Ernesto Galli della Loggia sul Corriere
si chiede, dopo l’analisi degli ultimi
dati Ocse-Pisa, come mai la scuola
del Sud per un verso venga ancora
bocciata, mentre quella del centronord
tiene e progredisce rispetto all’Europa,
e per l’altro abbia invece la
percentuale più alta dei diplomati
centisti. Qualcosa dunque non funziona,
afferma, e con ogni probabilità
i responsabili sarebbero gli intellettuali
che avrebbero dato forfait, non
solo nella loro funzione storica meridionalistica,
ma anche nella prassi
quotidiana di pungolo e di critica al
potere.
Dal nostro punto di vista non possiamo
fare altro che dargli ampia ragione,
sia in riferimento al ruolo dei
cosiddetti intellettuali, e sia pure in
riferimento al lavoro dei docenti meridionali,
benché uno studio serio afferma
che "il divario fra Nord e Sud
dipende per il 30% dall’ambiente familiare,
per il 20% dalle strutture scolastiche
e per il 50% dal contesto ambientale."
Non si vuole con questo mitigare
le responsabilità della intellighenzia
locale, anzi, a sostegno di Galli della
Loggia, vorremmo rilevare come né
essa né la classe docente faccia qualcosa
per denunciare, sia il divario
sempre più netto fra le due Italie, e
sia la sua scarsa incidenza nei fenomeni
culturali. Gli elementi di analisi
della gestione politica, come si può
realmente osservare, sono pressoché
nulle e nulla si sente ventilare né
dalla opposizione, né da frange critiche
della maggioranza stessa.
Sembra di assistere a un robusto
monologo del governo locale che riesce
a giustificare senza impaccio tassi
di disoccupazione altissimi, criminalità,
migrazioni al nord, clientelismi.
La vecchia eredità politica della sinistra,
che invase le terre e le fabbriche,
è sfumata in un progetto nebuloso
e astratto, mentre il sindacato è
alla ricerca di se stesso.
E se manca l’intervento politico
per aggiustare lo svantaggio col
Nord, altrettanto assente è il ruolo
dei docenti, sia nella gestione spicciola
della scuola, e sia in quello di
studio e di analisi critica della società.
Sembra per paradosso che l’incarico
di commessi della cultura del
potere assegnato ai professori da Gramsci si materializzi anche quando
accettano la ideologia assai diffusa
della delega per cui sperano, per
modificare un triste andazzo, nell’intervento
improbabile dall’Alto,
mettendo in soffitta le grandi opportunità
offerte per esempio dall’autonomia
didattica e amministrativa.
La classe docente meridionale, se
per un verso deve fare i conti con le
carenze strutturali, di ricchezza, di
occupazione, che la mettono in crisi
quando deve decidere il destino d’un
ragazzo, per l’altro non riesce nemmeno
a partecipare in termini paritari
e di matura convinzione politica e
di funzione alle piccole decisioni che
ogni giorno vengono fatte nelle scuole.
Come nel suo smarrimento ideale
tra i corridoi della società, ha
smarrito pure la possibilità di incidere
con le sue scelte, le sue convinzioni
e la sua stessa cultura nella scuola.
Né dalle Università viene segnale differente
benché da quelle parti la ricerca
sociologica è nutrimento quotidiano.
Tutto questo è conseguente pure
alla elargizione di voti alti nei diplomi
che non deve essere motivo di
scandalo o accusa di asineria professionale,
semmai motivo di riflessione
e segnale di malessere di cui i
maestri-educatori, come i fedeli
commessi della cultura dominate,
sono portatori e interpreti, e pure
specchio della società politica che
servono.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)