Orestiade di Eschilo:il mito degli Atridi al teatro greco di Siracusa
Data: Mercoledì, 07 maggio 2008 ore 18:59:19 CEST
Argomento: Comunicati


 

Teatro: a Siracusa trilogia Eschilo

Pathei mathos. La conoscenza viene dalla sofferenza. Il monito di Eschilo, con il suo potere di trasformare la meschinità in bellezza, di restituire dignità a ogni umana fatica, a ogni ricerca sofferta, risuonerà ancora con la messinscena dell’Orestiade al Teatro Greco di Siracusa, per la terza volta nella storia dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico.
 Il mito degli Atridi sara' al centro del 44mo ciclo di rappresentazioni classiche dell'Istituto nazionale del Dramma antico (Inda). Oggi  7 maggio anteprima al Teatro greco di Siracusa con la trilogia di Eschilo: Agamennone, Coefore ed Eumenidi. Alla fine dello spettacolo, il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso leggera' un passo dello storico George Thomson sulla vittoria della Giustizia sul concetto di vendetta.
Le rappresentazioni avranno inizio  domani 8 maggio con l'"Agamennone" e proseguiranno il giorno seguente, 9 maggio, con "Coefore" e "Eumenidi", portate in scena, una dopo l'altra, nello stesso pomeriggio, avranno termine il 22 giugno.
L’Agamennone, è la tragedia in cui avviene l’assassinio del re di Argo, l'omonimo Agamennone, ad opera della moglie Clitennestra, istigata, questa, dall’amante Egisto.
Nelle Coefore, è Clitemnestra a trovare la morte, per mano del figlio Oreste, che non risparmia neanche l'amante di lei.
Le Eumenidi, in cui si interrompe la scia di sangue delle precedenti tragedie, vede l’assoluzione di Oreste, il matricida, da parte del tribunale dell’Aeropago istituito da Atena.

 

E’ il 1948 quando, tra chi ha appena sperimentato gli orrori della II guerra mondiale, l’INDA porta sulla scena di Siracusa l’intera trilogia eschilea, con la traduzione e direzione artistica di Manara Valgimigli e la direzione drammatica di Annibale Ninchi. Segue poi, nel 1960, l’interpretazione innovativa e certamente molto discussa del duo registico Gasmann - Lucignani, che sceglie come traduttore un noto romanziere e intellettuale del tempo, autore di diversi soggetti cinematografici: Pier Paolo Pasolini.

Con l’Orestiade, l’unica trilogia completa che ci resta di tutto il teatro classico, composta da Agamennone, Coefore, Eumenidi (la trilogia era completata dal dramma satiresco Proteo che è invece andato perduto), Eschilo vinse il primo premio, nel 458 a.C. Ma in quegli anni l’argomento aveva già una lunga storia e, a cominciare da Omero, i poeti ce ne fanno conoscere diversi momenti: Eschilo, dunque, non inventa ma interpreta e rimodella l’antica leggenda rendendo la vicenda degli Atridi simbolo e paradigma della condizione umana. Il rapporto fra destino individuale e ordine universale, la radice della colpa e la sua ereditarietà, il conflitto fra vendetta e giustizia, il legame che unisce conoscenza e sofferenza, l’opposizione tra un universo patriarcale dominato dal potere maschile e un mondo primigenio, femminile, governato dalla madre: sono, questi, solo alcuni dei temi che quest’opera monumentale di drammaturgia pone, con urgenza e profondità di pensiero, alla nostra attenzione.
Nell’Agamennone, dramma dell’angoscia e dell’oppressione, ha luogo l’assassinio del re di Argo ad opera della moglie Clitennestra, istigata dall’amante Egisto; qui la regina giustifica il suo gesto con la morte della figlia Ifigenia, che era stata precedentemente uccisa per mano di Agamennnone come vittima sacrificale perché la flotta greca, bloccata in Aulide dai venti contrari (e dal volere degli dei), potesse giungere a Troia.

