CHE COSA NON VA NELLA SCUOLA SUPERIORE ITALIANA: UNA PROPOSTA PER CAMBIARLA
Data: Sabato, 23 agosto 2008 ore 08:50:07 CEST
Argomento: Opinioni


MODESTA PROPOSTA PER UNA NUOVA SCUOLA SUPERIORE…

“Professoressa, sa qual è il problema? Che studiamo troppe materie, ma troppe davvero. E non ci arriviamo a fare tutto e bene. E molte non ci interessano.”
Un giorno, al solito lamentarmi dell’eterna stanchezza dei ragazzi,  mi sono sentita rispondere così da una mia alunna. Cosaaa? Il primo pensiero è stato il solito: oggi i giovani non vogliono fare più nulla, ecco che trovano scuse. Una volta si studiavano così tante materie al liceo, qual è il problema?
Olim, dicevano i Romani. Una volta, appunto. Ma oggi la situazione è molto diversa. Dobbiamo chiederci di quale cultura ha bisogno una società come quella che ci circonda, di quali competenze hanno bisogno i ragazzi per inserirvisi in modo costruttivo e produttivo. E così la frase della mia alunna, che lì per lì, mi era sembrata assurda, mi ha spinto alla riflessione.
Prendiamo un liceo scientifico. Si studiano un mare di materie, le più disparate, tutte belle, importanti, racchiudenti una fetta dello scibile umano…lo si fa per ben cinque anni. E lasciamo da parte che, grazie alla solita impostazione gentiliana della scuola italiana, il piano di studi prevede tra poco più ore di italiano e latino che di matematica. Non è molto logico. Ma lasciamo da parte anche questo. Il risultato attuale, alla fine di questo percorso di studi, è che gli alunni conoscono, se lo conoscono, un po’ di tutto, in modo superficiale, per non dire malamente. Sanno qualcosina di chimica, un assaggio di geografia astronomica, un pizzichino di fisica, un briciolo di civiltà latina (perché di lingua manco a parlarne), qualche autore di letteratura inglese e via dicendo. Insomma lo studiare ambiziosamente tutto oggi non funziona più, i ragazzi studiano poco e quel poco che studiano vogliono essere motivati a farlo. Non studiano per il piacere di imparare, come facevamo noi, leviamocelo dalla testa. Alla fine si ritrovano senza cultura, senza ambizioni, senza idee chiare per il loro futuro universitario, consci di avere dimorato a scuola per cinque anni quasi (spiace dirlo) inutilmente.
Qui bisogna, senza cadere nella tentazione del laudator temporis acti, prendere atto del cambiamento ormai irreversibile  e porvi rimedio. Allora facciamo una proposta. Prendiamo come riferimento il modello inglese. Premettiamo che certo su di esso pesa meno come un macigno la nostra tradizione classica. Che cosa fanno gli inglesi? Dopo i due anni di scuola superiore obbligatoria, dai 14 ai 16 anni,  si consegue una certificazione. Finito lì. Chi vuole inserisi nel mondo del lavoro può farlo. Gli altri anni sono facoltativi e non si studia tutto indifferentemente. Si sceglie già un ambito ben preciso. Chi ama la matematica segue i corsi di matematica, chi ama la letteratura quelli di letteratura. Poi ci sono materie nuove, moderne, come Cinema o Design. Oppure si continua magari nel settore professionale e tecnico, in base alle proprie attitudini.
Qual è il punto forte di questa organizzazione dell’istruzione?  L’Inghilterra in effetti costituisce un caso isolato rispetto agli altri sistemi scolastici europei, in quanto è lo studente stesso che definisce il proprio curriculum, in base alle qualifiche che intende ottenere, al percorso formativo che intende proseguire e all’offerta formativa da parte delle istituzioni. Insomma c’è maggiore elasticità. Il numero di materie per le quali lo studente può decidere di ottenere una qualifica, varia da 2 a 4 e, pur non essendo previsto un numero minimo, viene raccomandato di sceglierne almeno 3, abbinando qualifiche generali a qualifiche professionali.
Visto? Dai 14 anni in poi si studia, ferma restando naturalmente l’acquisizione dei cosiddetti saperi minimi (leggere, scrivere, far di conto), ciò che si desidera, che si vuole, che si lega a un eventuale futuro lavorativo. Il ragazzo cioè sceglie direttamente le materie che si vogliono seguire. Così, forse, i ragazzi di oggi, che non hanno voglia di studiare, almeno sono o sarebbero più motivati.
L’”imposizione” delle stesse e tante materie per un quinquennio o un triennio non dà più i frutti sperati in nessun ordine di scuola.
In Italia, invece, ci ostiniamo con questa visione onnicomprensiva, che dura anni e anni e che porta, purtroppo, a risultati disastrosi o quasi nulli. Chissà perché. Forse perché siamo renitenti alle novità. O perché amiamo follemente una tradizione da cui non sappiamo staccarci. O perché siamo vittime di un sapere astratto, poco concreto e per niente professionalizzante. O infine forse, più emotivamente, perché non ci stiamo ad ammettere che senza aver studiato l’Eneide, oggi, si può vivere lo stesso come un tempo. Anzi forse meglio.

SILVANA LA PORTA

 






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