando sui propri passi, abbandonando la strada del
rinnovamento, ridando spazio a quelle posizioni conservatrici che il Veltroni
del Lingotto sembrava determinato a combattere.
Il miglior test per sondare lo «spessore riformista » di un
partito italiano consiste nel valutare le posizioni che esso assume sulla
scuola. La scuola pubblica è come l'Alitalia: rovinata da decenni di management
interessato a garantirsi clientele e da un sindacalismo cui
si è consentito di cogestirla con gli scadenti risultati (in tema di
preparazione dei ragazzi) che i confronti internazionali ci assegnano. Solo che
nel caso della scuola pubblica non ci sono cordate di imprenditori o compagnie
straniere cui affidarla. Proprio nel caso della scuola il Partito democratico
sta fallendo il test sullo spessore riformista. Perché ha scelto ancora una
volta (come faceva il Pci/Pds/Ds) di accodarsi acriticamente alle posizioni
della Cgil, di un sindacato che, in concorso con altri, porta pesanti
responsabilità per lo stato disastrato in cui versa la scuola, un sindacato
interessato solo alla difesa dello status quo (come è successo, del resto, nel
caso di Alitalia fin quando ha potuto).
Prendiamo la questione del ritorno al maestro unico deciso
dal ministro Gelmini. Sembra diventato, per la sinistra, sindacale e non, il
simbolo del «vento controriformista» che soffierebbe oggi sulla scuola. Al punto
che, come è accaduto a Bologna, si arriva persino a far sfilare i bambini contro
il ministro (nel solco di una tradizione italiana, antica e spiacevole, di uso
dei bimbi per fini politici). Si fa finta di dimenticare che la riforma della
scuola elementare del 1990, quella che abolì il maestro unico, fu un classico
prodotto del consociativismo politico-sindacale che caratterizzava tanti aspetti
della vita repubblicana. Nel caso della scuola funzionava allora un'alleanza di
fatto fra Dc, Pci e sindacati. L'abolizione del maestro unico fu dettata
esclusivamente da ragioni sindacali.
E' antipatico citarsi ma alla vigilia dell'approvazione
della legge scrissi su questo giornale: «Nonostante le nobili e altisonanti
parole con cui l'operazione viene giustificata la ratio è una soltanto: bloccare
qualsiasi ipotesi di ridimensionamento del personale scolastico come conseguenza
del calo demografico e anzi porre le premesse per nuove, massicce, assunzioni di
maestri. Non a caso sono proprio i sindacati i più entusiasti sostenitori della
riforma (…) Questa classe politica ha sempre trattato così la scuola, incurante
delle esigenze didattiche ma attentissima a quelle sindacali» (Corriere della
Sera, 22 novembre 1989). Veltroni e il Partito democratico dovrebbero spiegarsi:
è quella cosa lì che, ancora una volta, vogliono difendere? Per il futuro
vedremo ma la verità è che, fino a questo momento, il ministro Gelmini ha fatto
pochi errori. I provvedimenti fino ad ora adottati sono di buon senso e per lo
più tesi ad arrestare il degrado della scuola. Ma, anziché riconoscerlo e dare
il proprio contributo di idee e di proposte (come dovrebbe fare un vero partito
riformista, ancorché all'opposizione), il Partito democratico preferisce
ripercorrere l'antica strada: quella della «mobilitazione», della
sponsorizzazione dei sindacati, anche quando questi difendono posizioni
indifendibili. Non è casuale che proprio sulla scuola la Cgil si appresti a fare
lo «sciopero generale ». Difende un potere di cogestione che viene da lontano e
che ha contribuito a danneggiare assai la scuola (dove la quasi totalità delle
risorse se ne va in stipendi a insegnanti troppo numerosi, mal pagati e mal
selezionati). Un potere di cogestione che fino ad oggi ha sempre potuto contare
sulla complicità di governi e opposizioni.
Non è plausibile che nel Partito democratico siano tutti
felici di queste scelte (che danno un brutto colpo alla credibilità del Pd come
partito riformista). E infatti non è così. Ricordo un intervento critico di
Claudia Mancina ( Il Riformista) sulle attuali posizioni del Pd sulla scuola. O
le parole per nulla critiche nei confronti della Gelmini pronunciate (a
proposito della polemica sull' impreparazione di certi insegnanti meridionali)
da uno che di scuola se ne intende: l'ex ministro dell'Istruzione Luigi
Berlinguer. Sarebbe bene che anche molti altri, dentro il Partito democratico,
venissero allo scoperto. Ha senso continuare a trattare la scuola pubblica come
un «dominio riservato» del sindacalismo?