Nelle Coefore, attraverso un continuo alternarsi di stati d’animo, Oreste uccide la madre Clitennestra e il suo amante. Anche lui, come aveva fatto Clitennestra con la morte di Ifigenia, cerca di difendere il gesto compiuto adducendo come motivo l’assassinio del padre: l’eroe tragico giace sotto il giogo di Ananke, Necessità, posto davanti a due strade che non sembra possibile seguire, e fra le quali bisogna tuttavia scegliere. Ma tutte le giustificazioni addotte da Oreste non impediscono che le Erinni, le furie vendicatrici della madre, giungano a perseguitarlo. Con le Eumenidi si interrompe questa catena di delitti e di orrori, e ha luogo l’assoluzione del matricida innanzi al tribunale dell’Aeropago istituito da Atena: a una logica di vendetta privata subentra l’istituzione di un tribunale, con le sue regole ma anche i suoi limiti. E non è un caso che Oreste sia assolto grazie alla parità di voti raggiunta con il parere favorevole di Atena, come a testimoniare l’impossibilità di comprendere con la sola sottigliezza umana l’ambiguità dell’esistenza.

 Agamennone

Ad Argo, sul tetto della reggia degli Atridi, una sentinella attende il segnale di fuoco che deve annunziare la presa di Troia.
Il fuoco appare sulle vette de monti ad avvisare che Troia è caduta. Mentre la sentinella si ritira per comunicare la notizia a Clitennestra, entra il Coro dei vecchi argivi. Appare la regina, felice della buona notizia e, poco dopo, l’araldo Taltibio che annuncia il ritorno di Agamennone vittorioso.
L’eroe giunge su un carro, insieme con la prigioniera Cassandra, figlia di Priamo, ed è accolto da Clitennestra con parole falsamente gioiose.
Con un crescendo di adulazioni al marito, in una scena fortemente simbolica, Clitennestra ordina alle ancelle di stendere drappi rossi ai piedi di Agamennone perché il re entri nella reggia calcando una strada di porpora: è ormai vicino il compimento del delitto preparato dalla regina per vendicare la fine della figlia Ifigenia, uccisa proprio per mano di Agamennone come vittima sacrificale perché la flotta greca, bloccata in Aulide, possa giungere a Troia. Dopo aver raccomandato a Clitennestra di accogliere con benevolenza Cassandra, Agamennone entra nel palazzo seguito dalla regina, mentre Cassandra rimane immobile dinanzi alla soglia.
In preda al delirio profetico, l’infelice principessa troiana rivede in stato di trance i delitti commessi nella casa dei discendenti di Pelope - l’orribile cena in cui Atreo, padre di Agamennone, imbandì al fratello Tieste le carni dei figli -, predice al Coro la propria morte e l’uccisione imminente del re per mano della moglie adultera, e quella futura di Clitennestra (e del suo amante Egisto) per mano del figlio Oreste.
Poi, varca la soglia fatale e si avvia al suo destino. Dall’interno della reggia giungono le grida di Agamennone colpito a morte. Subito dopo appare sulla porta della reggia Clitennestra con la scure insanguinata ancora in mano, dritta dinanzi ai cadaveri di Agamennone e Cassandra. Al Coro che lamenta il destino del re ucciso, Clitennestra confessa e giustifica il delitto a lungo preparato. Arriva Egisto, figlio di Tieste, per rivendicare i suoi diritti sul regno: il suo tono irrita il coro e solo l’intervento della regina impedisce una colluttazione. Clitennestra si ritira con il suo amante nella reggia. 

