Riforma e pere condite
Data: Sabato, 27 settembre 2008 ore 15:38:09 CEST
Argomento: Opinioni


Chi pensava a una riforma virtuosa della scuola dovrà ricredersi.
E dovrà ricredersi chi credeva alla formulazione di una scuola più rigorosa e attenta ai contenuti per formare cittadini consapevoli e preparati per affrontare i dubbi e le asperità del mondo.
Il grembiule, il voto in condotta, i decimali, il maestro unico, l’educazione civica sono stati tutti mezzi mediatici per dirottare l’attenzione della opinione pubblica e lasciare lavorare in pace il macchinista che doveva arrivare sul binario dei tagli.
Quando il messaggio è rivolto alle esemplificazione e non si immettono le erbe del dubbio e del dibbatito-dialogo anche la conclusione si esemplifica e allora ecco pure l’attacco alla ideologia del “68 e in ultimo anche quello alla esperienza di Barbiana contro l’opera di don Milani.
Ma c’è pure un’altra singolarità che salta all’occhio: l’accusa di ideologismo rivolto a chi protesta contro le decisioni prese dal Ministero come se la critica con le lenti della cultura e della intelligenza siano strumenti di battaglia politica fine a se stessa o per intralciare l’operato del rematore che sta navigando verso una sua personale meta, impedendo che si rifletta  sull’esatto contrario e cioè che l’attacco ideologico è venuto proprio da chi accusa di ideologismo gli oppositori.
Con la pubblicazione del decreto 137 si può finalmente toccare con mano la strategia di questo Governo e di Tremonti a cui delle sorti degli alunni della scuola non interessa nulla, né dell’avvenire dei docenti, né della formazione dei futuri dirigenti del nostro paese.
Certamente fa male pensare che per arrivare a questo si siano messi in campo mille demagogie e mille accuse, a cominciare del fannullonismo e finire al bullismo in una commistione in cui la richiesta di ordine e di pulizia appariva quantomai necessaria e inderogabile per giustificare decisionismi autoritari e monologanti.
Da poche ore ecco la evidenza del dato che smentisce mesi di paternalismo quasi pietistico con cui  si voleva ridare dignità ai professori e motivazioni ai ragazzi, rigore e serietà, scienza e saperi alla nostra istruzione.
Ma sono riusciti pure a immettere nella riflessione di tanta parte della opinione pubblica e perfino di tanti docenti l’idea della riforma e del miglioramento della scuola quando invece l’obiettivo era quello di smantellare l’istruzione pubblica, tagliare fondi, cattedre e un futuro accettabile ai precari.
La scuola elementare, oltre al maestro unico, vedrà al più presto pure l’implementazione delle classi con più classi se il numero di alunni non va oltre i sedici; a scuola media il tempo prolungato è saltato insieme con delle ore curriculari; alle superiori si riducono ore, indirizzi e forse pure il 5^ anno mentre qualcuno ventila persino la cancellazione di ore di latino e di lingua straniera.
Se questa è una riforma della scuola allora qualcuno spieghi il significato di accetta, perché riformare significa dare alternative migliori, significa riformulare obiettivi, proposte, idealità, funzioni in riferimento a un obiettivo esatto e condiviso. 
Durante il secondo governo Belusconi (ai tempi della Moratti) il noto intellettuale di destra, Marcello Veneziani, bollò come paraculi, fannulloni, sessantottini e ignoranti i professori italiani.
Oggi quell’accusa si è concretizzata nei fatti quando si parla di premiare i docenti meritevoli, quando Brunetta fa pagare le giornate di malattia, quando si smantella l’architettura del modulo alle elementari come fumosità stipendiale della sinistra piagnona, quando non si da speranza ai precari, quando si trattano con sufficienza temi delicati di cultura volti alla formazione di giovani.
Non facciamo accuse banali a questo Governo, né lo vogliamo tacciare di autoritarismo, di liberismo accattone; diciamo solo di dare il loro esatto nome alle cose e dire con oggettiva realtà (non verità assoluta) che tutto questo bailamme sulla scuola non è “riforma” ma accetta e mannaia per evitare esborsi di denaro nella consapevolezza che c’è bisogno di soldi per coprire sprechi assurdi e continuare a mantenere caste di mandarini e di samurai pronti a sguainare la scimitarra per difendere il padrone che sulle spalle dei lavorati li mantiene.

PASQUALE ALMIRANTE    







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