Chi ha ragione?
Data: Luned́, 15 settembre 2008 ore 22:14:39 CEST
Argomento: Redazione


Perché il Sud non ce la fa?
Alla Gelmini, forse in un attimo di sincerità, è sfuggita la risposta politicamente scorretta: perché gli insegnanti meridionali sono meno preparati (da cui l’idea, immediatamente rimangiata, di corsi di aggiornamento e riqualificazione riservati ai docenti del Sud). A questa diagnosi la maggior parte dei commentatori di sinistra ha opposto la consueta spiegazione pseudo-sociologica: è il «contesto complessivo» del Mezzogiorno, fatto di povertà, degrado, sottosviluppo, che spiega l’insuccesso degli studenti meridionali nei test oggettivi somministrati da vari organismi nazionali e internazionali (Invalsi, Pisa, Pirls, Timss).

Chi ha ragione?
Probabilmente entrambi e nessuno. Che gli insegnanti delle scuole meridionali possano essere meno preparati di quelli delle scuole del Centro-Nord è quasi un’ovvietà. Se l’output della scuola (qualità dei diplomati) è peggiore al Sud, non si vede come potrebbero non risentirne quegli studenti meridionali che proseguono gli studi e diventano insegnanti restando nel Mezzogiorno. Altrettanto logica è la spiegazione «di sinistra»: a parità di altre condizioni, essere figli di un disoccupato e studiare in una scuola fatiscente (circostanze entrambe più frequenti al Sud) non può che ostacolare l’apprendimento. E tuttavia entrambe queste diagnosi, pur segnalando meccanismi reali, non fanno i conti con alcuni dati di fondo.

Innanzitutto non è vero che la scuola italiana sia messa così male a tutti i livelli. Nei primi anni della scuola elementare gli studenti italiani ottengono risultati eccellenti, ampiamente al di sopra di quelli della maggior parte dei Paesi sviluppati, inclusi Francia, Germania, Spagna, Svezia. È dopo, a partire dalla scuola media inferiore, che si assiste al crollo della scuola. Ma la cosa più interessante è che, nella maggior parte delle rilevazioni e per la maggior parte delle materie, i risultati degli scolari meridionali nelle elementari sono addirittura superiori a quelli degli studenti del Centro-Nord, in barba al sottosviluppo, al degrado delle scuole, alla presunta cattiva qualità degli insegnanti. Anche qui è dopo, ossia a partire dalla scuola media, che il divario diventa favorevole al Nord e aumenta con il passare degli anni di scuola. Nella scuola secondaria superiore le differenze fra studenti del Nord e del Sud diventano enormi, ma contrariamente a quel che si potrebbe pensare non spariscono affatto se si considerano famiglie con il medesimo tenore di vita e il medesimo livello di istruzione: anche a parità di condizione sociale, gli studenti del Nord vanno sempre molto meglio dei loro coetanei del Sud.

Ecco perché dicevo che sia la spiegazione basata sulla qualità degli insegnanti, sia quella basata sul sottosviluppo, pur essendo entrambe ragionevoli, non sono sufficienti. Se all’inizio la scuola del Sud sembra funzionare addirittura meglio di quella del Nord (nonostante i suoi insegnanti e il suo «degrado») e solo poi - a partire dalla media inferiore - il divario cambia di segno e si mantiene in tutti i ceti sociali, probabilmente dobbiamo rivolgere la nostra attenzione altrove. Ma dove?

Secondo me precisamente nel punto che ha suggerito al ministro Gelmini di dare l’esame da avvocato al Sud piuttosto che al Nord. Per spiegare perché i ragazzi del Sud, con il procedere degli studi, vengono staccati sempre di più da quelli del Nord basta supporre che gli insegnanti del Sud usino una scala di valutazione diversa, e più benevola, di quelli del Nord: mediamente un compito che al Sud vale 9 al Nord vale 7, un compito che al Nord vale 4 al Sud può valere tranquillamente 6. Poiché la sufficienza è 6 in tutte le scuole della Repubblica, questa semplice «staratura» dello strumento di misurazione, che inflaziona i voti scolastici di una parte del Paese, basta a spiegare perché al Sud la qualità media degli studenti sia sempre più bassa a mano a mano che si procede negli studi. Anche se gli insegnanti che lavorano nel Mezzogiorno fossero preparati esattamente come quelli del Nord, il risultato sarebbe analogo: concedendo il 6 molto più facilmente che al Nord, gli insegnanti del Sud innescano un meccanismo automatico di amplificazione dei divari, che i test oggettivi puntualmente registrano e che solo apparentemente favorisce gli studenti del Sud (con voti scolastici inflazionati è più facile essere promossi oggi, ma sarà più difficile trovare un lavoro soddisfacente domani).

Se la doppia scala di valutazione è il problema dei problemi, non si può non vedere con favore la svolta rigorista del ministro, nonostante la giustezza di molte obiezioni che le vengono rivolte, prima fra tutte l’assenza (per ora) di un compiuto progetto culturale di riforma dell’istruzione. Per portare fino in fondo quella svolta, tuttavia, il ministro Gelmini dovrebbe avere il coraggio che è mancato ai suoi predecessori di sinistra e di destra: rendere pubblici i risultati dei test Invalsi (punteggi medi in italiano, matematica e scienze) a livello di singolo istituto scolastico anziché solo a livello provinciale. Negli anni scolastici 2004-’5 e 2005-’6 l’ex ministro Moratti fece eseguire i test nella totalità delle scuole elementari e medie e in buona parte delle scuole superiori, ma non ebbe mai il coraggio di renderli pubblici a livello di singola scuola. Il suo successore, il ministro Fioroni, non solo rinunciò anch’egli a pubblicarli, ma soppresse le rilevazioni a tappeto (in tutte le scuole) a favore di un’indagine a campione (in alcune scuole estratte a caso), del tutto inefficace per dare agli insegnanti e alle famiglie dei segnali utili.

Eppure è proprio di questo che avremmo bisogno. Non per valutare i singoli insegnanti attraverso i risultati dei loro allievi (cosa assurda, perché i risultati dei ragazzi dipendono anche dall’ambiente sociale… e dai ragazzi stessi!), ma per dare a famiglie e insegnanti il polso della situazione: se so che in un liceo scientifico il punteggio medio di matematica ai test nazionali è 85 e in un altro è 70, non saprò forse mai di chi è il merito ma almeno saprò che nella prima scuola i ragazzi vengono portati a un livello più alto. Se sono il preside o un insegnante di matematica del liceo più debole, quell’informazione mi servirà da pungolo, se sono un genitore mi aiuterà a scegliere la scuola per mio figlio.





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