La Lega Nord e gli insegnanti del Mezzogiorno
Data: Mercoledì, 30 luglio 2008 ore 00:11:55 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Le opinioni espresse nei confronti dei docenti meridionali dal Ministro per le Riforme Umberto Bossi e dal deputato della Lega Nord Paola Goisis in occasione del Congresso della Liga Veneta-Lega Nord tenutosi a Padova lo scorso 20 Luglio, hanno suscitato e continuano a suscitare numerose reazioni presso l’opinione pubblica del Paese. Nelle parole di Bossi e Goisis è possibile rilevare qualcosa che va decisamente oltre il deficit di sentimento unitario o la sottovalutazione del bisogno di “manodopera intellettuale” da parte del Nord.

Nella scuola italiana si insegnano numerose discipline, ed è del tutto irrilevante l’origine geografica del docente. Cosa importa che l’insegnante di matematica sia nato e cresciuto a Pantelleria o a Iglesias quando si tratta di affrontare le equazioni di secondo grado? Oppure: conviene davvero che il docente di lingua e civiltà francese sia un autentico brianzolo piuttosto che un salentino “doc” fresco di dottorato alla Sorbona di Parigi? Ciò che conta è solo il possesso, da parte del docente, delle competenze – certificate e documentate – necessarie a svolgere al meglio quell’attività di insegnamento. Da questo punto di vista, sembra davvero arduo accusare di incompetenza il docente di letteratura italiana che decida inserire nella sua attività didattica la straordinaria produzione di un autore universalmente riconosciuto come Pirandello (premio Nobel per la letteratura nel 1934). Né d’altra parte può spettare alla Lega Nord, che è un movimento politico con legittime preferenze culturali, stabilire ciò che in letteratura o storia o chimica conta di più o di meno, perché di queste cose si occupano da un lato le “istituzioni culturali”, a partire dalle Università, e dall’altro la libera circolazione delle idee.

Ma le parole di Paola Goisis – la quale, è forse utile ricordarlo, è un’insegnante livornese di lettere e storia – richiedono di affrontare anche un terzo passaggio. Il deputato sembra rivendicare la necessità di inserire all’interno dei programmi scolastici un certo numero di ore dedicate allo studio della storia, della cultura e della lingua delle regioni del Nord. Si tratta certamente di una questione delicata e complessa, rispetto alla quale non è il caso di schierarsi in modo precipitoso per il sì o per il no.

Ma almeno un paio di considerazioni si possono fare: è assai improbabile che a questo tipo di contenuti a valenza, diciamo così, “locale”, possa essere concesso molto spazio all’interno del percorso formativo degli alunni. Per essere davvero in grado di competere in un’economia globalizzata che si presenta sempre più selettiva e concorrenziale, infatti, occorre garantire una solida formazione anzitutto nell’ambito delle discipline caratterizzanti l’indirizzo di studio prescelto, decisive anche per una positiva prosecuzione degli studi presso le facoltà universitarie sia italiane che estere. Inoltre, non si capisce per quale motivo non si debba applicare anche a tali contenuti culturali “locali” lo stesso criterio che ha guidato il nostro approccio nei confronti di qualunque altro oggetto d’insegnamento: ciò che conta è la competenza dell’insegnante, non le sue origini.

Anche per quanto riguarda la storia del Veneto (inseparabile peraltro, se si vuol essere scientificamente seri, da quella di tutto il continente europeo e dell’Oriente), allora, pare davvero preferibile immaginare che in cattedra vadano persone come Frederic Lane, lo studioso statunitense (1900-1984) autore di una splendida e ricchissima Storia di Venezia (Einaudi, 2005) piuttosto che qualche simpatizzante della Lega Nord in rigoroso completo verde. Ancora una volta, ciò che conta è la competenza, non le origini.

Credo che a questo punto sia possibile tirare le fila del discorso e far emergere il significato più profondo, e forse meno evidente, delle affermazioni di Goisis e Bossi. Ciò che per questi due esponenti politici non è accettabile, in effetti, è il fatto che al Nord insegnino dei docenti di origini meridionali che non appartengono al loro “popolo”. Le loro critiche non riguardano ciò che si sa (il che dovrebbe essere l’unica cosa che conta), ma ciò che si è. Tutto qui. Molto semplice. Talmente semplice da illustrare in modo esauriente il grado di abbrutimento della vita civile raggiunto dalla società italiana: un ministro e un deputato della Repubblica “una e indivisibile” e in cui “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali” (Costituzione della Repubblica italiana, art. 3), incitano alla discriminazione su basi puramente geografiche di una parte cospicua di quella stessa popolazione che contribuiscono a governare.

SERGIO MAZZA

docente siciliano (precario) al Nord

(da www.lasicilia.it)







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