LETTERATURA E MUSICA: ALLA RICERCA DELL'UNITA' PERDUTA
Data: Venerd́, 09 maggio 2008 ore 16:05:14 CEST
Argomento: Rassegna stampa


LETTERATURA E MUSICA

Alla ricerca dell'unità perduta

di Marina Verzoletto*

 

Sorelle e rivali, musica e letteratura intrattengono da sempre stretti rapporti: condivisione di forme, conflitti per il primato, reciproche sollecitazioni espressive e linguistiche. Una dialettica che interessa la poesia, il teatro, ma anche, soprattutto tra Ottocento e Novecento, la narrativa. Perché un romanzo si legge, ma si deve anche ascoltare.

Poesia, musica, danza: Wagner amava immaginarsele come tre sorelle unite, nell'antica Grecia, in un eterno girotondo. Unità originaria perduta, che egli intendeva ricomporre. Anche senza condividere l'ideale di una fusione delle arti, vale la pena di riflettere sul rapporto di interazione tra l'espressione letteraria e quella musicale. Sappiamo che per i Greci la mousiké era la poesia cantata; ma delle note di quella ‘musica’ ci sono pervenuti pochissimi frammenti di incerta decifrazione. Conviene quindi lasciare il mondo antico e partire dal più familiare terreno della letteratura italiana, dove fin dal Trecento la ‘poesia per musica’ costituisce un genere specifico e caratteristico.

 

Poesia per musica

Una ‘poesia per musica’, in quanto pensata in vista della sua intonazione, ha una precisa struttura metrica: articolazione in strofe, versi regolari, simmetrie richieste dalla periodicità degli accenti musicali. Anche nella scelta dei vocaboli e nella disposizione dei suoni presta attenzione alle esigenze tecniche della voce. Metastasio nei suoi libretti mostra bene quanto sia più comodo cantare sulle ‘a’ e sulle ‘o’; le sue coppie di brevi strofe in rapidi versi dalla fluida scorrevolezza ritmica offrono il supporto ideale alla struttura melodica e virtuosistica dell'aria «col ‘da capo’» settecentesca. Non meno significativa era stata, quattro secoli prima, la vicenda dell'Ars nova, con le sue forme poetico-musicali, il madrigale e la ballata. Nel Trecento il madrigale presentava precise caratteristiche formali: da due a quattro stanze di tre versi settenari o endecasillabi, in rima libera, concluse da un ritornello o coda di uno o due versi, che riassumeva il senso del componimento. A ogni verso corrispondeva una frase musicale; nei madrigali più antichi le melodie della prima stanza erano riprodotte nelle successive. I due versi della coda potevano avere melodia identica oppure melodie diverse; talvolta la ‘licenza’ era identificata da un metro ternario, in contrasto con quello binario della stanza. L'altra forma principale dell'Ars nova italiana, la ballata, fin dal nome rivela rapporti con la danza, che si manifestano nella struttura rigorosa di ripresa-piede-piede-volta-ripresa (A-B-B-A-A). Lo stile melodico è meno fiorito rispetto al madrigale; in compenso c'è una maggiore vivacità ritmica.

 

Poeti in musica

Se nella ‘poesia per musica’ è la seconda a orientare le scelte della prima, non mancano casi di influenza della poesia sulla musica. Esemplare il caso di Petrarca: una poesia pura che, affidata ai compositori, crea una forma musicale ad hoc. Nel Cinquecento Petrarca diventa canone poetico e musicale al tempo stesso: petrarchismo e madrigale sono fenomeni indissolubili. Esiste ancora una forma poetica chiamata madrigale, ma è molto più libera di quella trecentesca; e soprattutto, in musica si chiama madrigale anche la composizione su forme poetiche come sonetto, canzone, ballata, sestina. Tratto distintivo del madrigale cinquecentesco è la stretta corrispondenza fra testo e musica, che va oltre l'equivalenza semantica dei “madrigalisti” (per esempio, la melodia che sale sulla parola “cielo”) per ricercare il significato intimo del testo. Il risultato è una composizione non strofica, con sezioni sempre diverse la cui struttura è dettata dal contenuto più che dalla forma della poesia.

