"FACILE COME RESPIRARE": APPUNTI IN FORMA DI BALLATE DI ALLEN GINSBERG
Data: Marted́, 19 agosto 2008 ore 23:58:49 CEST
Argomento: Rassegna stampa


"Facile come respirare"
Appunti in forma di ballate
di Allen Ginsberg

I suoi appunti sono ricordi, sensazioni o semplicemente registrazioni di una realtà che spesso appariva deforme, colorata, ma sempre intensa. Le lezioni sono monologhi con se stesso, appuntamenti con quella parte interiore che Ginsberg lottava per non far troppo emergere.
Saggi, lezioni e descrizioni di incontri con personaggi famosi come Ezra Pound: tra una dichiarazione di poetica e una lezione sul beat, Ginsberg passa in rassegna trent’anni di controcultura – dai temi ecologici alle critiche al capitalismo, dalla scoperta delle culture indiane a quella delle droghe psichedeliche – e suggerisce la regola della semplicità nel processo della creazione poetica, ovvero la continua ricerca della spontaneità senza filtri, nei percorsi della mente umana; perché, come afferma lo stesso autore di Howl, occorre «lasciar perdere l’idea di essere un profeta con onore e dignità, e accontentarsi del fango della propria mente».
Nato il 3 giugno 1926 a Newark, la città del New Jersey che oggi è un sobborgo di New York, Allen Ginsberg è il figlio primogenito di una coppia della borghesia ebraica. Il padre, Louis, insegna letteratura in una high school; la madre, Naomi Levy, di origine russa, è un’attivista filocomunista che porta il figlio con sé alle riunioni di partito. L’influenza della madre è molto forte e sin da piccolo Allen sogna di diventare un avvocato, per battersi in difesa degli operai. Così nel 1943 entra con una borsa di studio alla Columbia University, dove conosce un gruppo formato da Jack Kerouac, Neal Cassady, Lucien Carr e William Burroughs, più grande di una decina d’anni, che gli fa leggere Céline e Kafka.(Da Minimum fax) a cura di M. Allo

 

La carriera poetica di Ginsberg comincia dopo una bizzarra esperienza accadutagli alla Columbia. Disteso sul letto, con aperto vicino un libro di Blake, Ginsberg racconta di aver udito una voce dal suono antico che prende per quella del poeta inglese, intento a declamare i suoi versi. Dopo aver provato altre volte sensazioni simili, nel 1948 Ginsberg abbandona l’idea di diventare avvocato per dedicarsi alla letteratura.
L’anno successivo, dopo essersi laureato, fa un lungo viaggio in autostop a caccia di Neal Cassady, l’amico di Kerouac di cui si è disperatamente innamorato. Al ritorno si trasferisce a San Francisco, dove Gary Snyder lo introduce al buddismo. I suoi versi cominciano a circolare e nel 1956 la casa editrice di Lawrence Ferlinghetti, la City Lights Books, pubblica Howl and Other Poems, oggetto di processi e bollato di oscenità per la sua esplicita presa di posizione a favore dell’omosessualità. Nessun processo e nessuna denuncia poterono però impedire a Howl di diventare uno dei poemi più celebri della letteratura contemporanea. «Ho visto le migliori menti della mia generazione rovinate dalla follia» è l’indimenticabile attacco.
Da quel momento i suoi abiti, i suoi atteggiamenti, la barba lunga e incolta, diventeranno un segno distintivo prima dei beatnik e poi degli hippy, proprio mentre Ginsberg si avvicina alle droghe psichedeliche con Timothy Leary e partecipa ai celebri scontri alla convention democratica di Chicago nel ’68. L’aspirazione di Ginsberg (comune a molti dei beat) a una nuova spiritualità trova realizzazione grazie all’incontro con Gelek Rinpoche, il maestro di predicazione orientale che elegge a suo personale guru. Lo studio del Libro Tibetano dei Morti e delle filosofie orientali sono stati un punto centrale della riflessione di Allen Ginsberg, e hanno lasciato tracce profonde nella sua poesia.
L’autore di Howl è stato un formidabile ambasciatore della poesia: il suo successo è cominciato con i reading nei club del Greenwich Village di New York, e con gli anni Ginsberg ha fatto del reading un evento popolare come i concerti rock. In Italia molti ricordano ancora l’enorme platea che accolse il suo intervento al Festival dei poeti di Castelporziano nell’epoca d’oro dell’Estate Romana, in pieni anni Settanta. Non a caso Ginsberg, oltre a quelle con i musicisti jazz, ha al suo attivo collaborazioni con Bob Dylan, Patti Smith, Jerry Garcia. Nel 1996 ha anche pubblicato un cd, The Ballad of Skeletons, con Paul McCartney e Philip Glass.
Allen Ginsberg è morto nella sua casa di New York nell’aprile del 1997. Per la prima volta nella sua storia, in quell’occasione la libreria City Lights di Ferlinghetti, a San Francisco, ha osservato un giorno di chiusura.
Qualche mese prima, durante un loro incontro, Ginsberg aveva offerto al direttore editoriale di minimum fax una punta di acido, che egli tuttora si pente di non aver accettato.

"La scrittura può essere o sembrare imbarazzante. La soluzione è scrivere cose che non pubblichi e che non mostri agli altri. Scrivere in segreto cose che non vedrà nessuno, che non ascolterà nessun altro. In altre parole significa smettere di essere un poeta, abbandonare qualsiasi carriera, rinunciare senza speranze alle possibilità di rivolgersi alle nazioni del mondo". Malgrado questa intenzione, Allen Ginsberg non ha mai smesso di sentirsi essenzialmente un poeta. Il suo "urlo" contiene rabbia e dolcezza, delusione ed energia, forse anche una sottile ironia di fondo velata da un'apparente.
 Le conversazioni sembrano canzoni, ballate infinite di un mondo che per il poeta beat era troppo fermo, chiuso in tanti piccoli meccanismi che non davano la possibilità di creare. Facile come respirare sono momenti, attimi e riflessioni che hanno come base la paura di dimenticare o meglio di non ricordare perfettamente. E allora i particolari servono ad accrescere il racconto, a marchiarlo in una sorta di memoria involontaria che è sempre partecipe di ogni evento. Emozionanti e sincere sono le "Note da un diario" scritte negli incontri che Ginsberg ha avuto con Ezra Pound. Note che hanno come cardine principale il silenzio, il non detto, l'estasi di osservare e cercare di cogliere il momento.
La lotta che Ginsberg ha sempre operato con se stesso è stata in fondo quella di cercare di esprimere sempre tutto, senza apparente distacco, in una sorta di grande metafora che racchiudesse l'esistenza. Forse non sempre è riuscito nel suo intento, ma ha dato una propria dimensione a quello che viveva: una dimensione irrequieta e vagabonda allo stesso tempo.







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