VALUTARE GLI INSEGNANTI
Data: Venerd́, 26 settembre 2008 ore 16:04:56 CEST
Argomento: Redazione



Bene! Peccato che poi le chieda di essere più precisa e delinearmi meglio l’identità del bravo insegnante. La risposta è che tre saranno i parametri di giudizio, anzi, quattro: «La presenza, la continuità didattica, la disponibilità all’aggiornamento... e le performances dei ragazzi». «Il che non vuol dire - aggiunge - che bisogna promuovere di più per essere meglio valutati...». Aiuto! Quindi è bravo l’insegnante che: è presente, continuo, disponibile; e che ha la fortuna di avere allievi geniali... L’insegnante che si limita a fare ottime lezioni straordinarie, di quelle da incantare anche i sassi, invece no, non è bravo: perché non è misurabile. Ma certo: la lezione è invisibile e invalutabile, scende nell’anima, s’inabissa chissà dove e magari agisce dopo vent’anni. Chi la misurerà mai? Peccato che sia l’unica... performance che, secondo me, ci distingue.
La fama di un orco
Terzo mio incubo: il recupero. Recuperare gli allievi in difficoltà: è giusto dal punto di vista educativo continuare a sollevare i ragazzi dalle loro personali responsabilità dicendo sempre: ti aiuto io, non ti preoccupare? E poi, si può fare in 15 ore all’anno (tante ci sono concesse)?
Il ministro è fermissimo: il recupero non si tocca. Se no direbbero: ah questa Gelmini, obbliga le famiglie a pagarsi fior di lezioni private! Una cosa alla volta, una cosa alla volta... Ha ragione: già ha la fama di un orco, se continua così la fanno a pezzi. Però, ministro, guardi che le famiglie se le pagano già le lezioni, perché le 15 ore statali mica bastano... O ce ne date almeno 80 o il recupero è una presa in giro. Così dico. Ma lei è pronta: se le lacune pregresse sono così gravi, non ci deve essere la promozione. Ma lei non pensa, ministro, che si potrebbe mandare alle famiglie un messaggio diverso? Del tipo: dite un po’ ai vostri figli di studiare, invece di riempirli di comode lezioni private che vi sbancano il mese! Sorride di nuovo. E’ un ministro molto sorridente. Dice che di cose ne ha già proposte abbastanza, che adesso si prende una pausa. Una cosa alla volta...
Dice che il livello delle scuole professionali dev’essere assolutamente alzato, in modo che la scelta sia paritaria a quella dei licei; e infine, l’idea che la scuola da sola non ce la fa: «Bisogna che il Paese s’interroghi», dice. Sono molto d’accordo. Ma lei pensa soprattutto alle imprese e alle banche, che devono intervenire (credo in senso economico...), io pensavo ad altre collaborazioni, e lei è d’accordo: pensavo che le famiglie devono ricominciare a educare i figli e, forse, devono anche un po’ cambiare modo di vivere (meno weekend per esempio, meno consumi?).

E poi pensavo alla tivù, che dovrebbe assolutamente diventare la alleata numero uno della scuola. E qui il ministro si mette a ridere sorpresa, mi dice: Ma come? Lei sta anticipando i miei progetti sulla tivù! Ah davvero, ministro, rivoluzionerà i palinsesti? Mi fa intendere che ci proverà. Fine della chiacchierata. E’ poco, è tanto quel che il ministro ha detto? Ci sono idee o non c’è nulla? Certo le risposte alle mie personali ossessioni sono state deludenti: l’autonomia non si tocca, i programmi vincolanti ce li scordiamo, i corsi di recupero-farsa ce li teniamo, e gli insegnanti si valutano a quantità. Ma qualcosa il ministro ha affermato con forza: una solida cultura di base e via i fronzoli: progetti inutili, riunioni inutili, spese inutili. Ridurre, alleggerire (anche gli zaini, gli orari, forse gli anni...), e via anche le ideologie che ingombrano la vista e producono odio. Ben vengano invece: la valutazione delle scuole e degli insegnanti, i premi a chi si distingue, il valore atemporale dello studio, il tempo libero degli insegnanti, una tivù migliore e un Paese intero che si chieda se gliene importa o no della scuola e che, se gliene importa, agisca.

Non so se emerge o no un’idea culturale forte di scuola. Ma può esistere oggi un’idea forte di scuola, se non esiste un’idea forte del mondo, della società, della vita e della morte? Certo a me piacerebbe che spuntasse da qualche parte un novello Giovanni Gentile, un singolo con idee nuovissime, adatte ai tempi, dirompenti, qualcuno in grado di rivoluzionare la scuola tutto da solo, con la sola forza del suo pensiero. Ma sarebbe possibile oggi? E se anche esistesse codesto Gentile number two, lo ascolteremmo? Non credo. Siamo in una società pluralistica, e nulla può più essere imposto. E’ il bello della democrazia...

Le ultime idee
E poi, a ben pensarci, l’ultima idea culturale di scuola che abbiamo visto imporsi - quella pedagogico-linguistico-struttural-formalistica del ministro Luigi Berlinguer - ci è piaciuta così tanto? Visti i risultati dopo dieci anni, non è forse proprio quell’idea che ha completato la distruzione della scuola buttandoci nel baratro dei progetti Pof, nel fumo degli obiettivi senza contenuti, nel disastro educativo dei debiti e del «diritto al successo formativo», ovvero promozione a tutti i costi, nel trionfo delle competenze sulle conoscenze? (A proposito, mi chiedo ancora oggi cosa significhi la triade: sapere, saper-fare, saper-essere...). Forse meglio non averla, almeno per ora, un’idea forte di scuola. Forse è più saggio, e più umile per il momento, saper essere un po’ minimalisti... Quattro o cinque cosette, non di più: le materie fondamentali, il coraggio di valutarci, il valore dello studio, la pari dignità di licei e professionali... E i programmi? Chiedo ancora, sulla porta. Il ministro mi sorride (bellissimi occhiali!): «Una cosa alla volta, non mettiamo troppa carne al fuoco, una cosa alla volta...».





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