L’armata brancaleone anti Gelmini va alla guerra autunnale schierando tutte le truppe di contrasto e di demolizione.
Data: Domenica, 07 settembre 2008 ore 12:04:45 CEST
Argomento: Opinioni


Dal sito La Repubblica

Il ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca all'attacco "Meno professori, più pagati". "Questo esecutivo è rivoluzionario" "Governi, sindacati e stipendificio". I mali della scuola per la Gelmini Promette: "Il tempo pieno aumenterà del 50 per cento" Mariastella Gelmini
ROMA - Mariastella Gelmini va all'attacco. Il ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca, parlando all'agenzia Ansa, punta l'indice contro governi e sindacati che, negli ultimi 30 anni, "hanno ribaltato la missione della scuola", annuncia la "fine dello stipendificio" e l'aumento del tempo pieno.
Il passato.
"La politica, sulla scuola, è da trent'anni che si comporta in maniera irresponsabile. In questo modo si è rubato il futuro ai giovani della mia generazione, ma sui cittadini italiani del 2020 non si deve scherzare: il loro destino non può essere oggetto di bassa speculazione politica.
Per troppi anni logiche sindacali e governi compiacenti hanno ribaltato la missione della scuola".
"Stop allo stipendificio". "La scuola è fatta per gli studenti non per pagare una cifra spropositata di stipendi che sono pure da fame, così come gli ospedali non sono fatti per gli stipendi dei medici ma per i malati.
I dipendenti della scuola sono più di 1.300.000 e sono troppi. Io voglio una scuola con meno professori, più pagati e in cui viene riconosciuto il merito di tanti bravi che ogni giorno lavorano tra mille difficoltà.
Il bilancio del ministero dell'Istruzione - ha ricordato il ministro - è utilizzato, infatti, per il 97% per pagare stipendi", Il ministro promuove il governo. "Questo è un governo rivoluzionario, un governo che vuole rivoltare la pubblica amministrazione come un calzino.
Un governo che vuole eliminare gli sprechi e riformare il Paese". "In questo senso le parole che si levano contro le iniziative del governo, in particolare mie e del ministro Tremonti, sono solo di chi vuole che nulla cambi e che la scuola rimanga un luogo che scontenta contemporaneamente professori e studenti.
Il problema della scuola italiana - ha aggiunto - non è 'quanto' denaro si spende ma 'come' viene speso. Ormai è minoranza nel Paese l'idea che basti aggiungere soldi alla scuola per farla andar bene.
Non è vero, la scuola in Italia è come una macchina con il motore rotto, non basta aggiungere benzina, si deve aggiustare il motore per farla funzionare".
Aumenta il tempo pieno.
"Il tempo pieno non sarà toccato anzi eliminando la compresenza di più professori e aumentando di ottomila posti i docenti del tempo pieno, si aumenterà sensibilmente il numero di famiglie che usufruiranno del tempo pieno". "Addirittura - ha aggiunto il ministro - come risulta a una simulazione fatta da Tuttoscuola il tempo pieno potrà essere incrementato del 50%. Questo è il mio obiettivo". (7 settembre 2008)

Dal sito Il Corriere della Sera «il tempo pieno sarà aumentato» Gelmini: «Meno prof con stipendi più alti» Il ministro dell'Istruzione: «Non basta aggiungere soldi per far funzionare la scuola»

