VIII Congresso nazionale dell’Anp, l'Associazione Nazionale Presidi. Materiali per la riflessione
Data: Martedì, 23 settembre 2008 ore 21:02:58 CEST
Argomento: Recensioni


0.         DALL’ERESIA ALLA VULGATA: VENTI ANNI DOPO 
1.         UNA PROPOSTA PER LA SCUOLA  
2.         RIDEFINIRE LA PROFESSIONE DIRIGENTE  
3.         RIDEFINIRE LA PROFESSIONE DOCENTE 
4.         RILANCIARE L’ASSOCIAZIONE DELLE SCUOLE 
5.         LE LEVE SU CUI AGIRE 
6.         QUALE ASSOCIAZIONE, QUALE SINDACATO  

 

0. DALL’ERESIA ALLA VULGATA: VENTI ANNI DOPO  

 

Le idee che l’Anp ha elaborato e sostenuto nei suoi primi venti anni, si ritrovano nel più recente dibattito politico sulla scuola e stanno coinvolgendo una platea sempre più ampia, da quando l’opinione pubblica ha cominciato ad assumere consapevolezza dell’imprescindibilità di un ripensamento nella conduzione del nostro sistema educativo. Esse sembrano diventate patrimonio comune e condiviso di un numero crescente di soggetti collettivi, inclusi molti che in passato le avevano fortemente osteggiate.  

 

Gli esempi non mancano: eravamo i soli a sostenere negli anni Ottanta che l’autonomia era la via giusta per riportare la scuola in presa diretta con la domanda educativa della società civile. Oggi nes¬suno mette più in dubbio il principio ed anzi tutti fanno a gara per appropriarsene a parole, magari per meglio tradirlo nei fatti. Eravamo gli unici a parlare di dirigenza come condizione organizzativa e cultu¬rale necessaria per l’autonomia: oggi che la dirigenza è fatto compiu¬to sul piano giuridico, il dibattito si riaccende sulle sue connotazioni politiche e culturali e sulla sua centralità per l’efficienza della Pubblica amministrazione. Nostra è stata anche la proposta di fondare l’autonomia su una base di sussidiarietà estesa, mediante l’adozione di un radicale decentra¬mento amministrativo e l’alleanza con le Regioni per un solido fede¬ralismo, attento ai bisogni dei territori anche in campo educativo.  

 

Siamo stati i primi ad indicare la via dell’associazionismo delle scuole come necessario complemento della loro autonomia: molti di coloro che ci hanno in quel tempo derisi ed osteggiati scoprono oggi tardivamente le virtù di quella intuizione e magari tentano maldestra¬mente di ascriverla a proprio merito. 

 

bbiamo sostenuto la necessità di una carriera professionale per i docenti, fra lo scandalo di quanti non erano disposti a rinunciare al tabù della indifferenziazione della funzione:  

 

oggi quel progetto accomuna maggioranza ed opposizione ed è entra¬to a far parte degli scenari possibili, dei quali concretamente si discu¬te.  

 

Nostra è stata da tempo anche la proposta di una chiamata diretta dei docenti da parte delle scuole, come garanzia necessaria per l’eser¬cizio concreto della propria autonomia e della possibilità di risponde¬re in modo adeguato alla mutata domanda del territorio. Questa tesi, che da molti è tuttora vissuta come una minaccia o una provocazione, comincia ad essere sempre più spesso presa in considerazione da ope¬ratori del settore neoconvertiti, ma anche da autorevoli analisti come un passaggio indispensabile per il rinnovamento qualitativo dell’of¬ferta di istruzione.  

 

Si potrebbe continuare, ma non è necessario. Se mai, è un altro il problema. Se in tutti questi anni siamo stati osteggiati ed emarginati perché esprimevamo idee troppo innovative e “di nicchia”, oggi quan¬do molti si sono apparentemente appropriati delle nostre idee, talvol¬ta banalizzandole, vogliamo rilanciarle e rafforzarle anche per evitare che costoro, profondamente radicati in una visione del mondo antago¬nistica rispetto ai valori della professionalità e del merito, che per noi sono connaturali, le affossino attraverso una operazione meramente gattopardesca e nominalistica, che avrebbe per effetto di mantenere immutato lo statu quo, solo verniciandolo di novità.  

 

Per l’Anp questo è un pericolo reale: non solo perché potrebbe appannare nella memoria collettiva la corretta percezione di chi abbia la paternità di quelle idee. Alla fin fine, non le abbiamo elaborate e sostenute perché restassero isolate e sterili, ma perché diventassero patrimonio comune e condiviso di quanti più soggetti possibile. Il vero rischio è che si perdano di vista finalità ed obiettivi importanti, che vanno invece riaffermati, con l’orgoglio di averli per primi portati all’attenzione del dibattito politico e sociale e di averli sempre aggior¬nati, sostenuti e perseguiti. E’ necessario far sì che non diventino oggetto di una moda passeggera e di un dibattito superficiale, che tutto consuma senza produrre nulla di durevole e sostanziale: e soprattutto senza modificare lo stato delle cose.  

 

L’affermazione dei nostri principi e delle nostre finalità è oggi realisticamente possibile perché il clima complessivo, per la prima volta dopo tanti anni, sembra essere cambiato. Serietà, autorevolezza, rigore, merito: il muro è caduto, se ne può parlare. Nostra è stata anche la proposta di fondare l’autonomia su una base di sussidiarietà estesa, mediante l’adozione di un radicale decentra¬mento amministrativo e l’alleanza con le Regioni per un solido fede¬ralismo, attento ai bisogni dei territori anche in campo educativo. 

 

Siamo stati i primi ad indicare la via dell’associazionismo delle scuole come necessario complemento della loro autonomia: molti di coloro che ci hanno in quel tempo derisi ed osteggiati scoprono oggi tardivamente le virtù di quella intuizione e magari tentano maldestra¬mente di ascriverla a proprio merito.  

 

bbiamo sostenuto la necessità di una carriera professionale per i docenti, fra lo scandalo di quanti non erano disposti a rinunciare al tabù della indifferenziazione della funzione:  

 

oggi quel progetto accomuna maggioranza ed opposizione ed è entra¬to a far parte degli scenari possibili, dei quali concretamente si discu¬te.  

 

Nostra è stata da tempo anche la proposta di una chiamata diretta dei docenti da parte delle scuole, come garanzia necessaria per l’eser¬cizio concreto della propria autonomia e della possibilità di risponde¬re in modo adeguato alla mutata domanda del territorio. Questa tesi, che da molti è tuttora vissuta come una minaccia o una provocazione, comincia ad essere sempre più spesso presa in considerazione da ope¬ratori del settore neoconvertiti, ma anche da autorevoli analisti come un passaggio indispensabile per il rinnovamento qualitativo dell’of¬ferta di istruzione.  

