Da De Chirico a Guttuso un mare di mitologie
Data: Luned́, 08 settembre 2008 ore 14:17:06 CEST
Argomento: Redazione


Qui il Mediterraneo è nella luce, rimbalza nella grazia del Tuffatore di Mozia o nella frenesia del Satiro danzante restituito da acque poco lontane. L’esposizione non ha un percorso univoco, ma diversi punti di vista: gli artisti si nutrono di un immaginario comune ma parlano linguaggi completamente diversi. E questo rende ancora più affascinante la riscoperta. Per dimostrare quanto sia stata complessa la ricerca di una dimora rassicurante nell’antico, si parte con i «dioscuri», i due fratelli Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, chiamati qui a interpretare un Mediterraneo in cui naviga l’Enigma. Il «Grande Metafisico» è letteralmente posseduto dall’idea del viaggio: Odisseo, gli Argonauti, Ettore che lascia Andromaca diventano figure misteriose, manichini senza tempo ma sono l’inizio di tutto. D’altra parte De Chirico sembra incarnare l’idea stessa della classicità apollinea e dionisiaca a un tempo: era nato in Grecia da genitori italiani e alla sua formazione aveva contribuito la lezione di Nietzsche. Qui a Marsala ci sono i suoi Filosofi, i Cavalli sulla spiaggia e una Bagnante dipinta a Parigi nel 1929, che è nello stesso tempo una fanciulla cittadina di quegli anni e una ninfa carica di nostalgia. È molto bella anche la parete di Savinio con un Guerriero che pare un souvenir, una statuetta da portare a casa dal Mediterraneo. Dall’Enigma la mostra ci conduce all’Origine. E qui è Carlo Carrà a indicarci la strada di un recupero della pittura dei primitivi italiani. Giotto in primo luogo è la fonte dei suoi pescatori; mentre la scultura etrusca anima le spigolose e ieratiche figure femminili di Massimo Campigli. Ad accompagnarci nella Sospensione sono le nature morte di oggetti marini di Mario Tozzi, i corpi nudi e indifesi dei Neofiti di Corrado Cagli.

Il Mediterraneo è anche attesa, Penelope insegna. E lo sanno bene Il Pescatore di Capogrossi e Il Pugilatore scolpito da Marino Marini. E infine ecco il Disagio che gli artisti italiani tra le due guerre sentono crescere sempre di più con l’affermarsi del fascismo: il Toro morente della Raphael in cui l’animale non è certo una trionfante rappresentazione di Giove, la carne disfatta di Fausto Pirandello e la Fuga dall'Etna, dipinta da un giovane Renato Guttuso che fin dagli esordi si dimostra in bilico tra il racconto della vitalità e quello del dolore.





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