Dato per scontato ormai che il problema centrale della scuola
è il grembiule per gli alunni, sarebbe il caso di aprire il dibattito
attorno agli esami di stato che ormai si stanno per concludere
un po’ dovunque. Come è noto non si chiamano più esami
di maturità ma di stato, in omaggio a una legge del ’97 che
prefigurava pure un nuovo modello di diploma con la certificazione
delle "competenze, conoscenze e capacità acquisite" in
modo da consentire il suo utilizzo in termini lavorativi anche
in Europa. Tuttavia, come è costumanza, la legge è stata applicata
a metà, nel senso che la disciplina riguardante la certificazione
delle competenze si preferì posticiparla di anno in anno
fino a quando si è del tutto dimenticata, cosicché ancora il diploma
consiste di un voto unico, onnicomprensivo di tutte le
materie ma che dice poco sulle effettive conoscenze del candidato.
E non solo, ma nel giro di una diecina d’anni il mitico esame
ha subito ben tre cambiamenti tra Berlinguer, Moratti e Fioroni,
dopo la fase cosiddetta sperimentale del 1969, che doveva
durare qualche anno, ma che si è protratta per ben 30 anni.
La modifica sostanziale però degli esami, che avrebbe dovuto
riguardare appunto il rilascio di un diploma in cui la commissione
esterna certificasse per ciascuna materia il livello di
competenze, capacità e conoscenze acquisite, sia sulla base delle
prove oggettive sostenute dal candidato durante le prove, e
sia dai risultati conseguiti negli ultimi tre anni, non c’è stata.
Certamente non è facile, mancando riferimenti e descrittori
precisi come avviene per le lingue straniere, individuare bene
i livelli di competenza ma è un compito che il Ministero dovrebbe
assumersi insieme a quello di ridurre i ben 912 diversi
indirizzi di studio, in funzione soprattutto di adeguarsi all’Europa
e di favorire l’ingresso dei nostri diplomati nel mondo del
lavoro. Oggi tuttavia anche per l’ingresso all’Università è stato
tolto ai più bravi, dall’attuale ministro, anche il credito di 25
punti e forse a ragione, per suggerire che il merito non paga,
benché ci si stracci le vesti per imporlo ai docenti ai quali però
non è dato ancora sapere quanto e quando (qualcuno dice anche:
se) percepiranno le propine. Ma l’interesse per ora è fagocitato,
oltre che dai grembiuli, anche dalla non pubblicazione
dei voti finali che è un’altra boutade, tanto per guardare altrove.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)