 

Si potrebbe continuare, ma non è necessario. Se mai, è un altro il problema. Se in tutti questi anni siamo stati osteggiati ed emarginati perché esprimevamo idee troppo innovative e “di nicchia”, oggi quan¬do molti si sono apparentemente appropriati delle nostre idee, talvol¬ta banalizzandole, vogliamo rilanciarle e rafforzarle anche per evitare che costoro, profondamente radicati in una visione del mondo antago¬nistica rispetto ai valori della professionalità e del merito, che per noi sono connaturali, le affossino attraverso una operazione meramente gattopardesca e nominalistica, che avrebbe per effetto di mantenere immutato lo statu quo, solo verniciandolo di novità.  

 

Per l’Anp questo è un pericolo reale: non solo perché potrebbe appannare nella memoria collettiva la corretta percezione di chi abbia la paternità di quelle idee. Alla fin fine, non le abbiamo elaborate e sostenute perché restassero isolate e sterili, ma perché diventassero patrimonio comune e condiviso di quanti più soggetti possibile. Il vero rischio è che si perdano di vista finalità ed obiettivi importanti, che vanno invece riaffermati, con l’orgoglio di averli per primi portati all’attenzione del dibattito politico e sociale e di averli sempre aggior¬nati, sostenuti e perseguiti. E’ necessario far sì che non diventino oggetto di una moda passeggera e di un dibattito superficiale, che tutto consuma senza produrre nulla di durevole e sostanziale: e soprattutto senza modificare lo stato delle cose.  

 

L’affermazione dei nostri principi e delle nostre finalità è oggi realisticamente possibile perché il clima complessivo, per la prima volta dopo tanti anni, sembra essere cambiato. Serietà, autorevolezza, rigore, merito: il muro è caduto, se ne può parlare. Il Congresso Nazionale è il momento giusto per questa messa a punto concettuale e per la ricerca degli strumenti e delle alleanze necessari alla fase attuativa. Questa funzione si propongono, fra l’al¬tro, i presenti materiali su cui le strutture periferiche dell’associazione sono chiamate a discutere nei prossimi mesi.  

 

1. UNA PROPOSTA PER LA SCUOLA  

 

a più recente ridefinizione complessiva della proposta Anp per la scuola è solo di qualche mese fa: alla vigilia delle elezioni politiche. In quella circostanza, come è nostra consuetudine, abbiamo ritenuto utile un intervento pubblico, rivolto a tutte le forze politiche in campo, volutamente a prescindere dalla cognizione del¬l’esito elettorale.  

 

Quel documento si colloca nel solco della nostra elaborazione cul¬turale, politica e sindacale consolidata: e si è rivelato nel contempo singolarmente lungimirante, in quanto ha anticipato di pochi giorni, o di qualche settimana, una serie di altre prese di posizione sulla que¬stione scuola, indicando in qualche modo una tendenza che ha trova¬to larghe consonanze nella società civile.  

 

erto, i vari soggetti – gruppo del “buonsenso”, gruppo “di Firenze”, Confindustria, Treellle, per non ricordare che i più noti – si sono mossi autonomamente e senza riferimenti esplici ti alla proposta Anp. E tuttavia non può non essere considerata signi¬ficativa la scelta di temi e la convergenza oggettiva nell’analisi che li ha accomunati. Questo testimonia del fatto che i tempi sono maturi perché alcune tematiche vengano finalmente affrontate con ampio consenso nell’opinione più qualificata: ed è la riprova, se mai ve ne fosse stato bisogno, che la proposta Anp, già chiara e coerente da molti anni, si è rivelata una volta di più in anticipo sui tempi.  

 

Quel che è però ancor più interessante – e che non poteva essere dato per scontato in quel momento – è che molti dei temi e delle impo¬stazioni contenuti in quel documento si ritrovano nelle dichiarazioni programmatiche che il nuovo Ministro dell’Istruzione ha enunciato di fronte alla settima Commissione della Camera ai primi di giugno. Circostanza, questa, che indica una nuova opportunità per la realizza¬zione di quelle proposte e che – se pur da monitorare nei suoi effetti¬vi sviluppi concreti – va tenuta presente nella scelta delle strategie associative che dovranno uscire dal prossimo Congresso.  

 

La “Proposta Anp per la XVI Legislatura” – pur non essendo for¬malmente parte dei materiali congressuali – rappresenta quindi la natu¬rale premessa delle discussioni da tenere in quella sede. Ad essa ed alle analisi che sviluppa è opportuno fare implicito riferimento. In questo documento, se ne riprendono per sommi capi i punti principali.  

 

Una scuola snella  

 

Anp si propone da sempre come il “partito della scuola”. Scuola per tutti: anzi, scuola di qualità per tutti. Si deve prendere atto, però, che la strada seguita finora dai decisori politici (con ladilatazione degli orari curricolari, la moltiplicazione delle materie, l’e¬spansione dei contenuti) non va in questa direzione. La qualità dell’i¬struzione non si misura con la quantità delle informazioni che si cerca di trasmettere o con la crescita del tempo scuola. Anzi, l’aumento del carico orario e di quello mentale – coniugato con la rigidità dell’im¬pianto e con la mancanza di qualunque possibilità di scelta individua¬le – finisce con il produrre esiti di segno opposto.  

 

Non altrimenti si spiegano i livelli di ripetenze e di abbandoni e gli esiti sempre più insoddisfacenti nei livelli superiori di istruzione e nella transizione al lavoro. La stessa questione dei “debiti” non può essere letta ed affrontata solo in chiave quantitativa (più corsi di recu¬pero) e sanzionatoria (esclusione dalla promozione con debiti). Occorre comprenderne il significato per formulare diagnosi corrette. Quando percentuali di studenti comprese fra il 40% ed il 70% accu¬mulano debiti, vuol dire che il livello di prestazione loro richiesto è fuori da una ragionevole proporzione con le possibilità di farvi fronte. Non si tratta di scusare la pigrizia ed il disimpegno, che vanno anzi contrastati, ma di prendere atto che occorre interrogarsi sulle caratte¬ristiche del bisogno di istruzione anziché lavorare unicamente sul ver¬sante dell’offerta e sempre nel senso di espanderla e renderla tutta obbligatoria.  

 

L’Anp ha proposto un tetto di trenta ore settimanali di lezione e di otto materie fondamentali. Ogni aggiunta deve costituire solo propo¬sta integrativa, per coloro che hanno il desiderio di ampliare le proprie conoscenze e di allargare i propri interessi.  

