DANTE E LE LETTERATURE STRANIERE
Data: Venerd́, 16 maggio 2008 ore 19:11:38 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Dante e le letterature straniere

di Mira Mocan*

 

Quando Thomas Sterne Eliot, nel 1950, si trovò a condensare in poche pagine la vicenda del suo debito lungo, continuativo e, come lui stesso disse, “cumulativo” nei confronti della poesia dantesca, sottolineò alcuni elementi peculiari che avevano caratterizzato il suo confronto con il più grande dei ‘padri fondatori’ della letteratura europea, distinguendolo dal rapporto con altri, anche illustri, ‘predecessori’. L’esperienza dell’incontro con il grande poeta italiano, dichiarava Eliot, era stata segnata da una parte dall’estrema difficoltà di replicare la perfetta coesione formale e la nitida esattezza linguistica del poema, dall’altra dalla percezione della sostanziale alterità del mondo e del cosmo medievale espresso nell’architettura ordinata del poema: “Una delle cose interessanti che imparai cercando di imitare Dante in inglese fu la sua estrema difficoltà. […] Non si trattava soltanto del fatto che ero limitato al tipo di immaginismo dantesco, alle sue similitudini e figure retoriche, ma principalmente perché in uno stile tanto puro e austero, nel quale ogni parola deve essere ‘funzionale’, si nota immediatamente la più piccola incertezza e imprecisione”, perché “nessun poeta ci convince più completamente che la parola che ha usato è quella che voleva, e che nessun’altra funziona” (T. S. Eliot, Cosa significa Dante per me (1950), in Id., Scritti su Dante, a cura di R. Sanesi, Milano, Bompiani, 1994, pp. 67-83, cit. alle pp. 72-73).

 

Inimitabilità della Commedia

Dalle parole del poeta che forse più di ogni altro, nel Novecento europeo, ha consapevolmente rimeditato la scrittura dantesca emerge con chiarezza uno dei tratti fondamentali che hanno accompagnato nei secoli la ricezione e l’incontro con il capolavoro dantesco nelle culture straniere: la sua essenziale inimitabilità. Così la Commedia, nonostante la sua profonda influenza sulla creazione letteraria europea dei secoli successivi, fino al presente, e pur dando vita a innumerevoli miti tuttora attivi nel nostro immaginario culturale (basti pensare alla vicenda di Paolo e Francesca, all’episodio infernale di Ugolino o alla secolare permanenza dell’ombra dell'Ulisse dantesco nella letteratura europea), non ha conosciuto, di fatto, delle ‘riscritture’ in senso proprio. Al contrario, infatti, di quanto accade per un altro fondatore della poesia italiana ed europea, Francesco Petrarca, il cui Canzoniere sarà seguito da una poesia pienamente fedele ai suoi moduli stilistici, nella letteratura europea non esiste un ‘dantismo’ che replichi, ricalcandolo, il capolavoro del poeta fiorentino. Così, anche le opere che più esplicitamente si rifanno alla struttura della Commedia (dalla Comédie humaine di Balzac al Paradise Lost di Milton, all’Ulysses di Tennyson e a quello di Joyce, al Triumph of Life di Shelley e a Beckett) non sono mai creazioni ‘in stile dantesco’, ma conservano un carattere di originalità, rimeditando l’esperienza dantesca senza di fatto emularla. Il confronto con l’opera di Dante significa pertanto, per la cultura europea e del mondo, sostanzialmente una costante rielaborazione della sua eredità e della sua l’influenza, nei secoli; si guarda a essa come a un punto fisso di riferimento, ma mai come a un vero e proprio modello di scrittura.

 

Prelievi danteschi in Eliot e altri grandi poeti del Novecento

Tutto ciò non è contraddetto dagli innumerevoli casi di intertestualità dantesca presenti nelle letterature straniere di tutti i secoli e in quasi tutte le lingue, che si tratti di citazioni dirette o di allusioni più o meno esplicite. Nella maggior parte dei casi, infatti (come si potrà vedere negli autori che verranno ricordati più avanti), i prelievi danteschi, più che come mere allusioni o citazioni funzionano da vero e proprio materiale strutturante: una sorta di ‘mattoni’ prelevati alla più autorevole tradizione che contribuiscono a formare lo scheletro del nuovo testo. È quanto si verifica esemplarmente proprio nel caso di Eliot: The Waste Land, che intende raccogliere e ricomporre i frammenti di una cultura europea infrantasi nella catastrofe della guerra, è costellato di reminiscenze e allusioni dantesche inserite in un ampio tessuto di citazioni, intese a “puntellare le rovine” di una tradizione in crisi. Sarà sufficiente menzionare l’allusione all’Inferno dantesco, che riemerge nella descrizione della realtà cittadina contemporanea, e la citazione letterale della voce di Dante negli ultimi versi: “Poi si ascose nel foco che li affina”. La lezione dantesca sarà ripresa con vitalità anche maggiore nei Four Quartets, dove Eliot inserirà un passaggio in terzine non rimate: passo che doveva essere, come dichiara lui stesso, “l’equivalente più vicino a un canto dell’Inferno o del Purgatorio” che fosse capace di realizzare.

 

Restituire un quadro, anche sommario, della presenza e dell’influenza di Dante sul pensiero e sulle opere dei più importanti autori fuori d’Italia (influenza che non solo rimane ininterrotta nei secoli, ma si estende a tutte le letterature del mondo), risulta perciò non solo arduo, ma in un certo senso paradossale. Varrà dunque la pena di ricordare, insieme a Eliot, soltanto alcuni grandi nomi di poeti del Novecento che, nel fondare loro stessi la cultura letteraria del secolo, hanno accompagnato la loro lunga frequentazione della Commedia e la dichiarata fedeltà all’opera del grande poeta italiano con una solida e profonda riflessione critica.

