NIETZSCHE, IL RIBELLE ARISTOCRATICO, E IL NAZISMO
Data: Sabato, 06 settembre 2008 ore 08:50:59 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Nietzsche, il ribelle aristocratico, e il Nazismo

 

Nietzsche resta sempre un problema. Gli interrogativi sull’influsso che la sua opera può aver esercitato sulla formazione della “Weltanschauung” nazionalsocialista sono stati sollevati da grandi spiriti: da Thomas Mann nel Doktor Faustus a Benedetto Croce nella sua Storia d’Europa del secolo XIX. Emblematico, poi, il caso di Karl Loewith che, formatosi alla scuola di Heidegger e profondamente affascinato dalla meditazione di Nietzsche, scrisse su di lui, nel 1935, un libro importante (Nietzsche e l’eterno ritorno); ma nella sua autobiografia (scritta nel 1940 in Giappone, dove si era rifugiato per sfuggire alle persecuzioni razziali naziste) Loewith affermò: “Nietzsche è e rimane un compendio dell’antiragione tedesca o dello spirito tedesco. Un abisso lo separa dai suoi divulgatori senza scrupoli, eppure egli ha preparato loro la strada che lui stesso non percorse”. Ed è appena il caso di ricordare l’ampio capitolo che nella Distruzione della ragione (1954) Lukács dedicò a Nietzsche, dove sostenne che tra il filosofo tedesco e l’ideologia nazista c’era un nesso preciso e indissolubile. Una tesi, questa, ripresa da Nolte nel 1989, ma all’interno di un impianto storico completamente diverso. In quanto “risposta” al bolscevismo, e alla sua distruzione sociale e fisica di borghesia e contadini, il nazismo, secondo Nolte, riprese e riattivò il pensiero di Nietzsche, anche e soprattutto nei suoi aspetti più inquietanti: si trattò, certo, di un’utilizzazione rozza e grossolana, e tuttavia, diceva Nolte, “senza taluni aspetti del nietzscheanesimo” il nazismo “non sarebbe divenuto ciò che fu, più di quanto il movimento operaio sarebbe stato ciò che è stato senza il marxismo” (Nietzsche e il nietzscheanesimo, 1990).

Alla conferma del rapporto Nietzsche-nazismo ha dedicato un’amplissima ricerca Domenico Losurdo nel suo recentissimo Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Bollati Boringhieri, pp. 1168, euro 68,00. Losurdo è consapevole delle difficoltà che ostano all’istituzione di un rapporto stretto e immediato fra il pensiero del filosofo e il Terzo Reich (non foss’altro per l’ampio arco temporale che li divide). Perciò egli sottolinea la necessità di alcune “mediazioni”: occorre accertare, egli dice, la larga consonanza del filosofo con la reazione aristocratica della fine dell’Ottocento, e analizzare i processi sociali, politici e ideologici che da questo movimento di reazione conducono al nazismo; senza dimenticare mai che a separare punto di partenza e punto di approdo sono comunque due rotture epocali (la prima guerra mondiale e la rivoluzione bolscevica) che hanno reso radicalmente diversi i tempi storici in cui si collocano, da un lato, Nietzsche e i suoi contemporanei, e, dall’altro lato, il trionfo e la disfatta del Terzo Reich.

Detto questo, gli aspetti del pensiero di Nietzsche sui quali Losurdo si sofferma più a lungo sono quelli messi già in rilievo da studiosi precedenti (da Lukács a Nolte). C’è l’esaltazione nietzscheana del mondo ellenico, visto non tanto nella sua espressione “classica”, quanto nei suoi esordi, nei quali il filosofo individua quell’elemento dionisiaco che ci spinge a cogliere l’”eterna gioia dell’esistenza”. Platone costituisce già una pericolosa deviazione da ciò, con il suo dualismo tra “mondo sensibile” e “mondo delle idee”, che preannunzia la visione giudaico-cristiana con la sua innaturale scissione tra mondo terreno e mondo ultraterreno, e con la sua mortificazione dell’uomo (il “peccato”, la “caduta” eccetera). In questo quadro s’inserisce il violento antisemitismo di Nietzsche. Il giudaismo è stato infatti il presupposto e la base del cristianesimo, che ha proclamato l’eguaglianza di tutti gli uomini in quanto creature di Dio, esprimendo con ciò il “risentimento” dei deboli, degli inferiori, dei “paria”, cioè di tutti coloro che sono incapaci di sostenere la “tragicità” dell’esistenza. E particolarmente spietato era Nietzsche verso i “malriusciti”, al punto da affermare: “La legge suprema della vita […] vuole che si sia senza compassione per ogni scarto e rifiuto della vita… E’ immorale, è contro natura nel senso più profondo dire “non uccidere””. A tutto ciò si aggiunge, naturalmente, la critica della Rivoluzione francese, della democrazia, del socialismo, in quanto fenomeni incardinati sul motivo dell’”eguaglianza” e ispirati al “risentimento” di cui sopra. In verità, tuttavia, l’antisemitismo di Nietzsche non fu mai razziale, bensì “culturale”. Non mancano in lui pagine in cui il cosmopolitismo ebraico viene celebrato come un momento essenziale del processo di fusione dei popoli europei auspicato dal filosofo. Fa poi impressione vedere assimilati Tocqueville e J. S. Mill a Nietzsche, sotto l’unica categoria della “reazione aristocratica” di fine Ottocento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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