 

Una scuola autonoma  

 

L  ’autonomia non ha nulla a che vedere con la sua pallida cari¬catura praticata in questi anni, fatta di risorse sempre più scar¬se e di minute disposizioni sempre più invasive. Il modello che l’Anp da sempre propone e che oggi è più che mai indispensabile si fonda su pochi elementi:  

 

- la delegificazione radicale degli ordinamenti; questi devono riguardare i livelli essenziale di prestazione e le clausole da porre a garanzia dell’uguaglianza di opportunità (attraverso poche misure quadro);

 - la definizione di un numero limitato di obiettivi nazionali, defi-niti in termini di competenze da sviluppare e non di contenuti da apprendere;  

 

- l’attribuzione di risorse finanziarie, professionali e strumentali in misura proporzionale al livello di prestazioni richieste;

 - un sistema di regole – sia di diritto pubblico che contrattuali – molto più snello dell’attuale e fondato sul prevalente governo interno delle scuole;  

 

- l’attribuzione alle scuole della piena autonomia statutaria, con il superamento degli attuali organi collegiali, nella logica delle migliori esperienze di governance esistenti in Europa;  

 

- il connesso obbligo di attivare procedure trasparenti di rendiconta zione sociale nei confronti della pubblica opinione, attraverso ido¬nee iniziative di autovalutazione;  

 

- un sistema di valutazione esterna dei risultati di apprendimento, a scadenze prefissate e con modalità corrispondenti agli standard internazionali di rilevazione.  

 

Le soluzioni sono note da tempo, in quanto sperimentate in numerosi Paesi: si tratta solo di liberare le energie professionali che esistono, abban¬donando la pretesa di continuare ad imbrigliarle ed indirizzarle dal centro. Se si vuole far crescere la qualità, si deve puntare sulla responsabilità di chi opera: e se si vuole promuovere la responsabilità, occorre garantire la piena autonomia professionale, unita ad una seria valutazione.  

 

Una scuola fondata sul merito  

 

ibertà e responsabilità sono fondamentali perché vi possa essere valutazione dei risultati. Ma la valutazione dei risultati non può andare disgiunta dall’apprezzamento del merito. Questa scelta si declina in modo diverso a seconda dei soggetti interessati.  

 

Per gli studenti, si tratta di dare visibilità alle competenze acquisi¬te: per esempio, abbandonando scelte recenti in materia di pubblica-zione degli esiti senza l’indicazione dei voti. Ovvero ripristinando la valutazione dei risultati di esame ai fini della scelta dei percorsi ulte¬riori di studio (test per l’ammissione all’università, e non solo). Soprattutto, occorre dare credibilità alla loro valutazione, in modo che i risultati siano attendibili, tanto alla conclusione degli studi che in vista dei confronti internazionali.  

 

Si deve però andare oltre. Gli studenti, bene o meno bene, sono sem¬pre stati valutati. Devono esserlo anche le scuole, i loro dirigenti ed i docenti. Ma questo deve avere conseguenze ulteriori: sui finanziamen¬ti, sull’attribuzione degli incarichi, sugli sviluppi professionali.  

 

Il merito, accertato con una seria ed indipendente valutazione, deve diventare il criterio regolatore della vita pubblica e della scuola. L’accertamento del merito individuale non è discriminazione e non genera disuguaglianza: è, al contrario, l’unica garanzia che il privile¬gio o la deprivazione non si trasmettano di padre in figlio e che tutti abbiano realmente pari opportunità di progredire e realizzarsi. In que¬sto senso, esso è il fondamento di una scuola che sia veramente demo¬cratica ed aperta a tutti. Una scuola senza merito riconsegna alla socie¬tà le differenze che ha ricevuto in ingresso: ed è quindi discriminato¬ria ed ingiusta, in quanto sottrae ai meno fortunati l’unica opportunità per una redistribuzione dei ruoli sociali.  

 

Queste cose le abbiamo sempre dette, spesso in solitudine. Fa pia¬cere che oggi esse vengano riscoperte, anche da interlocutori istitu¬zionali autorevoli, se questo significa che si comincerà finalmente a metterle in pratica.  

 

Le proposte su cui l’Anp intende impegnarsi sono almeno le seguenti:  

 

- il finanziamento delle scuole deve avvenire in forma capitaria, integrata da una quota compensativa per tener conto di particolari situazioni di contesto socio-culturale. Ma una parte aggiuntiva va assegnata alle scuole che – sulla base della valutazione esterna degli apprendimenti dei rispettivi alunni – abbiano fatto registrare negli ultimi tre anni significativi miglioramenti, a prescindere dal livello di partenza;  

 

- una parte significativa del fondo di istituto deve essere svincolata dalla contrattazione e dall’attuazione di progetti aggiuntivi rispet¬to all’ordinaria attività didattica. Essa deve essere attribuita dal dirigente sulla base della valutazione della prestazione professio¬nale dei docenti, accertata in forme trasparenti e rigorose, che includano i miglioramenti fatti registrare dai rispettivi alunni nelle prove nazionali.  

 

Perché l’eccellenza diventi normale, occorre cominciare con il riconoscere e premiare quella che già esiste, come stimolo ed esempio per gli altri, affinché diventi l’obiettivo di tutti.  

 

2. RIDEFINIRE LA PROFESSIONE DIRIGENTE  

 

Una ridefinizione professionale si rende necessaria, per motivi in parte coincidenti, in parte diversi, sia per i dirigenti che per i docenti, che costituiscono le risorse principali per riqualificare il nostro sistema di istruzione.  

 

Per quanto riguarda i dirigenti, le criticità da fronteggiare sono almeno:  

 

- forte rinnovamento nel corpo professionale: dei circa 10.500 diri¬genti “di ruolo” nel 2008-9, 800 lo saranno solo dal 1° settembre 2008 e 3500 dal settembre 2007. Oltre il 40% del totale è quindi costituito da colleghi di recente accesso o consolidamento nella funzione. Se ad essi si aggiungono i circa 1.600 assunti fra il 2004 ed il 2006, si arriva a quasi il 60%;  

 

