LA FOLLIA NELLA LETTERATURA EUROPEA
Data: Luned́, 07 luglio 2008 ore 16:48:06 CEST
Argomento: Rassegna stampa


La follia nella letteratura europea.

 

Son forse un poeta?

No, certo.

Non scrive che una parola, ben strana,

la penna dell’anima mia:

“follia”.

[...] Son dunque… che cosa?

Io metto una lente

davanti al mio cuore

per farlo vedere alla gente.

Chi sono?

Il saltimbanco dell’anima mia.

 

Aldo Palazzeschi

 

Da sempre la follia ha imperversato nella letteratura mondiale assumendo forme e valenze diverse; dagli antichi saltimbanchi ai romanzi di Dostoevskij e Pirandello, la follia non ha fatto altro che puntare il dito, focalizzando l’attenzione del pubblico su qualcosa di fondamentalmente universale: l’Io, i desideri e le espressioni più pure di se stessi. Cos’è infatti l’atto o le parole di un folle se non una espressione limpida, senza mediazioni raziocinanti, della propria mente, del proprio sentire?

 

L’arte ha adottato questa libertà per mostrare l’Altro, l’esistenza di qualcosa al di là della norma convenzionale sociale, alzando la sua polemica contro la “conformità-a-tutti-i-costi” e il rifiuto per il diverso: basta leggere qualche pagina del Sosia o delle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, o l’ancor più famoso Uno, nessuno, centomila di Pirandello, per rendersi conto della profondità in cui scende l’analisi umana nella sincerità della follia.

 

La “Follia seria” ha così accolto su di sé il difficile compito di esprimere l’angoscia, le ansie e il male di vivere dell’uomo; ma esiste anche un’altra faccia della follia: quella “che ride”, la follia giocosa dei saltimbanchi che nasconde dietro il suo riso le stesse inquietudini, che esorcizza i “mostri” e l’Altro mostrandone le contraddizioni e le irrazionalità. Ma ciò non significa che la sua sia un’opera di distruzione, al contrario, come scrive anche Bergson, la follia in tal modo dà consistenza e valore ad un modello, ad una determinata forma; che un personaggio, un avvenimento sia bersaglio del riso, non è che il riconoscimento della forza e dell’importanza di questo stesso.

 

Ariosto nell’Orlando Furioso mette in pratica proprio ciò: nella follia d’Orlando, che vaga seminudo nel bosco vaneggiando parole senza molto senso, che usa uomini a mo’ di mazza per colpirne altri e scorrazza per la foresta simile ad un animale, c’è l’affermazione di quell’uomo e del suo amore tanto grande da togliere il senno….. costringendo Astolfo ad arrivare fin sulla luna per riportarlo in sé!

 

Così nel “Don Quijote” di Cervantes, dove tra le risate davanti agli improbabili cavalieri e giganti sfidati, le gentildonne travestite da contadine e popolane e le locande trasformate in castelli, non si può far a meno di ammirare la forza d’animo e il coraggio con cui egli porta avanti il suo ideale cavalleresco e i suoi sogni di una gloria d’altri tempi, ove il cuore e la nobiltà d’animo erano i capisaldi di un grande uomo. Ciò ovviamente non lo esonera dagli scherzi del suo scudiero, il quale anzi, quando non è malconcio per le conseguenze delle avventure del cavaliere suo padrone, lo incalza nella sua follia arricchendola di nuovi personaggi e vicissitudini; ma la costanza e l’ammirazione con cui egli segue comunque il cavaliere errante al suo fianco, mostrano tutta la stima e l’elogio per un animo tanto grande.

 

Senza alcun dubbio ci sono delle differenze, e notevoli, tra i due componimenti, mentre infatti la follia ariostesca investe solo un aspetto ben preciso dell’opera e del carattere del suo protagonista, in Cervantes questa sembra investire tutti, traendo nella sua ridente tela tutti i personaggi, trasformando l’intera opera in una miscellanea di rocambolesche e divertenti circostanze; la follia sembra diventare la normalità e tanta è la partecipazione del lettore che non si può far a meno di fare il tifo per Don Quijote, sperando nella buona riuscita di almeno una delle diverse imprese, e proprio qui c’è l’affermazione del modello, del carattere del personaggio.

 

Il senso della follia che ride forse è proprio qui, nella partecipazione emotiva e nella leggerezza d’animo che suscita nei lettori, rendendoli con la magia del sorriso un po’ più consapevoli  e più vicini all’Altro, chi mai infatti, se non altro durante la lettura, non si è sentito un po’ Don Quijote, senza sogni ad occhi aperti? Chi non ha mai lottato contro i mulini a vento?

 

 

 

                                                      

 

 







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