L'ARTE DEL TRADURRE
Data: Luned́, 12 maggio 2008 ore 08:03:06 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Un'attività difficile che richiede capacità interpretativa In questa prospettiva il progetto didattico   assume un'importante dimensione educativa e il grande apporto che la scuola  può dare alla crescita di un alunno per aiutarlo a pensare  con la propria testa , cioè a formarsi uno spirito critico, a ragionare con rigore e onestà, a distinguere il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto, il buon gusto dal cattivo gusto.Ma quanta fatica per noi docenti di Latino di fronte alle difficoltà incontrate dai nostri alunni e anni di studio non sono sufficienti per dare a studenti liceali una competenza dignitosa della lingua di Roma!
Il tradurre è l’azione di dare al significato di una frase, espressa in una lingua diversa, il significato equivalente in un’altra lingua. Non è tuttavia sufficiente tradurre parola per parola sostituendole, ma occorre ripensare la frase nella lingua di destinazione. Se  le due lingue prese in causa sono della medesima famiglia i problemi sono minimi. Ma nel momento in cui si deve tradurre una frase complessa in una lingua totalmente diversa da quella d’origine, in cui il valore delle singole parti non è esattamente lo stesso per vari motivi, allora l’operazione risulta molto più difficile e bisogna ricorrere ad una buona dose di interpretazione.
L’idea che la traduzione possa essere un’arte letteraria è esclusiva dei popoli civilizzati con un livello di istruzione molto elevato e si è sviluppata in diversi stadi a partire dai glossari che venivano compilati a fianco delle opere del passato o religiose (glosse di Reichenau) per spiegarne con parole semplici e d’uso corrente il termini più difficili e dotti o per suggerire parole corrette (Appendix Probi) al posto di quelle ritenute volgarismi che in realtà furono alla base del lessico romanzo.
Gli antichi scribi del Vicino Oriente, millenni prima di Cristo, traducevano dall’una all’altra delle molte lingue dell’area e, nel farlo, invocavano la protezione di un’apposita divinità, il dio Nabu, 'controllore della corrispondenza tra parole'. Così da tempi remoti sappiamo che tradurre è possibile, ma che è ai limiti delle capacità umane. Per un grande studioso inglese, Ivor Richards, la traduzione sarebbe «l’atto più complesso che si è verificato nell’evoluzione del cosmo». In effetti tutti i poteri, i rischi e i limiti della parola e dell’intelligenza umana si concentrano nel tradurre. Qui le difficoltà dell’espressione e comprensione del testo in una lingua di partenza si moltiplicano con le difficoltà del comprendere ed esprimere di chi traduce in una lingua d’arrivo. (a cura di M.Allo)
«Lectio magistralis» al Lingotto (da Avvenire)
Di traduzioni e traduttori Tullio De Mauro ha parlato ieri Ialla Fiera del Libro di Torino. Il linguista, docente di Linguistica generale all’Università La Sapienza di Roma e ministro della Pubblica istruzione tra il 2000 e il 2001, è autore di numerosi saggi – tra i più recenti, La fabbrica delle parole (Utet), La cultura degli italiani
(Laterza), Prima lezione sul linguaggio
(Guanda), Capire le parole (Laterza) –, oltre ad aver diretto il Grande dizionario italiano dell’uso (Utet), in sei volumi. Presso la Sala Azzura del Lingotto, ieri alle 12 De Mauro ha tenuto una lectio magistralis dal titolo «Sette tipi di traduzioni possibile», nella quale ha ampliato  i concetti espressi .

Dai tempi delle geniali riflessioni di san Girolamo alle moderne teorie scientifiche della traduzione di Eugene Nida o Georges Mounin sappiamo che l’operazione del tradurre può tendere a diverse forme di adeguatezza. Nida proponeva una distinzione. Possiamo mirare a una traduzione che sia adeguata dal punto di vista 'funzionale', che cioè renda l’essenziale del senso del testo di partenza, oppure possiamo ambire a una traduzione 'dinamica', che cerchi di adeguarsi al testo originale restituendone in una nuova lingua la forza specifica iniziale. Occorre però dire che il passaggio dall’uno all’altro tipo è graduato e graduale e i gradi paiono più numerosi di due.