- rapida evoluzione nei problemi educativi: la fisionomia dell’uten¬za sta mutando rapidamente. Cresce il numero degli studenti immi¬grati, che sono portatori di bisogni educativi molto diversi, non solo rispetto alla popolazione scolastica locale, ma anche fra loro. Si modificano, sotto la spinta dell’industria del tempo libero, gli stili di comportamento e i valori di riferimento diffusi; le tecnolo¬gie dell’informazione e della comunicazione rendono la scuola una “casa di vetro” in tutti i sensi, compresi purtroppo quelli meno positivi (nel senso che le debolezze dei singoli sono esposte, in tempo reale ed impietosamente, ad una gogna mediatica impensa¬bile solo pochi anni fa). Problemi di tale ampiezza e portata inter-pellano non solo i singoli docenti, ma la comunità scolastica nel suo complesso: ed in particolare i dirigenti, che sono chiamati a portare a sintesi il complesso dei bisogni e ad organizzare le risor¬se disponibili in funzione della più efficace risposta possibile;  

 

- incremento esponenziale del contenzioso: in parte per effetto della caduta di prestigio della istituzione scuola, in parte per la crisi dei corpi sociali, in parte per le gravi criticità insite nell’attuale model¬lo contrattuale, il contenzioso – sia amministrativo che lavoristico– si è molto dilatato negli ultimi anni. Contenzioso che i dirigenti devono fronteggiare spesso da soli, dato che l’Avvocatura dello Stato ormai ha assunto un atteggiamento più che distaccato nei con¬fronti delle scuole;  

 

- trasformazioni rilevanti nel contesto politico: gli esiti delle recen¬ti elezioni politiche hanno conferito alla coalizione di governo un forte potere di decisione, premiando in particolare, al suo interno, coloro che fanno del federalismo la propria bandiera. C’è dunque da attendersi un progressivo ampliamento delle competenze regionali e locali in materia di istruzione e lo spostarsi del bari-centro amministrativo dagli USR/USP agli Assessorati. Se i primi costituivano interlocutori sostanzialmente poco efficienti, ma comunque noti e relativamente prevedibili nelle loro logiche di funzionamento, i secondi rappresentano un’incognita, ricca di opportunità, ma anche difficile da valutare e probabilmente mute¬vole nei propri orientamenti, a seconda dei luoghi, delle maggio¬ranze e delle contingenze;  

 

- evoluzione del quadro ordinamentale: il Ministro ha dichiarato di volersi astenere da interventi normativi “pesanti”. Tuttavia, pro¬prio perché la tendenza degli ultimi dieci anni è stata quella della ipernormazione, un alleggerimento della pressione centralistica non può avvenire senza interventi legislativi, sia pure volti a dele¬gificare il possibile. Come l’esperienza insegna, ogni passaggio del genere produce vuoti ed incertezze con cui i dirigenti sono chiamati a misurarsi. Ma vi sono anche altri aspetti da prendere in considerazione. L’ampliamento delle competenze regionali, le pressioni del mondo produttivo e gli stessi effetti di alcune scelte del Parlamento rendono ormai certa l’istituzione di poli formativi, la cui denominazione e la cui vocazione potrà mutare, ma che richie¬deranno, per chi li dirigerà, competenze più ampie rispetto a quelle attese oggi dal dirigente. Questi infatti sarà chiamato a lavorare sem¬pre di più in rete con soggetti diversi e diventerà di fatto un gestore di sistemi integrati, anche in relazione alla formazione degli adulti nei costituendi centri territoriali. E’ verosimile che questa evoluzio¬ne del profilo riguarderà inizialmente una minoranza: ma non può essere trascurata, per evitare il rischio che le funzioni relative siano demandate a soggetti terzi, con conseguente attenuazione della rile¬vanza complessiva della professione.  

 

Fin qui l’elenco delle criticità, soprattutto di quelle che – per essersi affacciate più di recente all’orizzonte professionale – non sono accompagnate da una esperienza consolidata di buone pratiche e di riflessione condivisa.  

 

Nel loro insieme, esse indicano la necessità di integrare il profilo della funzione dirigente con un certo numero di competenze, fin qui rimaste relativamente in ombra:  

 

- competenze di tutoraggio ed inserimento professionale nei con-fronti dei colleghi più “giovani”. Si deve pensare ad una serie di iniziative strutturate, che vadano al di là della ben nota attività di consulenza telefonica da parte dei più esperti. Anche perché, rispetto ad alcune delle problematiche individuate, le esperienze disponibili sono ancora abbastanza scarse;  

 

- competenze di progettazione e di produzione di un servizio di istru¬zione costruito sui nuovi bisogni formativi e sulla differenziazione dell’offerta. Per chi si è formato nel solco della tradizione di cen¬tralismo educativo, oltre che amministrativo, è un passaggio cultu¬rale che non si può dare per scontato. E questo riguarda tutta la categoria, dato che i soggetti anagraficamente giovani sono relati¬vamente poco numerosi;  

 

- competenze rinnovate di tipo giuridico. Per rinnovate, si vuol dire allargate al diritto privato e del lavoro, mentre tradizionalmente la formazione in questo ambito riguardava il diritto pubblico ed amministrativo. Il precedente contenzioso si consumava in preva¬lenza nei confronti dell’Amministrazione, della Corte dei Conti e di fronte ai TAR; oggi questi aspetti costituiscono una frazione minoritaria delle vertenze, che si sono invece concentrate davanti ai giudici civili per questioni di lavoro;  

 

- competenze di tipo relazionale. I conflitti sono fisiologici, entro una certa misura. Il loro livello si può però ridurre con una accre¬sciuta consapevolezza circa l’importanza della gestione motiva¬zionale delle risorse umane. Caduta la supremazia giuridica a prio¬ri dell’Amministrazione nei rapporti di lavoro, gli strumenti per orientare i comportamenti devono mutare natura;  

 

- competenze di lettura politica della realtà generale e locale. Le trasformazioni in atto nel bilanciamento fra poteri centrali e poteri locali richiedono la capacità di individuare nuovi interlocutori e di attribuire loro il peso corretto nei rapporti con l’istituzione scola¬stica. La quale, per essere autonoma, non può neppure più contare sull’ombrello protettivo del suo essere incardinata totalmente nell’Amministrazione. Occorre saper individuare i bisogni del ter¬ritorio e saper istituire la rete di alleanze e di solidarietà indispen¬sabile per offrire risposte valide e flessibili;  

 

- competenze di sistema, intendendo per sistema in primo luogo quello formativo. Sempre meno la scuola può ritenersi agenzia for¬mativa autosufficiente sul territorio: cresce la domanda di integra¬zione fra soggetti attivi nel medesimo campo e la necessità di ren¬dere ottimale l’impiego di risorse limitate. Occorre quindi saper leggere la mappa dell’offerta ed individuare correttamente gli spazi da occupare al suo interno, costruendo un sistema di relazio¬ni equilibrato e funzionale, in primo luogo per offrire all’utenza un servizio di qualità, a misura dei suoi bisogni.  

