Ci sono professori oggi (non pochi e non della categoria
dei "fannulloni") che hanno come proprio scopo di
vita dichiarato di andare in pensione; ci sono docenti
(molti anche questi e di ordinaria professionalità) che
hanno come scopo dichiarato dell’anno quello di andare
in vacanza. Ho conosciuto in decenni ormai lontani
uomini di scuola che giunti a 65 anni brigavano per potere
restare nell’insegnamento altri anni ancora: non
consideravano il lavoro un ergastolo dal quale evadere
prima possibile. Impegnavano le vacanze per preparare
con serenità il successivo lavoro scolastico.
Sono dati che ognuno può accertare facilmente senza
bisogno di statistiche e sondaggi di opinione. È più
difficile trovarne la causa, che poi sta alla base dell’attuale
deriva delle istituzioni scolastiche, che portano
con sé il decadimento del senso civico e la cialtroneria
sociale che non si risolve né con una task force, né con
parecchi comitati di esperti. La causa di fondo che cerchiamo
si trova evidente in altri campi dell’attività
umana che furono a suo tempo studiati da grandi pensatori
romantici: l’alienazione del lavoro industriale.
L’artigiano antico, che so, il costruttore di carrozze, si
identificava nel proprio lavoro, ne era fiero, vi trasferiva
tutto il proprio ingegno e la passione. Quando è intervenuta
l’industria e lo ha trasformato in operaio, non
si riconosce più nel prodotto finito di cui non conosce
bene il funzionamento: detesta la catena di montaggio
e il sistema di produzione disumanizzata.
Quel processo ripetitivo del lavoro che aliena il lavoro
industriale è intervenuto sciaguratamente nella
scuola: molti docenti non si riconoscono come educatori
dei giovani, ma come ripetitori di nozioni, come
scrivani di inutili verbali, come amanuensi di inutilissimi
progetti senza i quali però non si incassa straordinario.
Indicato il fenomeno, riconosciute le cause generali,
dobbiamo chiederci se è possibile porvi rimedio. La risposta
è positiva ma comporta molte scelte coraggiose
(cioè scomode): umanizzare l’insegnamento: il che significa
da una parte eliminare molte scartoffie, verbali,
progetti, sperimentazioni parolaie (con gran sollievo
di tutti), ma sostituirle con un impegno assiduo. Oggi
dopo che hai redatto l’inutilissimo verbale nessuno ha
da ridire sul tuo operato; un tempo i verbali erano poca
cosa ma eri esposto alla valutazione annuale da
parte del preside.Oggi il dirigente scolastico che sa che
il docente è pazzotico può fare poco per contrastarlo;
ottenere il licenziamento di un infingardo è impresa erculea.
Bisognerebbe smantellare diverse carriere blindate
e ridurre parecchi automatismi di carriera: bisognerebbe
distinguere chi si impegna e segue con passione
i propri alunni e chi lo fa svogliatamente confortandosi
solo al pensiero delle gite.
Non è vero che tutti i docenti sono uguali: come in
ogni attività umana c’è il grano e il loglio. Bisogna avere
la saggezza di tesaurizzare l’uno e di spazzare progressivamente
l’altro. Non sarà cosa facile ma il solo
tentarlo sarà un gran passo avanti.
SERGIO SCIACCA (da www.lasicilia.it)