SULLA LEGITTIMITA' DEI PROGRAMMI SCOLASTICI E' COMPETENTE SEMPRE IL G.A.?
Data: Marted́, 03 giugno 2008 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Redazione


Sulla legittimità dei programmi scolastici
 è competente sempre il G.A.

 (anche in caso di lezioni di diritto sessuale organizzate
 senza il consenso del genitore del minore).

di Salvatore Menditto,  Studio Cataldi, 29.5.2008
La Corte Costituzionale a Sezioni Unite ha risolto, con l’ordinanza del 15/01-05/02/008, n. 2656, un caso di regolamento preventivo di giurisdizione, sorto a seguito di una causa civile intentata dal genitore di un minore. Questi richiedeva di inibire ad un istituto scolastico lo svolgimento di lezioni di diritto sessuale, motivando l’opposizione sull’inopportunità dell’iniziativa, assunta senza che fosse stato richiesto il proprio consenso. Nello specifico, la Suprema Corte ha dichiarato la giurisdizione esclusiva del G.A., aderendo, in toto, all’eccezione di giurisdizione sollevata da parte dello stesso istituto convenuto, nonché dalla Provincia Autonoma di Bolzano (intervenuta nel giudizio autonomamente non essendo stata citata).
Le Amministrazioni, infatti, sostenevano che la materia riguardasse attività tipicamente discrezionale dell’Amministrazione scolastica, relativa all’organizzazione del servizio; pertanto - sempre a detta dei convenuti - non poteva sussistere alcuna giurisdizione in capo al G.O.. L’ordinanza viene motivata sulla scorta della considerazione principale che “la domanda…proposta investe in via diretta ed immediata il potere dell'Amministrazione in ordine all'organizzazione ed alle modalità di prestazione del servizio scolastico, nel cui ambito trova esplicazione la decisione della direttrice dell'istituto e dei docenti di inserire l'educazione sessuale nel programma di insegnamento delle scienze naturali, e quindi attiene ad una scelta riconducibile, pur nella complessità delle implicazioni e nella rilevanza e delicatezza degli interessi coinvolti, alla potestà organizzatoria della istituzione scolastica, esercitata con disposizioni riconducibili alla pubblica amministrazione autorità”. Da tale premessa, che inquadra la fattispecie d’interesse nell’ambito dell’attività (discrezionale) amministrativa sic et simpliciter, consegue la necessaria applicazione, ai fini di determinare la relativa giurisdizione, dell’art. 33 del D.L.vo 31/03/98, n. 80, mod. art. 7 della L. 21/07/00, n. 205. Tale disposta, come indicato, nell’interpretazione, oramai pacifica, riferibile alla sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004 e, seppure in parte, ovvero nel senso di introduzione di mere puntualizzazioni, anche alla sentenza n. 191/2006. Come noto, la prima pronuncia ha precisato che “nella materia dei pubblici servizi (si) attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo, ovvero si avvale della facoltà riconosciutale dalla legge di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo”. Applicando l’indirizzo promanante da tale pronuncia al caso di specie, la Corte ha potuto, così, precisare che “nell'alternativa tra 1'esercizio di un potere inesistente da parte della pubblica amministrazione quale fonte di lesione di un diritto del privato ed oggetto della giurisdizione ordinaria e 1'erroneo esercizio del potere quale oggetto di giurisdizione amministrativa ove fonte di pregiudizio, la situazione dedotta in controversia si colloca nella seconda sfera, non potendo contestarsi il potere dell' amministrazione scolastica di interferire con la sfera giuridica dell'attore, in relazione alla funzione essenziale della scuola non solo di istruire, ma anche di formare ed educare i fanciulli, in una prospettiva non antagonista, ma complementare a quella della famiglia”.
Da segnalare come la Corte, pur limitandosi, necessariamente, ad una pronuncia in rito, non ha mancato di rigettare le doglianze (più marcatamente di “merito”) esposte dall’attore in relazione ad una presunta violazione, da parte dell’Amministrazione scolastica, dei precetti costituzionali cui agli artt. 29 e 30, in virtù dei quali spetterebbe ai genitori, in via esclusiva, provvedere all’educazione dei figli, specie ove l’attività educativa abbia ad oggetto una materia così “delicata”, quale – appunto – l’educazione sessuale. In punto, la Corte ha rilevato come, in realtà, “il quadro costituzionale di riferimento pone con chiarezza, in relazione al processo formativo degli alunni della scuola pubblica, una esigenza di bilanciamento e coordinamento tra i diritti e doveri della famiglia e quelli della scuola, i quali peraltro trovano esplicazione nell'ambito dell'autonomia delle istituzioni scolastiche”.
Pertanto, “è certamente ravvisabile un potere della amministrazione scolastica di svolgere la propria funzione istituzionale con scelte di programmi e di metodi didattici potenzialmente idonei ad interferire ed anche eventualmente a contrastare con gli indirizzi educativi adottati dalla famiglia e con le impostazioni culturali e le visioni politiche esistenti nel suo ambito non solo nell'approccio alla materia sessuale, ma anche nell'insegnamento di specifiche discipline, come la storia, la filosofia, l’educazione civica, le scienze, e quindi ben può verificarsi che sia legittimamente impartita nella scuola una istruzione non pienamente corrispondente alla mentalità ed alle convinzioni dei genitori, senza che alle opzioni didattiche così assunte sia opponibile un diritto di veto dei singoli genitori”.






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