 

3. RIDEFINIRE LA PROFESSIONE DOCENTE  

 

Per quanto riguarda i docenti, molte delle variabili di contesto esterne sono le stesse di quelle già prese in considerazione per i dirigenti. In aggiunta, vi sono alcune questioni interne:

 - logoramento del profilo: quella del docente è una professione che logora e che si è logorata anche a livello di immagine sociale. Le cause sono molte e abbastanza note: esercita la professione quasi un cittadino su sessanta (e questo toglie alla funzione il suo antico carattere di relativa eccezionalità); la retribuzione è modesta; viene percepito, e stride con le aspettative, l’atteggiamento impiegatizio di una parte degli addetti; si registra la perdita di un’identità col¬lettiva forte; viene vissuto con difficoltà un rapporto diretto e senza diaframmi culturali con problemi sociali e personali difficilmente risolvibili. E si potrebbe continuare. Resta il fatto che, se si vuole invertire la rotta, occorre intervenire almeno su quegli aspetti che sono nella disponibilità degli interessati;  

 

- ritardo culturale nell’analisi del proprio compito: per molti, il mandato professionale è ancora quello tradizionale, cioè trasmet¬tere conoscenze. Indipendentemente dagli interessi e dagli stili cognitivi dei discenti, indipendentemente dalla trasformazione dei loro bisogni, indipendentemente dalla rilevanza percepita di quel¬le conoscenze nel mondo del lavoro e delle professioni. Se il punto di riferimento del dover essere è solo la propria disciplina, diven¬ta difficile accorgersi dei veri motivi per cui il lavoro non rende più come prima. E’ solo guardando insieme, da una pluralità di ango¬lazioni, ai problemi della persona in apprendimento, più che all’oggetto dell’insegnamento, che si possono identificare i termi¬ni nuovi di un problema antico. Ma questa analisi non la può com¬piere il singolo confrontandosi unicamente con se stesso;

 

 

- autonomia professionale debole: contrariamente all’opinione dif¬fusa, l’estrema libertà individuale di fatto riconosciuta ai docenti non è un elemento di forza del loro profilo. Essa non li copre rispetto all’opinione pubblica, in quanto non permette di attribuire ai singoli caratteristiche comuni proprie di un profilo forte: li espo¬ne invece alla necessità di dimostrare uno per uno, e spesso nelle circostanze meno favorevoli, il proprio valore. Sono forti quei modelli professionali in cui un corpus di competenze ad alto livel¬lo è sicuramente riferibile a tutti i suoi componenti ed in cui le caratteristiche individuali sono un valore aggiunto, ma non esauri¬scono l’identità complessiva di ciascuno;

 

 

- assenza/rifiuto della valutazione: anche in questo caso, si tratta di una tutela unicamente apparente, il cui unico effetto è quello di mettere al riparo dalle conseguenze delle proprie azioni coloro che sono professionalmente più scadenti; ma di cui pagano il costo tutti gli altri, che non sono messi in condizione di dimostrare quan¬to valgono. E’ un paradosso che professionisti, i quali spendono parte importante del proprio tempo nel valutare altri, non vengano mai valutati: e una condizione paradossale, prima o poi, diventa un boomerang per chi vi si attarda;

 

 

- sistema di alleanze debole: l’isolamento dei singoli all’interno della professione è un fattore di criticità, le cui conseguenze sono aggravate dalle alleanze deboli in cui i docenti come corpo pro-fessionale sono inseriti, o sono stati costretti. Dopo l’uscita dal “comparto scuola” dei capi di istituto, il contenitore contrattuale unico, tenacemente difeso dal sindacato tradizionale, si è sempre più andato trasformando in una gabbia che áncora verso il basso il riconoscimento economico e professionale dei più qualificati. La vera tutela che deriva dal comparto unico è quella che si riverbera su altri profili professionali dalla condivisione di alcuni dei “privi¬legi” tipici dei docenti in materia di organizzazione del lavoro.

 

 

N

 

 

ell’individuazione dei punti problematici, risiedono anche gli elementi di quello che dovrebbe essere il profilo del docente professionista dei prossimi anni. Esso include almeno:

 

 

- l’esistenza di una carriera, fatta di differenziazione retributiva e di riconoscimento di status, basata sulla valutazione e sul merito, che faccia emergere le situazioni di eccellenza e restituisca ai singoli l’orgoglio della propria condizione e la consapevolezza di ricevere apprezzamento sociale per il proprio impegno e le pro¬prie capacità;

 

 

- la piena visibilità delle funzioni di middle management, che già oggi esistono ed operano senza riconoscimenti strutturali né grati¬ficazioni professionali. In questo ambito andrà collocata e regola¬ta anche la funzione della vice-dirigenza delle scuole;

 

 

- l’assunzione di una responsabilità collettiva nella decisione circa il proprio lavoro e l’accettazione che la disciplina insegnata è uno degli strumenti in un progetto di formazione complessiva dello studente, da decidere insieme con i colleghi e con l’interessato;

 

 

- il superamento di una visione isolazionistica e difensiva della liber¬tà didattica individuale. Occorre fare riferimento consapevole ed impegnato, da un lato ad un insieme di buone pratiche professionali condivise, dall’altro ad un codice deontologico dichiarato, nel quale si riconoscano tutti i professionisti. Solo rivestendosi con l’autorità di un corpo professionale, cui si deve far credito a priori in ragione dell’adesione di tutti i soggetti che praticano la funzione, si può evitare di esser chiamati a rendere conto di ogni singolo atto della propria professione di fronte ad un’utenza che ne ignora total¬mente i presupposti. Il che comporta, d’altro canto, la leale attua¬zione di quelle regole e quindi la rinuncia al privilegio di non dover formalmente rispondere a nessuno delle proprie scelte;

 

 

- la scelta, da rivendicare e non da subire, per una costante valuta-zione dei propri standard di prestazione, come complemento necessario di carriera e prestigio professionale. Chi ritiene che questo sia una deminutio del proprio prestigio dovrebbe rendersi conto che è l’unico modo per difenderlo dalla sfiducia preventiva che si è instaurata nella pubblica opinione;

 

 

- l’alleanza con figure professionali forti, come i dirigenti, anziché con una generica categoria di lavoratori della conoscenza, che tende a caratterizzare la funzione nei suoi aspetti impiegatizi ed esecutivi piuttosto che su quelli alti e qualitativi.

 

 

4. RILANCIARE L’ASSOCIAZIONE DELLE SCUOLE

 

 

L

 

 

’associazionismo delle scuole è il complemento necessario della loro autonomia. E non è un caso se l’idea nasce in casa Anp, in coincidenza temporale con il V Congresso Nazionale(1999) e con la pubblicazione del DPR 275, il Regolamento dell’au¬tonomia.

