i giovani capiscono che i nostri articoli, i
nostri libri di testo, i nostri corsi universitari
non parlano della vita, che usano un linguaggio
"pregiudicato" da un rapporto vecchio
con le novità del modo di vivere attuale.
Nessuno aiuta i giovani a capire che rapporto
c’è fra il linguaggio quotidiano e le
forme di vita in cui sono immersi. Gli adulti
che hanno comunque il potere di "nominare"
le cose, i i commentatori autorizzati hanno
l’interesse contrario: non mettere in discussione
il proprio linguaggio "specializzato"
per non mettere in discussione se stessi.
Una classe dirigente che non è capace di
pensare a come una scuola che educa a diventare
persone sia in grado di leggere e interpretare
il mondo in cui viviamo, non è degna
di essere tale perché tradisce l’unica vera
missione universale a cui gli uomini sono
chiamati: educare i propri figli a liberare la
propria mente dai pregiudizi e dalle ipocrisie
opportunistiche e provare a cercare l’autonomia
e la creatività attraverso il confronto
con il mondo degli adulti.
Chi non ha il coraggio di denunciare le
malattie della scuola come sintomo delle
malattie del nostro paese, di esprimersi contro
il blocco del pensiero creativo e il genocidio
culturale a cui tutti, destra e sinistra,
partecipano in una complice alleanza per la
sopravvivenza del proprio potere, merita di
essere accusato di codardia.
Tutte le scadenze dell’agenda politica possono
essere affrontate con il buon senso e il
realismo (penso a tanti commenti di Sergio
Romano che mi sento di sottoscrivere, dalla
politica estera alla giustizia), ma la riforma
della scuola richiede uno scatto morale e intellettuale
di cui allo stato non vedo alcun segno.
Una svolta nelle impostazioni degli studi,
specie in quelli superiori, che costringerebbe
a muoversi nella direzione di un nuovo
modo di pensare, sarebbe quella di educare
giovani a prendere le mosse dell’analisi
grandi temi nella società contemporanea
non dai concetti definitori dei vari saperi
disciplinari. Ad esempio il tema dell’alimentazione
potrebbe essere l’asse culturale di
una facoltà che abbracci la dimensione storica,
la dimensione sociale, la dimensione
biologica, ecc. Una facoltà della salute potrebbe
essere il supporto di uno studio che
abbraccia la storia, l’antropologia, i sistemi di
diagnosi e ancora, le tecniche di organizzazione
e la tutela giuridica della persona.
Ripensare la scuola e l’università deve significare
un rapporto comprensibile e stimolante
tra le forme definitori dei saperi istituiti
i fenomeni della vita che si presentano
unitariamente alle nostre esperienze.
Pietro Barcellona da "La Sicilia"