Coefore

Sono trascorsi molti anni dall’uccisione di Agamennone. Oreste, ormai adulto, ritorna in patria accompagnato dall’amico Pilade per vendicare la morte di suo padre.
Si ferma a pregare sulla tomba del padre e vi depone come offerta una ciocca dei suoi capelli. Frattanto, avanza verso la tomba un corteo di portatrici di libagioni (le coefore) guidato da Elettra, sorella di Oreste, e inviato da Clitennestra atterrita da un terribile e oscuro sogno, per placare l’anima del sovrano.
Avvicinatasi alla tomba, Elettra scorge la ciocca di capelli che era stata deposta poco prima e un’orma identica alla propria e comprende che esse appartengono al fratello. A questo punto Oreste si avvicina e si fa riconoscere dalla sorella, ma alla tenerezza dell’incontro subentra l’ansia di vendicare la morte del padre con l’assassinio dei colpevoli.
Oreste e Pilade si presentano alla reggia fingendosi mercanti stranieri venuti per annunciare a Clitennestra la morte del figlio Oreste. Clitennestra lo piange (o finge di piangerlo) e invita gli ospiti a entrare nella reggia: solo Cilissa, la vecchia fedele nutrice, esprime una autentica sofferenza per la perdita di Oreste.
Clitennestra manda a chiamare Egisto affinché egli interroghi direttamente il forestiero; il cerchio si stringe, il piano sta per giungere a compimento: Egisto giunge solo, senza scorta di armati, e, entrato nel palazzo, viene ucciso da Oreste. Si odono grida. Acorre Clitennestra. Oreste avanza con la spada in pugno, sta per colpire la madre, esita per un istante nel momento in cui costei gli mostra il seno che lo aveva nutrito ma, alle parole di Pilade che gli ricorda l’oracolo di Apollo che impone questo gesto estremo, Oreste trascina la madre nel palazzo e la uccide accanto a Egisto.
In una scena speculare al finale dell’Agamennone, appare Oreste che, con i due cadaveri ai suoi piedi, cerca di giustificare il delitto; subito dopo, con la mente sconvolta, vede le Erinni, le terribili dee vendicatrici, che lo perseguitano e lo inseguono.
Eumenidi

Dopo il matricidio, inseguito dalle Erinni, Oreste si rifugia nel tempio di Apollo a Delfi. Quando la sacerdotessa del dio entra nel tempio per pregare, ne esce inorridita da una terribile visione: Oreste, supplice, con le mani insanguinate presso l’altare del dio, vigilato da una schiera ripugnante di donne che dormono e piangono sangue.
Quando la Pizia si allontana appaiono Apollo e Oreste: il dio esorta il figlio di Agamennone a non temere le Erinni persecutrici e a proseguire, accompagnato da Ermes, il lungo cammino espiatorio fino ad Atene, dove gli uomini lo assolveranno dalla sua colpa. Uscito di scena Oreste, le Erinni sono destate dall’ombra di Clitennestra che le sprona a non lasciarsi sfuggire la preda.
Le dee vendicatrici si destano e si preparano a inseguire il matricida.
Cambia il luogo della azione: Oreste è sull’Acropoli ateniese, supplice dinanzi al simulacro della dea Atena, quando le Erinni lo raggiungono minacciandolo di morte, mentre gli intrecciano attorno una danza selvaggia.
La dea lo protegge dalle Furie che lo incalzano e, ascoltate le accuse e le discolpe di entrambe le parti, decide di rimettere il giudizio a un tribunale di cittadini ateniesi scelti tra i migliori, da lei stessa costituito: il tribunale dell’Aeropago (per giudicare i delitti di sangue) che rimarrà eterna tutela della giustizia. Ha luogo il processo: il matricida è assolto grazie alla parità dei voti raggiunta con quello favorevole di Atena. Le Erinni sono inasprite dal verdetto, ma vengono subito placate dalla dea, la quale assicura loro un culto e onori nella città di Atene. Le dee tremende, divenute benevole (eumenidi) e protettrici della città, vengono accompagnate dal popolo festante verso la nuova dimora sotterranea destinata al loro culto.







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