 

 

Le ragioni di quel nesso sono troppo evidenti per dover essere qui ricordate. Nel momento in cui le scuole cessano di essere repliche locali di un modello generale definito una volta per tutte dal centro, si pone il problema di fondare una nuova identità collettiva e di istituire rapporti caratterizzati da pari dignità e rilevanza di interessi veicolati con i soggetti rappresentativi del territorio.

 

 

Le reti di scuole nascono quasi subito, dapprima intorno a bisogni specifici, come l’aggiornamento ed i servizi: poi evolvono come reti territoriali, per tendere abbastanza rapidamente a costituirsi su base regionale. Questa dimensione non è casuale, in quanto è la Regione il soggetto che prima il DLgs 112/98 e poi la riforma costituzionale del Titolo V individuano come titolare dei poteri di organizzazione della rete scolastica sul territorio.

 

 

I

 

 

l passo successivo è l’idea di collegare fra loro le associazioni regionali e sub regionali in un organismo di coordinamento più ampio, di livello nazionale, che si pone l’ambizione di rappresen

 

 

tare l’equivalente dell’ANCI o dell’UPI. Nasce così la FNASA, Federazione Nazionale delle Associazioni di Scuole Autonome.

 

 

A quasi dieci anni di distanza dalla prima intuizione e ad oltre sei anni dalla costituzione della FNASA, che è soggetto politicamente e strutturalmente autonomo, vi è l’esigenza, per l’Anp, di fare un bilan¬cio della situazione, per valutarne punti di forza e di criticità.

 

 

Va riconosciuto che le singole associazioni regionali rappresentano realtà diverse: alcune poco più che nominali, altre attive nel persegui¬mento dei fini istituzionali e forti di adesioni diffuse.

 

 

Il dato politicamente più rilevante è costituito dal fatto che altri sog¬getti sindacali, dopo aver irriso ed osteggiato l’idea, hanno recente¬mente mutato atteggiamento e sembrano interessati ad “entrare” nelle associazioni regionali e nella Federazione nazionale per assumerne il controllo. Questa strategia si è sviluppata in forme diverse, ma quasi sempre partendo dalla rivendicazione di una “indipendenza” delle associazioni rispetto all’Anp. Indipendenza che presuppone una presa di distanza e quindi – visto che il vuoto non esiste in politica più di quanto non esista in natura – un avvicinamento ad altri poli di riferi¬mento ed attrazione.

 

 

L

 

 

’ Anp, che per parte sua – dopo aver maturato il progetto ed aver aiutato le associazioni a nascere – ne ha sempre rispetta¬to l’autonomia (tanto che diverse associazioni regionali sono

 

 

presiedute da dirigenti non iscritti) non può però rimanere indifferen¬te ai suoi esiti. Rispettare l’autonomia vuol dire porre le condizioni perché la Federazione e le Associazioni possano fare realmente da sole, non lasciare che vengano attratte nell’orbita di altri non disinte¬ressati tutori.

 

 

Il Congresso è chiamato quindi ad esaminare questo tema, in ordi¬ne soprattutto a due punti:

 

 

- impegnare le sezioni territoriali a “riscoprire” le rispettive associa¬zioni regionali, a farvi aderire il maggior numero possibile di scuole dirette da colleghi iscritti o vicini all’Anp, a permearle della cultura dell’autonomia di cui possiamo a buon diritto dirci porta¬tori più di ogni altro;

 

 

- impegnare coloro che vi aderiscono a ridare slancio all’attività delle associazioni regionali e della Federazione nazionale, in par¬ticolare sotto il profilo dell’interlocuzione politica con le Regioni e gli Enti locali e delle alleanze da stringere con i soggetti portato¬ri di interesse sul territorio.

 

 

S. LE LEVE SU CUI AGIRE

 

 

P

 

 

artendo dall’analisi delle criticità cui dirigenti e docenti si trova¬no di fronte, è necessario che il Congresso individui strategie e strumenti di azione adeguati. Ancora una volta, tali scelte saran¬no in parte comuni e in parte specifiche:

 

 

- formazione e diffusione del patrimonio culturale dell’Associazione: questa è sicuramente la leva primaria da azionare. Per quanto riguarda i dirigenti, si tratta di aiutarli ad individuare i nuovi scena¬ri politici e professionali che li riguardano e di fornire gli strumen¬ti per affrontarli al meglio. Per i “nuovi dirigenti” in particolare, si tratta di trasmettere in tempi brevi quanto più possibile del patri¬monio di esperienza elaborato dalla precedente generazione. E’ un compito reso ancor più urgente dall’accelerazione del turn-over e dalla sproporzione crescente fra vecchi e nuovi. La formula della “Agenda dei primi 100 giorni” si è rivelata molto utile e deve esse¬re proseguita adattandola alle circostanze che verranno maturando. Relativamente ai docenti, la priorità che dobbiamo porci non è quella di offrire un aggiornamento disciplinare (compito per il quale esistono altri soggetti), quanto un ausilio alla presa di consa¬pevolezza del contesto e del mandato che devono svolgere. Si trat¬ta di sviluppare quella dimensione, “politica” in senso alto, del pro¬filo, che era forse di minor rilievo in passato, ma che va acquistan¬do sempre maggiore rilevanza a misura che cresce il peso delle comunità locali e del territorio nel disegnare i contorni del loro compito. La formazione è stata fin qui svolta soprattutto per inizia¬tiva o con il contributo delle strutture nazionali: dal Congresso essa deve uscire come un impegno comune di tutte le strutture, compre¬se quelle periferiche;

 

 

- consolidamento dell’attività delle strutture formative esistenti. Dirscuola (accreditata per la formazione di docenti e dirigenti) ed Italiascuola.it (con vocazione nell’offrire servizi di consulenza e formazione alle scuole) sono due strutture che l’Anp ha creato e sviluppato da tempo, in parte attraverso collaborazioni esterne: e si sono progressivamente ritagliate uno spazio crescente negli ambi¬ti di riferimento. Si tratta di superare alcune remore o timidità che le strutture territoriali hanno avuto in passato nel farle conoscere ed apprezzare per quello che sono: strumenti di servizio alla pro¬fessionalità, prima e più che soggetti economici puri. I bisogni cui esse offrono una risposta sono reali e non è difficile rendersi conto che le altre risposte disponibili sul mercato sono spesso di livello meno qualificato nello specifico ambito dei dirigenti e delle alte professionalità docenti: e comunque non sono in genere ispirate ad una cultura della scuola e della formazione coerente con la nostra storia e la nostra proposta complessiva. Occorre rendersi conto che la scelta dei mezzi non è indifferente rispetto ai fini che si voglio¬no conseguire: e che questo vale anche per la ricerca di un partner qualificato quando si vuole organizzare formazione per lo svilup¬po della professionalità;

