«Cambierò la scuola media. C’è un deficit di formazione. Servono
più italiano, più matematica, più inglese. Ho insediato
una commissione che studia la riforma. Voglio farla presto». Il
ministro della istruzione, oltre a tagliare cattedre, taglia corto
con i progetti di cambiamento suggeriti dal risparmio, senza
però coinvolgere la minoranza parlamentare, le associazioni di
categoria e i sindacati il cui compito sarebbe solo quello di
prenderne atto.
Entro dicembre inoltre si attendono interventi
sui curricoli per ridefinire discipline e carichi orario, sia nel
sistema dei licei, con un orario massimo di 30 ore a settimana,
e sia nei tecnici dove si prevede, oltre alla riduzione dell’orario
a 32 ore a settimana, la diminuzione degli indirizzi. D’altra
parte la maggioranza che sostiene le scelte ministeriali è robusta
mentre affrettata è la procedura che sembra voglia scaricare
sulla istruzione il risanamento delle finanze benché venga
promesso, in proporzione ai tagli, di pagare meglio i docenti
più meritevoli e preparati.
E in attesa di capire quale accorgimento
verrà adottato per premiare chi sgobba e non chi, inseguendo
magari progettazioni remunerative, marina le lezioni,
due singolarità colpiscono: l’annunciata riduzione a 10, delle
70 classi di concorso, e la trasformazione delle scuole in fondazioni.
La prima questione ci pare in stretta contraddizione
con quanto finora si è detto relativamente alla preparazione dei
professori, perché imbottigliare in sole 10 le attuali 70 abilitazioni
significa consentire l’insegnamento anche a chi non è di
fatto specialista della materia. Per i contenuti, di cui i nostri
alunni già soffrono carenze, sarebbe un mezzo cataclisma e un
danno per il paese che pretende cultura e saperi. La questione
delle fondazioni poi emerge ancora più perniciosa benché il
suo primo proponente sia stato l’ex ministro di sinistra Fioroni.
Con questa formula si prevedono apporti di soldi (ma ne
metteranno senza un ritorno economico?) di privati nelle
scuole che però al posto del consiglio di istituto avrebbero un
consiglio di amministrazione più attento alle entrate che alla
didattica anche perché la loro gestione sarebbe controllata più
dagli azionisti che dai dirigenti e dalle famiglie mentre i professori
rimarrebbero solo a guardare gli accadimenti e pure le
bizze dei nuovi padroni.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)