Il primo gradino è quello dell’interpretazione simultanea. Essa deve mirare all’adeguatezza denotativa.
L’interprete simultaneo, individuato il senso, il contenuto fattuale dell’enunziato sorgente che sta udendo, con la maggiore rapidità possibile cerca e produce un enunziato della lingua d’arrivo che con le risorse di questa possa veicolare un simile senso. La similarità del nocciolo fattuale e la rapidità fanno premio su ogni altra attenzione. Ovviamente un simile lavoro richiede la padronanza della lingua d’arrivo e di partenza, ma la simultaneità non consente di mettere a frutto tale padronanza per tentare altri tipi di adeguatezza. Questo tipo di adeguatezza è tutt’altro che da disprezzare. Esso è il primo gradino di ogni successiva forma di adeguatezza traduttiva.
Un gradino ulteriore è quello dell’adeguatezza sintattico-frasale. Se l’interprete simultaneo può fare bene a riassumere e fondere in una sola frasi diverse, un gradino più alto è cercare di rispettare la scansione in frasi e di frasi in proposizioni di un discorso più formale o di un testo scritto. È un’adeguatezza non sempre facile da perseguire nel tradurre da e in lingue di struttura assai diversa. La volontà di rispettare questa adeguatezza nel tradurre dal greco la Bibbia dei Settanta e i Vangeli ebbe un effetto linguistico importante: spinse a importare nel latino tardo e di qui poi nelle lingue neolatine e germaniche le proposizioni oggettive introdotte da quod, che, dass e l’indicativo, equivalenti al greco hóti con indicativo, in luogo delle antiche proposizioni infinitivali. Ma qui la seconda forma di adeguatezza sconfina nella terza.
Un terzo gradino è quello dell’adeguatezza lessicale che mira a rendere il senso dell’originale rispettando non solo la
scansione frasale, ma cercando per ogni parola uno e possibilmente sempre un solo e stesso equivalente. È la traduzione consistente nel verbum de verbo reddere, tradurre un testo parola per parola, rispetto alla quale prendono le distanze scrittori classici come Cicerone e Orazio e, più tardi, san Girolamo.
a essa anche non è da disprezzare, si rivela anzi di grande utilità nell’accostamento a testi letterari o filosofici complessi a fini di studio e di ulteriore lettura interpretativa. Le durezze dello stile nella lingua d’arrivo sono più che compensate dalla puntualità delle corrispondenze con il lessico originario. Ma la ricerca di tale puntualità pone più d’un problema. Da un lato, accade che a una parola della lingua fonte corrispondano,
Sparimenti usuali, due parole diverse nella lingua d’arrivo e la scelta non è mai innocua. D’altro lato la parola corrispondente può esserci, ma per uso e suono porta lontano da ciò che evoca l’originale. Un fiore molto amato dai poeti romantici inglesi è il daffodil. Il nome scientifico latino, Pseudonarcissus, è mal utilizzabile in un testo poetico. E il corrispondente italiano è trombone o
tromboncino. Come tradurre con trombone i sognanti versi di William Wordsworth «e il mio cuore pieno di gioia danzerà con i daffodils »? L’adeguatezza lessicale deve fare i conti con i gradi ulteriori di adeguatezza e anzitutto con l’adeguatezza espressiva.
L’adeguatezza espressiva di una traduzione mira non solo a dar conto del fatto di cui parla il testo d’origine, e non solo bada alla scansione in frasi e alle corrispondenze di vocabolario, ma cerca di cogliere, se v’è, e restituire ciò che nel Cinquecento Ètienne Dolet chiamò la douceur, la dolcezza del testo originario. È tale ricerca che ha giustificato nei secoli la tradizione delle belles infidèles, del traduttore traditore, che si fa tale per troppo amore dell’espressività nel tentativo di riprodurla nel passaggio da una ad altra lingua.
La ricerca dell’adeguatezza espressiva in una prospettiva più ampia può vedersi come caso particolare della ricerca di adeguatezza testuale. Nelle lingue di società complessamente stratificate tendono a crearsi norme relative ai diversi generi e stili di discorso e testo, più o meno colloquiali o, invece, formali. Una traduzione può mirare a riprodurre queste diversità di stile in modo adeguato alle abitudini della società che parla la lingua d’arrivo.
osteneva Walter Benjamin che ogni testo, consapevolmente o non, tende a selezionare i suoi lettori, mira a un effetto di natura pragmatica, sollecita, direbbe Umberto Eco, la presenza del lector in fabula. Secondo Nida le traduzioni 'dinamiche' devono mirare a questa forma di adeguatezza, che possiamo dire pragmatica, e cioè devono mirare alla riproposizione degli effetti particolari che ebbe sui destinatari d’un tempo il testo d’origine. Questo arduo compito svolge l’Alleanza Biblica Internazionale nel suo immenso lavoro di elaborazione e riproposizione di nuove traduzioni dei testi sacri, impegnate nel traduir sans trahir attualizzando il testo delle Scritture 'in lingua corrente', per lettori d’oggi.
Ma un testo non è fatto solo di parole e frasi in un certo stile, esso nasce selezionando i suoi interlocutori, come già si è detto, e collocandosi in una cultura, in una rete peculiare di usanze e valori simbolici che vanno oltre la forma del testo, lo contornano e pesano sulla sua ricezione, comprensione, interpretazione.
Il grado massimo di adeguatezza è appunto quello che si proponga di resuscitare e riproporre l’originaria collocazione di un testo nella rete dei simboli culturali altri, la sua complessiva valenza semiotica originaria. Se cerca l’adeguatezza semiotica il traduttore deve farsi carico del duplice peso del binomio traduzione-tradizione suggerito da Gianfranco Folena. La traduzione qui deve sapersi fare storicamente e antropologicamente fondata. Compito mai facile, ovviamente, per le distanze talora insuperabili di cultura e ambientazione.
Anche dove i secoli non ci hanno allontanato troppo dall’intendimento del senso d’un testo, scarti sono inevitabili per il radicale mutare delle circostanze.
Nessuno ci può ridare musiche e canto della lirica greca arcaica, di cui ci resta, ormai, soltanto il nudo testo.









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