 

 

- allargamento e coinvolgimento nei quadri associativi: la forma¬zione è già un valido strumento per far conoscere ed apprezzare il patrimonio di idee ed il valore dell’associazione. Ma, in presenza di un ricambio accentuato – soprattutto fra i dirigenti – si rende indispensabile fare un passo ulteriore, chiamando fin dai prossimi mesi anche un certo numero di “nuovi” colleghi a far parte dei quadri associativi. Questo riguarda sia i dirigenti che i docenti che si dimostrino in grado di offrire un contributo qualificato al con¬solidamento ed allo sviluppo della vita dell’Anp ai diversi livelli. Il rinnovamento dei quadri è uno degli obiettivi più importanti per sviluppare l’attività ed allargare il consenso; come tale, esso deve costituire uno dei compiti che il Congresso affiderà ai responsa-bili di tutta la struttura territoriale;

 

 

- conferma della scelta strategica per un’alleanza fra professioni¬sti: non dovrebbe essere neppure necessario a questo punto riper¬correre le ragioni culturali e politiche della scelta compiuta dal VI Congresso con l’apertura ai docenti. Basterà ricordare che, in una situazione in cui la mappa dei poteri in materia di istruzione è in rapido ridisegno, è fondamentale essere in campo con un buon sistema di alleanze. I dirigenti, se si presentano soli e come contrapposti a tutti gli altri, sono isolati e sacrificabili; i docenti, se non si sciolgono dall’abbraccio forzato con categorie profes-sionali meno qualificate della loro, e comunque diverse, ne seguono la sorte. E’ nell’interesse sia degli uni che degli altri creare una sinergia politica e sindacale fra le professionalità “alte” che sono presenti nella scuola. La scelta compiuta sei anni fa, che allora poté sembrare eccessivamente anticipatrice, è oggi da riconfermare con convinzione e da sostenere con coerenza a tutti i livelli. Il Congresso dovrà esprimersi con chiarezza su que¬sto punto: non solo in termini di principio, ma di preciso impe¬gno all’azione per tutti coloro che si proporranno per rappresen¬tare l’associazione nelle strutture territoriali. La discussione su questo punto dovrà focalizzarsi con maggior attenzione che per il passato sul cosa e come fare, non sul se;

 

 

- rilancio della richiesta di perequazione retributiva: a otto anni dall’assunzione delle nuove responsabilità e sul punto di veder esaurirsi anche il periodo di validità del terzo contratto, diventa fondamentale per l’Anp sostenere con forza la piena perequazio¬ne retributiva per i dirigenti, nella sua duplice declinazione: ester¬na (verso gli altri dirigenti delle Amministrazioni) ed interna (fra dirigenti storici, ex presidi incaricati, ed ex docenti). Dal Congresso deve venire una forte richiesta alla classe politica ed un mandato pieno alla presidenza nazionale per l’utilizzo di tuttigli strumenti idonei a conseguire l’obiettivo;

 

 

- rilancio della proposta di carriera professionale per i docenti: quando l’abbiamo formulata e diffusa, appena pochi anni fa, sem¬brava trattarsi di un’utopia remota. Oggi si levano sempre più numerose le voci di coloro che – perlopiù senza citarci – si fanno avanti per formulare proposte analoghe. E fra le voci che contano, sicuramente la più importante è quella del Ministro, che (nella audizione alla VII Commissione della Camera per la presentazio¬ne del suo programma) ha fatto esplicito riferimento a migliora¬menti economici sostanziali, da collegare a merito e valutazione. A tanto maggior ragione, il Congresso deve riprendere quella pro¬posta e dare mandato a tutte le strutture periferiche di farla cono¬scere al maggior numero possibile di docenti interessati e di cogliere, o creare, tutte le opportunità sul territorio per allargare il consenso intorno ad essa;

 

 

- richiesta di alcuni interventi normativi in materia di ordinamenti: l’Anp ha sostenuto nella propria Proposta per la XVI legislatura l’esigenza di delegificare il più possibile gli ordinamenti. Poiché non si parte da zero, ma da una situazione di ipertrofia normativa, è però necessario che alcuni interventi, almeno sulle questioni essenziali, siano compiuti per legge. Fra questi occorrerà indivi-duare almeno quelli riguardanti:

 

 

- ordinamenti del secondo ciclo, con l’alleggerimento deciso dei piani orario;

 

 

- istruzione tecnica e professionale, con ampliamento della quota locale negli ultimi tre anni (almeno il 40%) ed un’aper¬tura alla collaborazione con il mondo produttivo anche a livel¬lo di organi di governo;

 

 

- organi collegiali, con radicale alleggerimento del loro numero e delle loro attribuzioni ed una apertura più significativa verso l’e¬sterno (ora come ora, sono lo specchio degli equilibri interni);

 

 

- poteri del dirigente, con la piena agibilità di tutte le risorse di istituto, comprese quelle umane, e la conseguente attribuzione dei poteri di gestione necessari (dal reclutamento al governo operativo, al concorso nella valutazione, alla disciplina);

 

 

- stato giuridico dei docenti, con l’introduzione di più livelli

 

 

retributivi, governati da valutazione del merito individuale;

 

 

- relazioni sindacali, con riduzione del numero dei livelli e delle materie di contrattazione. In particolare, contrattazione separata per i docenti, con parte significativa della incentiva¬zione da riservare alla valutazione delle prestazioni, anziché ai progetti;

 

 

- scelta della via politica al cambiamento. Alle sue origini e prima di diventare rappresentativa sul piano sindacale, l’Anp fu soprattutto movimento di opinione e pesò sulla scelta poli-tica attraverso il rapporto diretto con i decisori e la capacità di aggregare consenso intorno alle proprie tesi. In anni più recen¬ti, la via battuta è stata piuttosto quella delle relazioni sinda¬cali e dell’utilizzo degli strumenti tipici di queste (acquisizio ne ed allargamento della rappresentatività). E’ però evidente che ci troviamo in un passaggio in cui gli altri soggetti sinda-cali, non riuscendo più ad esprimere una proposta innovativa, dispiegano il loro considerevole potere nel congelare le situa¬zioni esistenti. Ci si deve chiedere allora se non sia il caso di riorientare la nostra strategia, puntando di nuovo sulla capa¬cità di influenzare direttamente l’agenda delle priorità. Le condizioni di contesto (dichiarazioni del Ministro, orienta-menti della Funzione Pubblica – sotto riserva della loro tenu¬ta e della coerenza nel tempo) sembrano essere favorevoli ad una scelta strategica in questa direzione, che comporta un diverso bilanciamento dell’impegno associativo fra i due canali tradizionali della politica e del sindacato. Su questo punto il Congresso è chiamato ad esprimere un mandato alla presidenza per i prossimi anni.