 

Io canto da sola

Nella meravigliosa fioritura della polifonia madrigalistica cova il germe di un conflitto per il primato. Tra Cinquecento e Seicento letterati e musicisti manifestano insofferenza per le complicazioni contrappuntistiche e, appellandosi a un'idealizzata antica Grecia, inventano il melodramma e con esso la monodia accompagnata, il canto a una sola voce, nel quale “l'oratione sia padrona dell'armonia e non serva”, come scrive il grande Monteverdi. Breve illusione, perché i virtuosi del belcanto non tardano a far valere le loro esigenze, e quelle del pubblico pagante. La storia dell'opera nel Seicento e Settecento sta tutta nella forza centrifuga della musica rispetto al testo, e nel reiterato tentativo di ricondurla alla disciplina di questo. Al di là degli esiti altissimi che i progetti di “riforma” (Gluck) o la genialità dei singoli (Mozart) sortiscono, i rapporti tra le arti sorelle si raffreddano: i letterati non sembrano guardare alla musica che come a un galante ornamento nella vita dell'uomo colto.

 

Attrazione fatale

Alla ricerca dell'unità perduta muovono con decisione i Romantici. È una liaison tanto dangereuse quanto intrigante, dalla quale il Settecento si era tenuto prudentemente lontano. Il ‘musicale’, misterioso e incontrollabile elemento disgregatore, si insinua nella poesia. La musica è sentita come il grembo da cui sono sorte tutte le arti e al quale torneranno. I poeti sono i primi a insistere sull'inadeguatezza della parola; solo la musica può attingere la verità suprema e immediata. E.T.A. Hoffmann proclama che “la musica è la più romantica di tutte le arti, anzi si potrebbe quasi dire che è la sola arte perfettamente romantica”, capace di dire l'ineffabile, il magico, l'inconscio, l'universo del sentimento e dell'inquietudine spirituale. Anche il poeta cerca di creare una nuova musica verbale, rafforzando la vibrazione musicale che anima la lirica autentica o accontentandosi del gioco sonoro di vocali e consonanti. Da questo sfondo emergono la teorizzazione e la pratica poetica, drammatica e musicale di Wagner. Il ritorno all'unità originaria è da lui espresso con la forza di un'immagine carnale: “La musica, intesa come donna, deve necessariamente essere fecondata dal poeta, inteso come uomo”. Essendo poi l'autore sia poeta che musicista, l'opera d'arte totale acquista un'inquietante fisionomia androgina.

 

Ascoltare il romanzo

Al breve primato romantico della musica reagì l'aspirazione dei letterati, così ben espressa da Mallarmé, di “reprendre à la musique son bien”. Wagner e la sua discendenza musicale rimasero comunque un punto di riferimento per gli scrittori al volgere tra Ottocento e Novecento. Di tanta narrativa italiana e straniera è possibile realizzare una ‘lettura sonora’, ricostruire il paesaggio acustico di musiche, voci, suoni, rumori che è spesso, più che sfondo, sostanza del racconto. Un solo esempio, tra i molti possibili. Nella Recherche di Proust il ruolo della Sonata per violino e pianoforte di Vinteuil dispiega nella forma più compiuta la concezione della memoria involontaria. La petite phrase che apre la sonata crea in Swann al primo, casuale incontro un'emozione indistinta, che nelle successive apparizioni nel corso del romanzo si precisa seguendo le vicende dell'amore per Odette. L'immaginaria Sonata di Vinteuil, quale che sia il suo modello reale (forse la Ballade di Fauré), è un paradigma del linguaggio musicale di fine Ottocento, di ascendenza wagneriana ma anche brahmsiana, e della sua analogia con una narrativa tesa a cogliere il flusso della coscienza: in qualche modo, a farsi musica, l'arte che dà forma al tempo nell'unità della memoria.

 

*Pianista, critico musicale dei mensili «Letture» e «Jesus»; già docente di Filosofia e Storia nei licei, ora Dirigente scolastico del Liceo Artistico Felice Casorati di Novara

 

 

 

 

 

 







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