Insegnanti, vecchi e scontenti. Dura requisitoria sulla categoria: propensione a un secondo lavoro e vertiginoso turnover
Data: Martedì, 15 luglio 2008 ore 12:55:30 CEST
Argomento: Rassegna stampa


ROMA. Insegnanti anziani, insoddisfatti della scuola in cui lavorano e troppo spesso desiderosi di fuggire dal proprio istituto in cerca di un ’upgrade’ e di un trasferimento nelle scuole migliori. È un quadro ben poco promettente quello delineato da alcuni ricercatori di Bankitalia e del ministero della Pubblica istruzione inserito tra i temi di discussione di via Nazionale. Un quadro soprattutto che influisce negativamente sugli studenti e sul loro apprendimento, messo a rischio dal turnover dei professori e dal loro «scarso attaccamento» alla scuola in cui operano.

L’indagine degli studiosi passa a raggi x il corpo insegnante italiano, non solo perchè i docenti assorbono circa i due terzi della spesa corrente per l’istruzione, ma anche perchè la loro azione quotidiana rappresenta «la principale determinante, insieme alle caratteristiche innate e al contesto socio-economico, degli apprendimenti degli studenti».

Quello che emerge è innanzitutto che gli insegnanti sono in media più vecchi del resto degli occupati e sono in prevalenza donne. Nelle regioni meridionali, in particolare, i docenti sono in genere «più vecchi, meno istruiti e con voti di laurea o di diploma inferiori a quelli dei loro colleghi che operano nel resto del paese». Gli insegnanti più anziani possono inoltre di solito contare su un voto di diploma o laurea più basso rispetto alla media. «Ciò - si legge nel tema di discussione - potrebbe discendere da meccanismi di cosiddetta ’selezione avversa’, per cui rimangono nella professione soggetti meno capaci».

Per quanto riguarda l’accesso nel mondo del lavoro, «l’inizio della carriera è caratterizzato da forte precarietà, con contratti a termine di durata inferiore rispetto al resto dell’economia, una più intensa ricerca di un altro lavoro e una più elevata probabilità di svolgere un secondo lavoro». Ma è sul turnover che i ricercatori si concentrano con particolare attenzione.

 «Nell’insieme delle scuole italiane, più di un quinto dei docenti cambia scuola da un anno all’altro. Il turnover - scrivono - non è dovuto esclusivamente alla presenza di molti docenti con incarico solo annuale, cioè i precari. Ad essi si aggiungono le entrate e le uscite dal sistema e soprattutto gli spostamenti da una scuola all’altra di molti insegnanti di ruolo» che rappresentano circa un terzo del turnover complessivo.

Lo studio sottolinea però che proprio di questo turnover, e del «mismatch», ovvero dello scarso attaccamento degli insegnanti alla scuola in cui operano, «risente negativamente l’apprendimento degli studenti». Lo studio risente cioè della «mancanza di continuità didattica». Il tema di discussione di Bankitalia inquadra il lavoro di insegnante come "nettamente" distinto dalle altre professioni "per le dimensioni contenute dell'orario medio settimanale di lavoro e la maggiore diffusione di assenze temporanee dal lavoro", con un inizio di carriera caratterizzato "da forte precarietà, con contratti a termine di durata inferiore rispetto al resto dell'economia, una più intensa ricerca di un altro lavoro e una più elevata probabilità di svolgere un secondo lavoro". In pratica, chi insegna stabilmente spesso e volentieri fa un doppio lavoro. Critici i ricercatori sui meccanismi di allocazione dei docenti, "privi di verifiche sui comportamenti e sulla qualità e basati su regole amministrative in cui l'anzianità accumulata garantisce prima l'assegnazione di un incarico temporaneo, poi l'accesso a un posto di ruolo e, infine, la mobilità verso la sede scolastica desiderata".

In totale, nelle scuole italiane più di un quinto dei docenti cambia scuola da un anno all'altro e in media un insegnante di ruolo su sei è in attesa di spostarsi dalla scuola in cui insegna: un turnover che danneggia soprattutto gli studenti, che in Italia non godono nè di una necessaria continuità didattica, nè della passione dei docenti per il proprio lavoro, visto che denotano "scarso attaccamento alla scuola in cui operano".

GIORGIO FUMAGALLI (da www.lasicilia.it)







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