 

Ezra Pound e il dialogo con il “poema sacro” di Dante

Insieme a Eliot – e anche per il fecondo dialogo con lui intrattenuto – va ricordato Ezra Pound, poeta americano ma vissuto per la maggior parte della sua vita in Europa, i cui Cantos si propongono (lo indica il titolo e il numero dei canti inizialmente progettati, cento) come un vero e proprio ‘controcanto’ del “poema sacro” dantesco, e sono disseminati di inserti, prelievi e citazioni da tutta la tradizione romanza, ma soprattutto da Dante. Tali richiami diventano particolarmente fitti nei Canti pisani (in particolare fra il LXXII e il LXXIV, dove si trovano tra l’altro gli ‘incontri con gli spiriti’ di chiara ispirazione dantesca) e negli ultimi Canti. In Lo spirito romanzo, pubblicato nel 1910, Pound aveva lungamente discusso della poesia della Commedia, interpretata come monumentale oggettivazione di idee, pensieri ed emozioni: “conviene quindi considerare le descrizioni dantesche delle azioni e delle condizioni delle ombre come descrizioni di stati mentali in cui gli uomini erano in vita e nei quali sono destinati a rimanere dopo morti” (E. Pound, Lo spirito romanzo, in Id., Opere scelte, a cura di M. de Rachewiltz, Milano, A. Mondadori, 1970, p. 814).

 

L’opera di Jorge Luis Borges e i numerosi richiamo danteschi

Nel 1982 Jorge Luis Borges, nei Saggi danteschi, riassumeva in un’immagine sintetica quanto suggestiva la sua lettura della Commedia come opera-mondo od opera-universo: “Ho fantasticato un’opera magica, una miniatura che sia anche un microcosmo; il poema di Dante è quella miniatura d’ambito universale” (J. L. Borges, Saggi danteschi, Prologo, in Tutte le opere, II, a cura di D. Porzio, Milano, Mondadori, 1985, p. 1263); un anno dopo avrebbe ancora definito il poema l’opera più importante dell’intera letteratura universale: “Se dovessi indicare una sola opera come la vetta di tutta la letteratura, sceglierei la Divina Commedia di Dante” (In Borges at Eighty: Conversations, a cura di W. Barnstone, Bloomington, University of Indiana Press, 1983, p. 83), poiché “La Divina Commedia è il libro più giustificabile e più solido di tutte le letterature” (J. L. Borges, Sopra il «Vathek­» di William Beckford - Altre inquisizioni -, in Tutte le opere, I, a cura di D. Porzio, Milano, Mondadori, 1984, p. 1036). Fra i numerosi richiami danteschi che costellano la sua opera, invece, quelli più numerosi ed evidenti sono, probabilmente, proprio quelli non dichiarati: come nell’Aleph, dove la visione totale del cosmo nella misteriosa, minuscola sfera riecheggia – forse con intenti parodici – espressioni e termini del Paradiso dantesco.

 

Dante come inno alla libertà per Osip Mandel’štam

Osip Mandel’štam, poeta russo morto in un gulag stalinista, per il quale – come per Primo Levi – l’evocazione del grande poeta italiano significa inno alla libertà e alla dignità umana, avrebbe, a sua volta, accolto alti richiami danteschi nella sua produzione poetica, incastonando nei suoi versi l’endecasillabo finale della Commedia (insieme a reminiscenze di Inferno V: “e come i gru van cantando lor lai”): “Ho letto, delle navi, fino a metà il catalogo: / questa lunga nidiata, questo corteo di gru / che dall’Ellade un giorno si levò e prese il largo. // Cuneo di gru diretto verso estranee frontiere [...] // L’amore tutto muove – e Omero ed il suo mare”. Nella sua Conversazione su Dante, scritta fra il 1930 e il 1932, Mandel’štam avrebbe invece celebrato laperfezione strutturale della poesia dantesca, assimilandola a un organismo dalla perfezione cristallina: “Cercando di penetrare, per quanto possono le mie forze, nella struttura della Divina Commedia, giungo alla conclusione che tutto il poema costituisce un’unica strofa, unitaria e indivisibile. O piuttosto – non una strofa, ma una figura cristallografica, ossia un corpo solido. [...] Una collezione di minerali è il più splendido commento organico a Dante” (O. Mandel’štam, Conversazione su Dante, a cura di R. Faccani, Genova, il melangolo, 1994, pp. 70, 142.).

 

Si può infine ricordare un libro meno frequentemente citato in relazione al nome di Dante, ma in cui la materia dantesca sembra aver potentemente agito nel plasmare un’immagine, insieme mitica ed epica, del viaggio come follia di esplorazione e di ricerca, e come ‘caccia’ all’incontro con il divino: il Moby Dick. Nel capitano Achab di Melville sembra infatti ritornare una nuova incarnazione dell’ombra dell’Ulisse di Inferno XXVI, e una originale riattualizzazione di quella ardita navigazione oltre i limiti della parola e dell’immaginazione che è il poema dantesco, “navicella dell’ingegno” lanciata a solcare “un’acqua che mai non si corse”.

 

*Ricercatrice in Filologia romanza presso l’Università Roma Tre. Si occupa di letteratura trobadorica e del rapporto fra riflessione filosofica medievale e poesia italiana delle origini.

 

 

 

 

 

 







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