L'ANGOSCIA DI LEOPARDI PRIGIONIERO A RECANATI
Data: Luned́, 09 giugno 2008 ore 11:10:25 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Furono “sedici mesi di notte orribile”. Ma da essi nacquero le sue poesie più belle. Dal 1828 al 1830 Giacomo Leopardi tornò per l’ultima volta nel suo natio borgo selvaggio, oggetto di una delle più forti storie di amore-odio della nostra letteratura; e da qui, da questa solenne disperazione, scrisse alcune delle sue lettere più intense che oggi si arricchiscono di un inedito, proveniente da una collezione privata e messo all’asta dalla Casa Bolaffi di Torino. E’ uno scritto del 17 dicembre 1828 rivolto al conte veneziano Antonio Papadopoli, uno dei più ardenti mecenati del poeta recanatese, che ci illumina sulla profonda amarezza e acuto senso di nichilismo che pervadeva in quei mesi Giacomo, prigioniero di una casa angusta e di un padre tiranno, figlio di una madre anaffettiva, mai libero di essere padrone della propria vita. Unico conforto le parole dell’amico: “Mio carissimo Antoniuccio, non ti so esprimere tutta la gratitudine che ti sento della cura amorosa che hai avuto di scrivermi ben due volte per visitarmi in questa mia solitudine.” E, angosciante, il senso della fine imminente: “Il soggiorno di Recanati non mi è caro certamente, e la mia salute ne patisce assai; ma mio padre non ha il potere o la volontà di mantenermi fuori di casa; fo conto che la mia vita sia terminata.” E invece la vita di Leopardi sarebbe durata ancora nove anni, rallegrati dalla luce dell’amicizia e dell’impegno sociale. Prima di naufragare nel dolce mare dell’infinito.

SILVANA LA PORTA






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