Le opinioni espresse nei confronti dei docenti meridionali
dal Ministro per le Riforme Umberto Bossi e
dal deputato della Lega Nord Paola Goisis in occasione
del Congresso della Liga Veneta-Lega Nord tenutosi
a Padova lo scorso 20 Luglio, hanno suscitato e
continuano a suscitare numerose reazioni presso
l’opinione pubblica del Paese. Nelle parole di Bossi
e Goisis è possibile rilevare qualcosa che va decisamente
oltre il deficit di sentimento unitario o la sottovalutazione
del bisogno di “manodopera intellettuale”
da parte del Nord.
Nella scuola italiana si insegnano numerose discipline,
ed è del tutto irrilevante l’origine geografica del
docente. Cosa importa che l’insegnante di matematica
sia nato e cresciuto a Pantelleria o a Iglesias
quando si tratta di affrontare le equazioni di secondo
grado? Oppure: conviene davvero che il docente
di lingua e civiltà francese sia un autentico brianzolo
piuttosto che un salentino “doc” fresco di dottorato
alla Sorbona di Parigi? Ciò che conta è solo il
possesso, da parte del docente, delle competenze –
certificate e documentate – necessarie a svolgere al
meglio quell’attività di insegnamento. Da questo
punto di vista, sembra davvero arduo accusare di incompetenza
il docente di letteratura italiana che decida
inserire nella sua attività didattica la straordinaria
produzione di un autore universalmente riconosciuto
come Pirandello (premio Nobel per la letteratura
nel 1934). Né d’altra parte può spettare alla
Lega Nord, che è un movimento politico con legittime
preferenze culturali, stabilire ciò che in letteratura
o storia o chimica conta di più o di meno, perché
di queste cose si occupano da un lato le “istituzioni
culturali”, a partire dalle Università, e dall’altro
la libera circolazione delle idee.
Ma le parole di Paola Goisis – la quale, è forse utile
ricordarlo, è un’insegnante livornese di lettere e
storia – richiedono di affrontare anche un terzo
passaggio. Il deputato sembra rivendicare la necessità
di inserire all’interno dei programmi scolastici
un certo numero di ore dedicate allo studio della
storia, della cultura e della lingua delle regioni del
Nord. Si tratta certamente di una questione delicata
e complessa, rispetto alla quale non è il caso di
schierarsi in modo precipitoso per il sì o per il no.
Ma almeno un paio di considerazioni si possono fare:
è assai improbabile che a questo tipo di contenuti
a valenza, diciamo così, “locale”, possa essere
concesso molto spazio all’interno del percorso formativo
degli alunni. Per essere davvero in grado di
competere in un’economia globalizzata che si presenta
sempre più selettiva e concorrenziale, infatti,
occorre garantire una solida formazione anzitutto
nell’ambito delle discipline caratterizzanti l’indirizzo
di studio prescelto, decisive anche per una positiva
prosecuzione degli studi presso le facoltà universitarie
sia italiane che estere. Inoltre, non si capisce
per quale motivo non si debba applicare anche
a tali contenuti culturali “locali” lo stesso criterio che
ha guidato il nostro approccio nei confronti di qualunque
altro oggetto d’insegnamento: ciò che conta
è la competenza dell’insegnante, non le sue origini.
Anche per quanto riguarda la storia del Veneto
(inseparabile peraltro, se si vuol essere scientificamente
seri, da quella di tutto il continente europeo
e dell’Oriente), allora, pare davvero preferibile immaginare
che in cattedra vadano persone come Frederic
Lane, lo studioso statunitense (1900-1984)
autore di una splendida e ricchissima Storia di Venezia
(Einaudi, 2005) piuttosto che qualche simpatizzante
della Lega Nord in rigoroso completo verde.
Ancora una volta, ciò che conta è la competenza,
non le origini.
Credo che a questo punto sia possibile tirare le fila
del discorso e far emergere il significato più profondo,
e forse meno evidente, delle affermazioni di Goisis e Bossi. Ciò che per questi due esponenti politici
non è accettabile, in effetti, è il fatto che al Nord
insegnino dei docenti di origini meridionali che
non appartengono al loro “popolo”. Le loro critiche
non riguardano ciò che si sa (il che dovrebbe essere
l’unica cosa che conta), ma ciò che si è. Tutto qui.
Molto semplice. Talmente semplice da illustrare in
modo esauriente il grado di abbrutimento della vita
civile raggiunto dalla società italiana: un ministro
e un deputato della Repubblica “una e indivisibile”
e in cui “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni personali o sociali” (Costituzione
della Repubblica italiana, art. 3), incitano alla discriminazione
su basi puramente geografiche di
una parte cospicua di quella stessa popolazione che
contribuiscono a governare.
SERGIO MAZZA
docente siciliano (precario) al Nord
(da www.lasicilia.it)