 

 

6. QUALE ASSOCIAZIONE, QUALE SINDACATO

 

 

I

 

 

l tema di una eventuale diversa ponderazione fra la via sindacale e la via politica al conseguimento degli obiettivi merita una messa a punto accurata, anche alla luce di alcune sensibilità parzialmente diverse che si sono manifestate in passato relativamente al punto.

 

 

L’Anp nasce associazione professionale, ma fa quasi subito la scel¬ta della valenza sindacale, senza che questo rappresenti un abbandono della scelta iniziale. Allo stesso modo, qualora il Congresso dovesse decidere di indicare la via di una speciale attenzione al rapporto con le sedi di decisione politica, questo non potrebbe oggi comportare in alcun modo un abbandono o una attenuazione della sua natura e voca¬zione sindacale.

 

 

Nella nostra storia e nella nostra visione, i due termini non sono antitetici, ma si integrano e si connotano a vicenda. La definizione che è sempre stata data al nostro interno per questa specifica condizione è quella di “sindacato professionale”.

 

 

Sindacato professionale è cosa diversa dal fare del sindacalismo una professione. Troppo spesso il sindacalismo di professione, in par¬ticolar modo nel pubblico impiego, privilegia il disservizio come strumento di pressione sulla controparte datoriale. Bloccando o intralciando il funzionamento ordinario, si cerca di indurre l’Amministrazione a cedere sul piano contrattuale. Quanto alla tutela dei lavoratori, essa si esercita non di rado nel tenerli al riparo dalle conseguenze dei propri errori o delle proprie negligenze e nel depri¬merne i meriti: come i dirigenti scolastici sanno per diretta esperien¬za nella gestione del personale delle rispettive scuole. Ma quegli erro¬ri e quelle negligenze finiscono con il ricadere su un’utenza priva di difesa, cui il servizio dovuto – e, nel nostro caso, garantito da un pre¬cetto costituzionale – viene negato o reso in modo incompleto o a livelli di qualità non accettabili. Con una lesione irreparabile, non soltanto dei principi dell’ordinamento pubblico, ma degli interessi generali del Paese, che su una istruzione di qualità deve fare affida¬mento per il proprio futuro. on è mai stata e non può essere questa la nostra visione della funzione sindacale. Quando parliamo di sindacato professiona¬le, noi intendiamo porre l’accento sul miglioramento del servi

 

 

zio e sull’alleanza con gli utenti per promuovere i legittimi interessi di tutti. Fin dall’inizio, l’Anp ha cercato di accreditare il ruolo dei capi di istituto come garanti della qualità delle scuole, in modo da saldare un’alleanza virtuosa per il progresso civile. Questa linea è stata stori¬camente vincente nel momento in cui i decisori politici hanno dovuto scommettere sui dirigenti delle scuole per condurre in porto la riforma degli anni 1997-2000. Il successo culturale – prima che sindacale o di immagine – è consistito nel legare le prospettive di miglioramento del servizio scolastico al ruolo ed ai nuovi poteri del dirigente e nel ren¬dere consapevole il Parlamento dell’inscindibilità di tale nesso.

 

 

La situazione attuale appare lontana da quella, ma presenta in real¬tà numerosi elementi di analogia: grave crisi di credibilità della classe politica – la casta – e del sindacato tradizionale – l’altra casta -; emer¬genza educativa da tutti denunciata senza che alcuno sembri in grado di indicare una soluzione; una maggioranza parlamentare apparente¬mente consapevole dell’urgenza di investire sul merito, ma tuttora alla ricerca di un progetto credibile in questo campo.

 

 

Senza illusioni demiurgiche e senza sopravvalutare la nostra capa¬cità di determinare quelle decisioni, noi siamo e possiamo dirci por¬tatori di un tale progetto. L’apertura ai docenti – non a caso qualifi¬cati di “alta professionalità” – ne rappresenta una delle prove. Noi siamo in grado di offrire una prospettiva di uscita dall’emergenza educativa, a condizione di non smarrire i punti di riferimento cultu¬rali e professionali che da sempre sono scritti nel nostro DNA: quali¬tà, valutazione, merito.

 

 

La classe politica non può permettersi a lungo di tenere in non cale l’opinione pubblica: deve dare segnali di cambiamento forti, a cominciare dal settore della scuola che tocca direttamente la grande maggioranza dei cittadini. Non può più permettersi indulgenze o dis¬trazioni verso i “fannulloni” o quelli che vengono percepiti, magari a torto, come tali. Né un sindacato tradizionale, che avverte ogni giorno di più gli scricchiolii di una insofferenza diffusa per l’inva¬denza con cui ha esercitato il suo ruolo, può difendere più di tanto lo statu quo. La sua base ha mutato profondamente natura e composi¬zione ed è oggi, in via del tutto maggioritaria e quasi esclusiva, fatta di pensionati e di dipendenti pubblici: quelli contro i quali monta ogni giorno di più il risentimento diffuso, alimentato dal sensazio¬nalismo dei media.

 

 

Chi pensa che esista uno spazio da occupare in una ridotta come quella del sindacato-patronato, della difesa corporativa di pic¬coli privilegi individuali, di un modello culturale contrapposi

 

 

tivo nei confronti dei diritti dei cittadini-utenti, è in arretrato di qual¬che decennio sull’evoluzione del paese e delle dinamiche di interes¬si che vi si sviluppano. Quello spazio non esiste e comunque è trop¬po affollato di contendenti perché si possa pensare di inserirvi un altro soggetto.

 

 

E comunque, per mille e una ragione, quel soggetto non può esse¬re l’Anp. hi voglia oggi individuare una strategia vincente – sul piano politico ed insieme su quello della promozione degli interessi sociali – deve proporre e dichiarare possibile un collegamento

 

 

stretto fra la serietà dell’impegno, la professionalità del lavoro ed i riconoscimenti connessi. Merito è parola abusata prima di essere stata usata realmente: è tempo, e vi è spazio politico, perché questa situazione cambi. E’ questo spazio che l’Anp deve far suo con deci-sione, perché ha contribuito a crearlo e sarebbe deleterio abbandonar¬lo, in mani che non ne hanno condiviso fin dalle origini la portata ed il senso, proprio quando si aprono le prospettive di successo.

 

 







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