IL DIBATTITO. LA SCUOLA DEL SUD - IL PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE BDS REPLICA A GALLI DELLA LOGGIA. Puglisi: «Ma nell’Isola c’è chi lavora con attività
Data: Martedì, 23 settembre 2008 ore 12:17:58 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Capita oramai sempre più di sovente che qualche illustre intellettuale prende a discettare, in fatto e in diritto, sui peccati e sulle pene della Sicilia e dei suoi intellettuali: è accaduto anche da recente per l’abile penna di Ernesto Galli della Loggia con un fondo d’apertura sul Corriere della Sera. Non credo che sia sensato e utile a nessuno aprire una polemica e forse neppure un dibattito sulla "condanna" pronunciata da Galli della Loggia nei confronti della cultura ufficiale siciliana e dei suoi sacerdoti: penso, piuttosto, che sia utile e, forse anche, necessario affermare il diritto al dissenso di chi, in una terra difficile e talora impossibile, con pazienza e continuità quotidianamente conduce la sua attività riformatrice e, spesso, innovatrice, senza clamori, ma anche senza esitazioni o paure.

Abbiamo sperimentato sulla pelle della Sicilia e dei siciliani la stagione del riformismo gridato, coniugato spesso ad un professionismo antimafia, tanto retorico quanto vacuamente autopromozionale, abbiamo assistito a cortei e abbiamo ascoltato banditori da salotto di riformismo prêt-à-porter, nascosto dietro la penna o il laticlavio di professionisti d’assalto del giornalismo o della politica. Abbiamo anche assistito alla clamorosa delegittimazione di istituzioni e personalità, fortemente impegnate nella vera lotta alla criminalità organizzata (si chiami mafia, camorra o ’ndrangheta poco importa), per il piacere del protagonismo da vetrina ad ogni costo.

Non credo che l’intervento di Ernesto Galli della Loggia sia catalogabile in nessuno di questi casi: eppure riesce a fare male a molti e danno a tutti. Se lo storico milanese avesse un po’ più di conoscenza diretta della Sicilia, delle sue azioni e dei suoi uomini migliori - giacché anche di questi essa possiede un eccellente parterre - avrebbe forse scritto cose diverse. Non nego che alcune considerazioni critiche su un certo snobismo, misto ad una certa ignavia, che ha caratterizzato, soprattutto negli ultimi tempi, una parte dell’intellettualità isolana; nego però con forza che esso sia stata la cifra dell’Isola e della sua classe dirigente e intellettuale, oltre ogni divisione politica, ideologica o culturale. Sarebbe imbarazzante sciorinare elenchi di personalità e istituzioni in questi anni impegnate, sia in Sicilia, che anche lontano da essa, ma in piena sintonia con la sua classe dirigente, a imprimere una svolta alla sua azione economica, sociale e culturale: ciò che, spesso, ha remato contro azioni, anche esemplari, avviate e portate a termine in Sicilia è stata da un lato la mancanza di un’eco adeguata di tutto ciò nell’informazione nazionale e internazionale, spesso troppo attenta a riportare stereotipi comodi ad una letteratura consumistica più che ad una vera notizia di rottura, dall’altro lato la mancanza di serietà professionale a tutti i livelli - anche politici e talora governativi - per contribuire al sostegno solidale di una cultura del cambiamento, fortemente presente soprattutto nella generazioni più giovani, convinte più di ogni altro che il loro futuro sta nell’impegno civile e nella qualità professionale. E vengo al tema dello scandalo: la scuola.

La scuola, in Sicilia come in Lombardia, è lo specchio della società. In Sicilia ovviamente le condizioni generali e particolari nella quali si muove il sistema scolastico e formativo sono meno efficaci che in altre parti del Paese, perché in Sicilia è meno efficace tanto il sistema politico, quanto quello economico. Le condizioni dell’apprendimento sono quelle di una regione nella quale spesso la scuola e l’università sono la via di fuga per l’insoddisfazione occupazionale e non la palestra della vita professionale, gli insegnanti sono anche essi espressione del loro humus culturale ed economico, il quale, già insoddisfacente e carente nel mitico nord-est, è ancora di più tale nel profondo sud. Non invoco, per carità, né assistenza politica, né interventi straordinari, credo che sia giunto il momento di cominciare a trattare i temi del sud, e della Sicilia in particolare, in modo "ordinario". Occorre cioè prendere in carico questa realtà non con il piglio del maestro dotato di matita rossa e blu, pronto a segnare gli errori per abbassare il voto, ma con l’attenzione costituzionale con la quale i padri costituenti sessanta anni fa si posero davanti alle questioni della Sicilia, un’attenzione speciale per dare all’estremo lembo d’Italia la possibilità di competere negli anni a venire in modo appunto "ordinario".

Competizione, dunque, e non assistenzialismo, in una terra come la Sicilia, vuol dire per un verso garanzia di condizioni strutturali per una sfida vera e per altro verso management politico e industriale adeguati e decisamente rinnovati rispetto al passato recente e non solo. È vero, per questi obiettivi forse la scuola e le università siciliane non sono, almeno in questa fase, del tutto pronte, però non si aiutano e non si risolvono i problemi salendo in cattedra e dando lezioni fuori tempo e fuori luogo, si risolvono dando ruolo, fiducia e sostegno a quanti, siciliani e non, raccogliendo la sfida, fanno di questa terra un laboratorio di idee e di progetti.

Alcuni illustri esempi, anche di recente, li abbiamo, specie nel mondo finanziario e imprenditoriale, che, venendo anche da lontano, ha scelto la Sicilia per esperimenti-pilota, anche ben riusciti, dando fiducia a chi ha fede nel cambiamento e capacità di realizzarlo, senza false retoriche e senza indugi. I contemporanei scrivano pure la cronaca, per raccontare la storia ci rimettiamo ai posteri.

GIANNI PUGLISI*

*Presidente della Fondazione BdS

(da www.lasicilia.it)







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