ROMA - «La politica, sulla scuola, è da trent'anni che si comporta in maniera irresponsabile.
In questo modo si è rubato il futuro ai giovani della mia generazione, ma sui cittadini italiani del 2020 non si deve scherzare: il loro destino non può essere oggetto di bassa speculazione politica».
Lo ha detto all'Ansa il ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini. «Per troppi anni logiche sindacali e governi compiacenti hanno ribaltato la missione della scuola» ha aggiunto. «La scuola è fatta per gli studenti, non per pagare una cifra spropositata di stipendi che sono pure da fame, così come gli ospedali non sono fatti per gli stipendi dei medici ma per i malati».
MERITO
- «I dipendenti della scuola - ha spiegato la Gelmini - sono più di 1.300.000 e sono troppi. Io voglio una scuola con meno professori, più pagati e in cui viene riconosciuto il merito di tanti bravi che ogni giorno lavorano tra mille difficoltà. Il bilancio del ministero dell'Istruzione - ha ricordato il ministro - è utilizzato, infatti, per il 97% per pagare stipendi».
La Gelmini ha poi affrontato la questione del tempo pieno: «Non sarà toccato. Anzi, eliminando la compresenza di più professori e aumentando di ottomila posti i docenti del tempo pieno, si aumenterà sensibilmente il numero di famiglie che ne usufruiranno. Addirittura - ha aggiunto il ministro - come risulta a una simulazione fatta da Tuttoscuola, il tempo pieno potrà essere incrementato del 50%. Questo è il mio obiettivo».
Eppure secondo il ministro «da tutte le indagini è dimostrato che la qualità della scuola non dipende dal numero di ore che i ragazzi passano a scuola ma dalla qualità della didattica. I paesi migliori nelle classifiche Ocse pisa sono quelli che hanno il minor numero di ore».
ORE
- «Questo è un governo rivoluzionario - ha affermato poi la Gelmini - un governo che vuole rivoltare la pubblica amministrazione come un calzino.
Un governo che vuole eliminare gli sprechi e riformare il Paese.
Il problema della scuola italiana - ha aggiunto - non è 'quanto' denaro si spende ma 'come' viene speso.
Ormai è minoranza nel Paese l'idea che basti aggiungere soldi alla scuola per farla andar bene. Non è vero, la scuola in Italia è come una macchina con il motore rotto, non basta aggiungere benzina, si deve aggiustare il motore per farla funzionare».
Secondo il ministro, «lo dimostra il fatto che gli investimenti pubblici per la scuola in Italia sono in linea con gli altri Paesi, ma la qualità è fortemente inferiore». 07 settembre 2008

La ricerca
Chi sono gli insegnanti entrati in ruolo: donne, con più di 10 anni di precariato I nuovi prof: quarantenni, donne e con la nostalgia di casa E vogliono subito il trasferimento Il primo lavoro fisso lo conquistano in media a 41 anni, dopo un decennio di precariato, una laurea (almeno per sei su dieci) e svariati «bocconi amari mandati giù».

Hanno stipendi inadeguati e scarsissime prospettive di carriera. Preferirebbero una cattedra vicino a casa ma si dichiarano disponibili al cambiamento e non si scandalizzano all'idea di essere valutati (o, meglio, valutate, vista la stragrande maggioranza di donne).
E se tornassero indietro, rifarebbero «tutto allo stesso modo».
Scegliendo quella che più che una professione è una missione: insegnare. Motivati e arrabbiati.
Ecco i docenti neoassunti, quei 50 mila che l'anno scorso hanno faticosamente conquistato il «ruolo».

