RESTI ACCESO UN FUOCO NEGLI ANIMI
Data: Luned́, 25 agosto 2008 ore 13:33:33 CEST
Argomento: Redazione


Per carità, proprio per la fragilità della condizione umana, sappiamo bene che le Olimpiadi si prestano sempre e co­munque a strumentalizzazioni, fungen­do da cassa di risonanza a gesti clamo­rosi o addirittura a fatti di sangue. Fu co­sì per esempio ai tempi delle 'Pantere Nere' nel 1968 a Città del Messico, per non parlare della strage di Monaco nel ’72, o del clamoroso boicottaggio degli Usa nell’80, replicato dai Paesi Comuni­sti nell’84. Idealmente tutti vorremmo che i Giochi rimanessero sempre e co­munque un evento da seguire con inte­resse e passione secondo l’afflato de­coubertiano. Eppure questa volta il di­sincanto pare proprio abbia preso il so­pravvento nella sfera dei sentimenti: non solo per quanto è avvenuto in Ossezia dove sono in gioco, a parte i rigurgiti na­zionalistici, interessi di chiara matrice economica legati all’oro nero, ma addi­rittura in territorio cinese, nella regione di Kham dove la polizia avrebbe aperto il fuoco contro i dimostranti tibetani il 18 agosto scorso. E cosa dire dei continui spargimenti di sangue sul versante so­malo o delle indicibili sofferenze delle popolazioni darfuriane? Nel frattempo sembra riproporsi lo spetto della 'guer­ra fredda' tra Stati Uniti e Russia con l’aggravante di una crisi economico-fi­nanziaria che penalizza i mercati, ma soprattutto i piccoli risparmiatori.
Vi è dunque una sorta di rassegnazione nelle coscienze sensibili che smentisce la retorica di circostanza per cui le O­limpiadi dovrebbero infondere un cer­to
pneuma alle vicende umane. Ecco perché forse non sarebbe chiedere trop­po se nella cerimonia di chiusura dei gio­chi, che avverrà tra qualche ora a Pechi­no, qualcuno avesse l’ardire di ricorda­re al mondo che occorre imprimere u­na svolta al corso degli eventi. Potrem­mo disquisire ad oltranza sui pregi e di­fetti della macchina organizzativa olim­pica in cui girano sempre di più denari; ma non è questo il punto. Forse una ri­sposta soddisfacente la troviamo pro­prio nel patrimonio genetico della nostra Italia: nelle parole, intendo dire, di un giovane partigiano parmense, Giacomo Ulivi, fucilato nel 1944 a Modena, sulla Piazza Grande. Nel suo testamento agli amici scriveva tra l’altro: «Può anche ba­stare, sapete, che con calma comincia­mo a guardare in noi, e a esprimere de­sideri. Come vorremmo vivere domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più volu­to sapere». Nel nostro povero mondo, vorremmo essere distanti dalle tragiche ragioni che motivarono il pensiero e­stremo di questo coraggioso dicianno­venne, medaglia d’argento al valor mili­tare alla memoria, ma l’indifferenza og­gi fa paura. Dunque, auguriamoci dav­vero, col cuore e con la mente, che il bra­ciere olimpico continui ad ardere nel­l’animo di quegli sportivi che hanno pre­so parte ai giochi. Che sappiano essi stes­si farsi tedofori della speranza, interve­nendo nella sola dimensione in cui pos­sono agire: la loro, la nostra vita.





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