PENSIERI E PAROLE RACCONTANO UN'EPOCA
Data: Giovedì, 25 settembre 2008 ore 12:53:47 CEST
Argomento: Comunicati


E’ un miracolo che è possibile in genere solo ai cantautori. Anche se le metriche sono difficili e le musiche stentano a farsi rivestire di parole, con loro la canzone bilancia naturalmente versi e musica. E se vale genericamente per i cantautori, figuriamoci quanto può valere per la coppia più famosa della musica italiana, quel duo inseparabile che creava cose belle così: “Seguir con gli occhi un airone sopra un fiume e poi ritrovarsi a volare e sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare un sottile dispiacere.” Di chi erano queste commoventi e intriganti riflessioni? Di Mogol o di Battisti? E quanto dell’uno e quanto dell’altro?
Rispondere è facile: Mogol scriveva i versi e Battisti scriveva la musica. Ma il dubbio sulla paternità resta, oltre a una grande evidente consapevolezza: con una semplicità accattivante i due hanno dato corpo e voce al romanzo dell’adolescente italiano degli anni Settanta, confuso tra i sentimenti fragili di una romantica iniziazione all’amore. Prendiamo La canzone del sole. Titolo di disarmante immediatezza, tre accordi piccoli piccoli, la, mi, re…e il gioco è fatto. E il testo mette in scena un’immagine che resta nella memoria per sempre, una ragazzetta dall’aria timida e e le guance rotonde: “Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi le tue calzette rosse/ e l’innocenza sulle gote tue, due arance ancor più rosse” . Parole che definiscono una realtà incantata, un’idea della donna chiara e trasparente come l’acqua, prima del torbido inganno: “Dove sei stata, cosa hai fatto mai,/ una donna, donna, dimmi,/cosa vuol dir sono una donna ormai?”. E su tutto, a descrivere le pulsioni di un adolescente in una miscela di stornello italiano e rock anglosassone, la vocalità graffiante di Lucio, fatta di note gridate al limite fisico di rottura della voce.
Così i testi di Mogol diventarono pura fisicità e autentica sensualità, imprimendosi indelebilmente nella mente dei giovani, malgrado la critica discografica, schierata a fianco della canzone impegnata, lanciasse loro pungenti frecciate. Ma tutti canticchiavano “il carretto passava e quell’uomo gridava gelati”; e ancora si lasciavano conquistare da quei “fiori rosa fiori di pesco/ fiori nuovi, stasera esco/ ho un anno di più.” Perché in quelle semplici parole c’era tutto il mondo di problemi, tristezze, desideri e aspirazioni delle giovani generazioni, tra amplessi furtivi, sensi di colpa e innocenti evasioni. Dallo slancio ardente dell’amore cristallino di quell’”acqua azzurra acqua chiara/ con le mani posso finalmente bere/ nei tuoi occhi innocenti posso ancora ritrovare il profumo di un amore puro/ puro come il tuo amor”; all’umanissimo “ti stai sbagliando chi hai visto non è/ non è Francesca”; fino all’angelo demone di “Mi ritorni in mente”: “All’improvviso ho visto la mia fine sul tuo viso,/ il nostro amor dissolversi nel vento,/ ricordo sono morto in un momento.” Erano parole per tutti, che mettevano per una volta d’accordo il colto e l’inclita, esprimendo sentimenti universali con un linguaggio dolce e nuovo, quasi una nuova grammatica dei sentimenti, con punte di vera poesia: “Pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti/ il più bello era nero con i fiori non ancora appassiti”; o ancora “Mi son svegliato solo/ poi ho incontrato te/ l’esistenza un volo diventò per me.”
E a sorpresa la scelta, strana ma vera, di avere una donna per amico; o l’alienante atmosfera di una giornata uggiosa, metafora di una vita mal spesa,  compensata da una scatola con un nastro rosa, simbolo dell’inquietante incertezza dell’avvenire. Così Battisti cantava e il pubblico sognava, ripetendosi con gioia nella mente versi interi: “In un mondo che/ prigioniero è/ respiriamo liberi io e te” o “anche per te vorrei morire/ ma morir non so”. Questa era la passione  poeticamente vissuta da quei tempi, passione del cuore lontana da lotte politiche e sociali, sintetizzata in una semplice rima baciata: “In un mondo che non ci vuole più/ il mio canto libero sei tu.”
Passione esclusiva dove dieci ragazze non ne valgono una: “Dieci ragazze per me, però io muoio per te.”; o l’innamorato è pronto, per amore, a donare la sua cosa più cara: “Motocicletta 10 hp tutta cromata/ è tua se dici sì/ mi costa una vita/ per niente la darei/ ma ho il cuore malato e so che guarirei.”
Semplicità, poeticità e acuta interpretazione dei primi batticuori: questo è stato il prezioso frutto del duo Mogol Battisti. Fu opera abile di scaltri artigiani della parola e della musica? O miscela di mediocrità studiatamente ammantata di eleganza? Malignità possibili a parte, il risultato è sotto gli occhi di tutti:  la creazione di slogan indimenticabili, di cui, nell’insulso panorama attuale della musica italiana, abbiamo un po’ di rimpianto. Dolce risuona nella nostra memoria un verso di sconcertante immediatezza:  “Io non dormo e penso a te”; e ci consola. Consola gli ascoltatori del Duemila, nostalgici di tanta bella semplicità, ma, senza volerlo né lontanamente desiderarlo, immersi in un banale “rosso relativo senza macchia d’amore”…

Silvana La Porta





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