Erasmus compie vent’anni più uno
Data: Lunedì, 09 giugno 2008 ore 16:23:17 CEST
Argomento: Comunicati



Creato dalla Comunità europea nel 1987, il programma Erasmus è un periodo di studio all’estero, da tre a dodici mesi, in cui lo studente frequenta lezioni e sostiene esami in un’università straniera, imparando la lingua del posto. Tra i primi sponsor del progetto fu l’allora presidente François Mitterrand, che venne convinto ad appoggiare Erasmus da Franck Biancheri, leader di un’associazione studentesca. Con un obiettivo ambizioso: migliorare la cooperazione europea aumentando le opportunità di apprendimento per gli studenti dei Paesi dell’Unione. Nel 1987 dall’Italia partirono in 220. Adesso ogni anno diciassettemila studenti italiani aderiscono al progetto Erasmus, che coinvolge più di duemila atenei d’Europa e di Paesi associati dell’Unione per un totale di 37 nazioni e un milione di studenti coinvolti. Ján Figel’, commissario europeo per l’Istruzione e la cultura, insiste affinché il programma Erasmus sia «sempre più una regola e non l’eccezione». Erasmus fa parte del più ampio progetto Socrates, creato nel 1995 per promuovere la cooperazione europea a tutti i livelli di istruzione e che nel 2008 ha sfornato anche il Lifelong Learning Programme. Carla Grano, responsabile dell’Agenzia nazionale Erasmus in Italia: «L’obiettivo è quello di favorire l’apprendimento durante tutto l’arco della vita: Erasmus diventa formazione e informazione permanente». Con l’Llp il giovane lavoratore potrà approfittare di periodi di apprendimento, formazione e stage all’estero, da estendere lungo tutto l’arco della propria vita professionale. «Erasmus non è solo mobilità di studio – rimarca Carla Grano –; serve ad aprire l’arco del dialogo interculturale, abbattere i pregiudizi e capire l’altro, mantenendo la propria identità. Per
Mquesti obiettivi bisogna sperare in un dialogo virtuoso tra tutti i Paesi europei, e in una mentalità che favorisca pienamente la mobilità».
olti passi avanti sono stati fatti, anche in Italia, tradizionalmente stanziale: dal 1987, in vent’anni, solo per Erasmus si sono mossi 190.494 italiani, l’11,31% del un totale europeo di 1.683.928 studenti. Fanno meglio di noi Germania (15,64%), Francia (15,60%), Spagna (14,01%) e appena peggio il Regno Unito (9,34%). Il Paese preferito dagli studenti resta la Spagna, che nel 2006/2007 ne ha accolti 27.462, seguito da Francia e Germania.
Giovanni Finocchietti, responsabile per l’Italia di Erasmus Mundus, il programma collaterale che consente agli studenti di frequentare Master post-laurea in diverse università straniere: «Per avere la certificazione Erasmus Mundus, la singola università deve unirsi ad almeno altri due atenei e creare un Master di uno o due anni che gli studenti frequentano in sedi diverse. Si può scegliere tra ottanta progetti, dall’ingegneria, agli studi sui diritti delle donne. Il vantaggio? La portabilità del titolo in tutte le università del consorzio e l’apertura del progetto a Paesi come Cina, Russia e Brasile, tra i massimi esportatori dei loro potenziali talenti verso l’Europa».
Se il progetto è decisamente appetibile per la sua internazionalità, una delle principali difficoltà di accesso è costituita dal peso economico che un investimento così comporta, con il rischio di privilegiare studenti più ricchi che talentuosi.
Per Erasmus, la borsa di studio già attiva è troppo esiguae ha poche possibilità di integrazione con cofinanziamenti italiani o fondi regionali o borse di privati.
«Qualche aiuto può venire dagli enti per il diritto allo studio – sottolinea Carla Grano – che favoriscono le fasce di reddito più deboli, ma vanno sempre integrate. Spesso lo studente non è correttamente informato. In Italia si investe ancora poco sulla formazione, e su una formazione europea in particolare: dodici milioni di euro l’anno sono troppo pochi, se pensiamo che la Spagna ne investe almeno trenta. Per non parlare delle complicazioni burocratiche». Ecco qui l’altro dente che duole e che viene segnalato soprattutto dagli studenti italiani. Come Viola Di Grado, in Erasmus a Leeds
Ldall’università di Torino per studiare lingue orientali: «Qui le università sono incredibilmente organizzate e lo studente Erasmus non viene mai lasciato in balìa di se stesso». Le fa eco Marcello Messina, che a Leeds studia letteratura russa. Si lamenta dell’esiguità della borsa di studio italiana ma si sente confortato da altre situazioni: «La comunità studentesca internazionale qui è molto nutrita e il mercoledì si organizzano serate e attività varie proprio per noi».
ì dove non arriva la burocrazia, dunque, arrivano le associazioni studentesche. La più antica è l’Aegee, l’Association des Etats Généraux des Etudiants de l’Europe, fondata nel 1985 come Forum degli studenti europei. Ma la più conosciuta è l’Esn (Erasmus Student Network), nata a Copenaghen nel 1990. Parola d’ordine: «Studenti che aiutano studenti». Nicola Alvaro è il presidente di Esn Italia: «Il nostro obiettivo è fornire servizi di accoglienza e informazioni, dalla ricerca dell’alloggio al tutorato, dall’aiuto nella scelta degli esami alla distribuzione degli appunti, fino ai viaggi organizzati.
Cerchiamo di favorire l’integrazione accademico-socio-culturale degli studenti stranieri». A oggi fanno parte di Esn International 248 istituti universitari, presenti in 33 Paesi. E due settimane fa, a Crotone, l’evento nazionale Erasmus, a cui hanno partecipato un migliaio di ragazzi da tutta Europa, ha suggerito alla comunità Esn il raggiungimento di altri obiettivi. Nicola Alvaro: «Spesso le sezioni Esn integrano tutti quei servizi che difficilmente possono essere offerti dall’università. Anzi, stiamo trattando per ottenere il riconoscimento accademico, in termini di crediti universitari, per tutti i membri che si impegnano realmente nell’associazione». A vent’anni dal primo Erasmus, qualcosa, dunque, s’ha da fare.
Compreso convincere i docenti italiani che Erasmus non equivale solo a movida, tapas e patas bravas. Carla Grano: «Molti professori universitari sono ancora restii, anche se non esplicitamente, ai programmi di studio all’estero.
Da qui la difficoltà nel riconoscimento dei crediti in alcune sedi universitarie e una serie di procedure medievali che costringono gli studenti o a rinunciare al programma di mobilità o a chiedere integrazioni sugli esami sostenuti all’estero». Si può anche non incontrare alcuna difficoltà da parte degli accademici, come ci testimonia Veronica Raimo, classe 1978, oggi scrittrice per Minimum Fax con Il dolore secondo Matteo. Generazione Erasmus, Veronica a Berlino ha scritto la tesi e anche il suo romanzo, tornando poi per il suo dottorato di ricerca: «Nessun professore italiano mi ha mai scoraggiato. Ma che sollievo scoprire che all’estero lo spauracchio dell’esame non esiste e che lo abbiamo inventato solo in Italia».





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