''PICCHIO DUNQUE SONO''
Data: Giovedì, 31 luglio 2008 ore 13:03:22 CEST
Argomento: Rassegna stampa


 

Diario di una bulla "Picchio dunque sono" Il bullismo è un fenomeno presente in tutto il mondo
Ricatti, furti, angherie: "Così tutte mi rispettano" MILANO
Dopo il tormento alle mie compagne, così si faranno furbe e la pianteranno di subire». Che Chiara, 15 anni, seconda superiore, occhi azzurri e capelli biondi, abbia istinti filantropici, è difficile da credere: lei il tormento, e anche qualche cosa in più, lo dà perchè è una bulla. Lo sa, lo ammette e cerca alibi per continuare a esserlo. Si vanta del ruolo da leader che si è conquistata sul campo, in aula e nei corridoi di scuola, con dispetti e carognate. Nome di battaglia «regina di Biancaneve». Dice di averlo trovato su Internet e di averlo scelto perché «spiega bene chi sono, una matrigna crudele che però insegna a vivere». Tradotto: è una che ammette di rubare nei negozi per mostrare il suo coraggio, minaccia e insulta le ragazze a scuola oppure inventa su di loro storie infamanti per umiliarle e farle soffrire. Ancora, se non veri pestaggi, organizza aggressioni a chi è più debole solo per il gusto di deriderlo.
Chiara ottiene così quello che cerca: il centro dell’attenzione e il rispetto che meritano i capo banda. Il suo racconto aiuta a capire il codice di comportamento di chi ammette di esserne un protagonista. Anche se le sue imprese ancora non hanno portato a una denuncia penale, ma a problemi disciplinari con insegnanti e preside. Rispetto alla declinazione maschile, è un bullismo più di prevaricazioni quotidiane che di violenza fisica, ma altrettanto angosciante.(Da La Stampa) M.Allo

 

Tanto per cominciare, la regina di Biancaneve non va mai in giro da sola. Vuole intorno le seguaci più fedeli, che la ammirano e le obbediscono ciecamente. Compagne dello stesso liceo di Milano, zona Brera. Sono fiere di essere state accolte a corte e a scuola dicono di essere le più ammirate: «Ci invidiano anche quelle che criticano, perchè in realtà vorrebbero far parte del nostro gruppo». Il club non è aperto a tutte, prima bisogna dimostrare di saperci fare: «Andiamo il sabato, nei negozi pieni di gente, una di noi tiene impegnata la commessa e le altre mettono in borsa. Prendiamo trucchi e magliette». Furti per passare un pomeriggio diverso, ma il meglio, Claudia e le sue amiche lo danno a scuola.

«Ho capito che avrei potuto fare ciò che volevo - racconta Chiara - in terza media. Ho fatto piangere una compagna, una perdente. Le avevo preso il diario e l’ho letto in classe. Lei ha passato l’intervallo a frignare e io non provavo nessuna pena». Viso d’angelo, pantaloncini neri, camicia bianca e borsa Louis Vuitton («Guarda che è originale, mica una copia»), Chiara ride mentre imita le lacrime della «perdente»: «Non serve fregare diari, quello che le ragazze ci scrivono dentro sono cazzate. Meglio i cellulari. Li rubo nelle giacche o negli zaini lasciati negli spogliatoi durante l’ora di ginnastica. Se quella a cui l’ho preso non fa quello che dico io, allora glielo faccio trovare rotto». Ricatti, minacce, ma per cosa? Chiara ha bisogno di soldi? «Ma va’, mia madre è un’insegnante e mio padre un architetto, soldi ne ho a sufficienza. Voglio vedere fino a che punto arriviamo io e le mie prede».

Ha bisogno come l’aria della sua vittima che a volte sembra volersi immolare: «C’era una che non ha mai reagito. Sono arrivata al punto di farla sgridare dal fratello di un compagno, anche lui uno sfigato. Le ho detto che avrei raccontato a tutta la scuola che non si lavava se non fosse andata da lui a prendergli i soldi per la colazione per portarli a me. Il mio compagno ha raccontato tutto al fratello e quando lei ha cercato di spiegare, io ho negato tutto, le mie amiche mi hanno difesa e quella è rimasta isolata». Nessuna distinzione di sesso, nessuna paura, maschio o femmina, se il compagno è uno sfigato è uno sfigato.

Sulle scale, quando ci si accalca per uscire, volano spinte e schiaffi. «Non è una cosa elegante, lo so, ma a volte sputo la gomma da masticare tra i capelli di quelle che li hanno lunghi». E’ l’ultima prodezza prima di arrivare a casa, fare un break per il pranzo, davanti al televisore, e nel pomeriggio proseguire il gioco. La regina si trasforma in una «cyberbulla»: «Spedisco sms con delle minacce. A una di seconda, ho scritto che avrei raccontato alla professoressa di lettere di averla vista nei bagni fumare una canna».

Messaggi anonimi. Chi li riceve sa chi li manda, ma non può dimostrarlo. E Chiara, così, si sente sempre più forte. Temuta, certo, ma per spadroneggiare a scuola serve la scorta delle ancelle: «Non scherziamo, non faccio mai un passo da sola. Non sembra, ma sono molto meno sicura di quanto credano gli altri».







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