La Fondazione Giovanni Agnelli di Torino li ha esaminati, interrogati, studiati. Chiedendo loro aspirazioni e sogni, frustrazioni e opinioni.
E il risultato, in molti casi, è sorprendente: «Professori e maestri — dice il direttore della Fondazione, Andrea Gavosto — sono migliori di quello che noi pensiamo».
La ricerca è stata condotta tra maggio e giugno su 10.872 insegnanti di Emilia-Romagna (3.297), Puglia (3.792) e Piemonte (3.783) in collaborazione con le tre direzioni scolastiche regionali. Obiettivo: «Analizzare le patologie della scuola italiana e prospettarne soluzioni» con una serie di rapporti annuali.
La consapevolezza: «Oggi — spiegano i responsabili del progetto — il nostro sistema di istruzione non appare del tutto adeguato a contribuire alla crescita del Paese». Per due motivi.
Il primo: la scarsa qualità dell'apprendimento, «mediamente inferiore rispetto ad altre realtà internazionali», come dimostrano le indagini Ocse-Pisa.
Il secondo: la scuola non riesce a essere un fattore di ascesa sociale.
Cambiare rotta. Nel reclutamento, nel modo di insegnare e di aggiornarsi, nel sistema retributivo. Una sfida difficile. Che la Fondazione Agnelli ha deciso di far partire dai docenti «nella convinzione che per guarire la scuola italiana è necessario concentrarsi su di loro».
E soprattutto sui nuovi assunti, gli unici in grado di «aprire una fase di ricambio generazionale» e «di innalzamento dell'insegnamento». Come? Imparando a conoscerli. «E fotografandoli — continua Gavosto — nel momento "topico" del passaggio in ruolo».
L'età media di un neoassunto: 41 anni (in Puglia si sale a 42 e 10 mesi). Poteva andare peggio, si potrebbe pensare a una prima occhiata.
Ma la prospettiva cambia quando si fa un paragone con i colleghi degli anni Sessanta: avevano circa 23 anni. Quelli degli anni Settanta arrivavano a 28.
Non che i nostri prof, prima del posto fisso, non abbiano mai insegnato. Anzi. Il 46 per cento può vantare almeno dieci anni di anzianità e di «balletto» (il precariato) tra le scuole.
Solo il 17 per cento ha meno di un quinquennio di servizio.
E solo il 60 per cento (80 alle medie e superiori) ha una laurea. «Il vero problema — osserva Gavosto — è l'aggiornamento: solo i più motivati seguono corsi di formazione. Per non parlare del "come si fa a insegnare". Pochissimi hanno frequentato lezioni ad hoc». Altra ombra: quasi un quinto dei neoassunti (il 23 per cento in Emilia-Romagna, dove si registra un'ampia presenza di docenti del Sud) vorrebbe chiedere il trasferimento. Presto, possibilmente. Prendi la cattedra e scappa.
Un'abitudine di cui si è lamentato lo stesso ministro Mariastella Gelmini: «Stiamo studiando la possibilità di introdurre incentivi per i professori affinché assicurino la propria presenza in classe per un intero ciclo scolastico di cinque anni», ha detto.
Per ora, però, non si cambia. A danno della continuità didattica. E della qualità dell'insegnamento. Fuga verso la scuola vicino a casa. Per stare vicino alla famiglia, per spendere meno, per comodità.
Eppure nessuno prende alla leggera il suo ruolo. Prof e maestri dichiarano di aver passione da vendere, di non essere per nulla pentiti del percorso lavorativo intrapreso. Anzi.
Nonostante i tanti motivi di insoddisfazione, il 90 per cento degli intervistati rifarebbe l'insegnante. E continua a trovare nuovi stimoli. Lo dimostra la grande partecipazione all'indagine della Fondazione Agnelli.
Francesco De Sanctis, direttore dell'ufficio scolastico del Piemonte, commenta: «È la conferma che si tratta di personale attento, propositivo e disponibile a un confronto costruttivo. È mia intenzione raccogliere tutti gli spunti e le opinioni che "le nuove leve" hanno manifestato, cercando di tradurre in progetti e azioni le idee e le potenzialità espresse».
E i suggerimenti sono tanti.
Sul sistema di valutazione dei docenti (oltre la metà crede che debba essere giudicato il lavoro di squadra, il 29 per cento quello del singolo) e sulle progressioni di carriera, uno dei grandi nodi dell'insegnamento.
Quasi il trenta per cento (i maestri d'asilo e i più anziani) ritiene giusto avere aumenti di stipendio esclusivamente in base all'anzianità di servizio.
Per il 62,9, invece, occorrerebbe differenziare le buste paga in funzione delle responsabilità; il 67,8, infine, preferirebbe essere pagato in base a meriti e competenze. Mansioni diverse, retribuzione diversa: un'apertura insperata in una professione, quella del docente, ritenuta arroccata su vecchie posizioni.
E invece no, e anche sul reclutamento ci sono punti di vista nuovi.
Il 44 per cento dei neoassunti si dichiara d'accordo o molto d'accordo sul fatto che le scuole possano assumere direttamente una parte degli insegnanti.
Certo, un po' di diffidenza c'è. In Puglia oltre il 60 per cento degli intervistati è assolutamente contrario a questa ipotesi «ma in molti casi — puntualizza Stefano Molina, curatore della ricerca insieme con Laura Gianferrari — vince il timore che un certo sistema clientelare possa influenzare le scelte degli istituti».
Nuove ipotesi di assunzione. E di carriera.
Il direttore della Fondazione Agnelli ci crede: «Si potrebbero abbandonare le graduatorie in vista di una maggiore flessibilità. È vero, la chiamata diretta (presidi che ingaggiano i prof) è a rischio di arbitrarietà, ma le scuole devono poter scegliere in base alle loro esigenze, non ai punteggi dei professori».
Una rivoluzione graduale. Il primo passo? «Dare la possibilità ai dirigenti — suggerisce Gavosto — di confermare i supplenti che hanno lavorato bene».
Sembra proprio arrivato il momento di cambiare.
Lo hanno capito i docenti — «hanno voglia di mettersi in gioco», aggiunge Laura Gianferrari —, ne sono convinti i direttori regionali che hanno aderito all'iniziativa.
Come Luigi Catalano, a capo della scuola dell'Emilia-Romagna, Regione con una lunga tradizione di monitoraggi: «Interrogarsi sullo status dell'insegnante vuol dire guardare alla formazione-docenti come tema caldo del miglioramento del sistema di istruzione». Lucrezia Stellacci, direttore didattico della Puglia, aggiunge: «I docenti vogliono partecipare, capire, migliorare. Troppo spesso della scuola si parla a vanvera. Ricerche come questa possono aiutare a conoscerla e a rispettarla. Ne abbiamo bisogno». Annachiara Sacchi 07 settembre 2008







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