Sono in Sicilia le radici della nostra poesia
Data: Giovedì, 10 luglio 2008 ore 15:47:02 CEST
Argomento: Rassegna stampa


 

Di fronte a certe opere si torna a un respiro largo, ritrovando con piacere la grandezza e la bellezza della letteratura. Mi riferisco ai tre volumi dedicati ai Poeti della scuola siciliana, tre Meridiani (Mondadori, edizione promossa dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani) che ci permettono di tornare alle origini della nostra poesia.
E ci permettono di farlo con una quantità di strumenti e di informazioni che ci portano ben all’interno di questo momento culturale e sociale, che nella corte di Federico II, all’inizio del secolo tredicesimo, prima dei grandi stilnovisti e di Dante, aveva saputo esprimere una civiltà della lingua e della letteratura, nella centralità della lirica d’arte, che ha davvero qualcosa di prodigioso che continua a sorprendere. Anzi, che forse ancora di più ci sorprende oggi, proprio per la raffinatezza estrema, per la sublime e moralissima cura che troviamo nell’opera, innanzi tutto, del Notaro, di Giacomo da Lentini, il caposcuola (a cui è dedicato l’intero primo volume, diretto da Roberto Antonelli), ma anche di altri poeti della scuola. Il secondo volume, con un importante saggio introduttivo di Costanzo Di Girolamo, che ne è anche il curatore, è appunto dedicato alle altre ventiquattro voci (più gli anonimi) riconosciute come appartenenti alla Scuola, mentre il terzo volume, diretto da Rosario Coluccia, comprende ventitré Poeti siculo toscani, che della Scuola confermano, come scrive lo stesso Coluccia, la «notevole capacità espansiva». Sono tutte edizioni critiche e ogni poeta è proposto da un diverso curatore. Un’opera, insomma, che è al tempo stesso un monumento e un gioiello.
L'articolo "Sono in Sicilia le radici della nostra poesia "del poeta Maurizio Cucchi edito da Avvenire ha ispirato questa riflessione sulla figura di Federico II che ha celebrato la magia di un'epoca d'oro

 

Come sempre avviene, nelle tradizioni culturali importanti, i poeti della Scuola Siciliana mettono a frutto, innovando sensibilmente, gli esiti di esperienze precedenti e circolanti, quelle dei trovatori e dei provenzali, 'professionisti', per così dire, della poesia, in buona parte ancora ottimo genere di intrattenimento, legato alla musica. I siciliani, il Notaro su tutti, realizzano la prima lirica d’arte della nostra tradizione, iniziano la nostra tradizione, attuano, come scriveva Folena, «il fondamentale divorzio della poesia dalla musica». Questi signori, in prevalenza funzionari, uomini di legge, notai della corte federiciana, usano un volgare siciliano di livello elevato (per quanto potesse esserlo il volgare, e teniamo conto che non esistono documenti scritti in siciliano di quell’epoca), lavorano su un tema unico, l’amore. Ed è straordinario notare come alto sia l’esito espressivo di un canto che si svolge entro una gabbia tematica importante e decisiva, d’accordo, ma unica e dunque costrittiva come una norma inviolabile. Proprio nell’esercizio di immaginazione e scrittura, sostanzialmente rituale, su percorsi monotematici dati, si manifesta l’ abilità di questi poeti (di alcuni più di altri, ovviamente), vissuta nel rigore artigianale e nella disciplina che ogni forma d’arte, necessariamente, deve avere come presupposti. Giacomo da Lentini è il grande che si impone, il poeta che inventa la forma sonetto, e che così introduce la struttura geometricamente , scientificamente più efficace per i secoli che verranno, e che attraverso il genio del Petrarca creerà la tradizione poetica occidentale.
Leggere le poesie del Notaro ci incanta: per la meraviglia musicale della parola, per l’infallibilità della pronuncia e l’esattezza del suono, per la minuziosa responsabilità che sa assumersi felicemente su ogni dettaglio e sillaba del testo. Come sempre, chi scrive, dovrebbe voler fare.

