Al nuovo ministro della istruzione, Maria Stella Gelmini, spetterà il compito
di dare tutte quelle risposte che il
mondo della scuola da anni si attende.
La questione si rende più urgente dopo
l’evidente scadimento che tutte le rilevazioni
hanno messo in luce, sia in
termini di competenze, saperi, titoli
ed abbandoni dei nostri alunni e sia di
finanziamenti strutturali e d’edilizia.
Per rinnovare è indispensabile partire
dalle università e allora se si vogliono
docenti preparati per la scuola
occorre imporre piani di studi severissimi
nel biennio di specializzazione, in
cui psicologia, didattica, legislazione
scolastica, informatica siano le materie
portanti senza tralasciare i contenuti
più forti e professionalizzanti nel triennio.
E’ impossibile pensare che un docente
di lettere prenda sbandate imbarazzanti
con la sintassi o che tentenni
davanti alle figure retoriche. Come è altrettanto
deludente che professionisti
della cultura non sappiano ancora dove
inizino i loro doveri e dove terminino
i loro diritti insieme alla ignoranza
alquanto incresciosa di psicologia dell’età
evolutiva e di didattica persino
elementare. In altri termini il nuovo
ministro dovrebbe fare in modo di
mettere sul mercato non solo docenti
preparati ma anche e soprattutto motivati
dal sacrificio fatto per arrivare al
traguardo e ai quali si garantiscano ritorni
economici adeguati e quindi di
immagine sociale.
Ma dovrebbe pure impegnarsi, il
ministro, a bandire concorsi biennali
sull’effettivo fabbisogno, nominando
commissioni esaminatrici che siano
all’altezza del loro compito: è meglio
non dare speranza che creare precariato
permaloso il quale rischia alle lunghe
di arenarsi sulle secche della demotivazione.
La scuola ha bisogno di
docenti-scienziati, non di amici o animatori-
badanti, di Maestri che diano
l’esempio, indicando la strada con autorevolezza
ma ai quali però si dovrebbero
pure togliere molte di quelle incombenze
burocratiche che se per un
verso distolgono dai veri obiettivi dall’altro
deprimono e creano ansia.
Da queste premesse si affaccia poi
tutta la problematica sul merito. Ci si è
mai chiesto perché solo qualche decennio
addietro nessuno parlava di
meritocrazia? Forse per il semplice
fatto che la scuola marciava alquanto
bene e quando ancora le università rilasciavano
diplomi credibili e quando
ancora la scuola pubblica dava segnali
di vivacità e volontà e quando ancora
molto dell’attuale fardello burocratico
era lontano e quando ancora progetti Pon, Por e impegni pomeridiani di
questo genere bivaccavano solo nella
mente di qualche astruso pensatore.
Non suggeriamo un ritorno indietro
ma una ripresa delle severità, quella
che poi la vita impone selezionando e
discriminando. E per questo sarebbe
più produttivo togliere alcune materie
soprattutto negli Istituti tecnici e snellire
i programmi per dare più possibilità
ai ragazzi di sfruttare i loro hobby
ma senza dare alibi al non-studio e alla
neghittosità. Che si voglia o no l’apprendimento
è sacrificio, impegno, dedizione
come un lavoro fatto bene, per
cui è doveroso dare un premio ai più
bravi ma è anche educativo punire i
furbi, i bulli, i ruffiani. Stesso discorso
potrebbe farsi per il personale della
scuola, cosicché se proprio si vuole valutare
anche il lavoro dei docenti è importante
trovare formule adeguate.
Qualcuno propone di investire di questo
compito le presidenze ma allora ci
vorrà pure qualche altro che valuti il
loro operato e che li controlli dal momento
che i dirigenti avrebbero pure la
facoltà di licenziare.
Ecco allora un altro impegno che il
neo ministro dovrebbe prendere: rievocare
la figura ormai scomparsa dell’ispettore
mettendo congrui posti a
concorso, ma sempre con prove severe
e il più possibile oggettive.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)