La monumentale opera del Kantorowicz del 1927, Federico II imperatore, corredata da un’imponente massa di note bibliografiche costituisce il primo autorevole tentativo di accreditare l’Imperatore medioevale come il fondatore di uno Stato laico ante litteram, regolato per la prima volta sulla base di un apparato legislativo e non più solamente sulla legittimazione divina. Si tratta di una lettura eccessivamente personalizzata, tipica della storiografia liberale, secondo la quale sono le idee e le res gestae dei grandi uomini a fare la storia. Ma lo storico tedesco si spinge oltre fino a veicolare con ardita disinvoltura la mistica icona di un Federico II persuaso di incarnare la nuova figura del redentore contrapponendola all’atteggiamento di una Chiesa lontana dai valori cristiani. Il testo ovviamente risente del clima culturale in cui fu redatto, e del bisogno di restituire dignità ad una nazione umiliata dal trattato di Versailles del 1919.Questo libro sull'imperatore Federico II rimuove ogni luogo comune sulla sua figura. Qui l'imperatore non è segno di una fase storica schematizzata, ma si muove all'interno di un complicato gioco di azioni e reazioni. Di lui viene rivelata, duplice e sconcertante, l'anima insieme feudale e "illuminata": il senso feroce del poterre e lo scetticismo che a esso poneva di continuo un limite invalicabile.

Le radici della famiglia materna - Costanza d'Altavilla (1154-1198) - sono rintracciabili nella discesa verso il Sud dell'Italia dei Normanni cristiani, i popoli del Nord stanziatisi nei paesi francesi della bassa Senna, che ancora oggi sono riuniti nel nome di Normandia.
I pilastri delle conquiste nell'Italia meridionale furono Roberto il Giuscardo e Ruggero II.
Il primo conquistò il ducato di Puglia e di Calabria, ottenendo nel 1059 l'investitura da parte di papa Niccolò II; in seguito, nel 1071, si aggiudicò Bari, scacciando definitivamente i Bizantini dall'Italia meridionale.
Il secondo, un anno dopo, entrò vittorioso a Palermo, dopo avere combattuto e sottratto la Sicilia agli Arabi.
La frammistione della cultura bizantina e saracena favorì un'amministrazione ed un'organizzazione efficiente del nuovo stato feudale.
Costanza fu la figlia di Ruggero II, incoronato a Palermo, nel 1130, "primo re di Sicilia e duca di Puglia e Calabria".[..]
Federico II di Svevia nacque a Jesi il 26 dicembre 1194 da Costanza d’Altavilla figlia del Re di Sicilia Ruggero il Normanno e moglie dell’Imperatore EnricoVI di Hohenstaufen.
Rimasto orfano per la morte del padre EnricoVI nel 1197 e della madre Costanza avvenuta nel 1198 Federico fu incoronato, a soli quattro anni , Re di Sicilia, Duca di Puglia e Principe di Capua.
La sua tutela fu affidata al Pontefice Innocenzo III che, durante l’adolescenza, cercò di tenerlo lontano dal potere e dalla politica, ma già all’età di diciassette anni Federico dimostrò il suo carattere derivato dal sangue degli Hohenstaufen, riuscendo in seguito ad ottenere la Corona di Germania nel 1215 ad Aquisgrana e quella Imperiale nel 1220 a Roma.
Nel 1228 ,al comando della VI Crociata (detta degli scomunicati) riuscì, in modo diplomatico e senza inutili spargimenti di sangue, a far tornare sotto il controllo occidentale i Luoghi sacri, ed a farsi incoronare Re di Gerusalemme.
Federico II di Svevia (nipote di Federico I Hohenstaufen - Barbarossa) fu un Imperatore innovativo per quell’epoca, amava la cultura l’arte e la poesia, nel 1224 fondò a Napoli la prima Università occidentale che oggi porta il suo nome, ha lasciato diverse testimonianze nel Sud dell’Italia tramite palazzi e castelli che fece edificare tra cui il famoso Castel del Monte da lui progettato.
La sua grande passione fu la caccia con il falcone.
Morì il 13 dicembre 1250.







Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-11347.html